Bologna, sabato 22 maggio 2021 – Il derby: la corsa che arriva solo una volta nella carriera di un cavallo. Domani è il giorno dei giorni. Che mette in palio non solo un nome nell’albo d’oro ma anche un posto nella storia. Il brivido della vittoria, l’agonia della sconfitta. Due facce della stessa medaglia. Un confine sottilissimo che racchiude in sé la grande bellezza e la gloria eterna.
Quest’anno, dopo l’edizione anomala del 2020, disputata il 12 luglio per la sospensione primaverile delle corse causa pandemia, il Derby Day torna alla sua collocazione naturale nel mese di maggio, domenica 23.
E sarà una gran festa di sport perché finalmente l’Ippodromo Capannelle potrà riaprire le porte al pubblico degli appassionati. In numero limitato, naturalmente, ma sarà il primo passo verso un’auspicata normalità.
Il 138° Derby Italiano Università Campus Bio-Medico di Roma potrà contare su una ricca partecipazione. In 14 hanno confermato la presenza e tra questi 6 sono ospiti esteri, alcuni di proprietà italiana. Come Fabilis (il cavallo inglese appartenente alla storica scuderia Juddmonte Farms fondata dal principe ed imprenditore saudita Khalid Abdullah recentemente scomparso). O Isfahani (recente vincitrice del Premio Berardelli, appartenente alla Darius Racing), Quello (di Peter Schiergen), Tokyo Gold (montato da Cristian Demuro) e per concludere Alastor e Juan de Montalban.
Sarà una splendida battaglia con la selezione ottenuta attraverso le tradizionali corse di avvicinamento al Nastro Azzurro, guidata da Flag’s Up, Get The Power, Midnight Season, Mooney Love, Rio Natal, Sopran Poseidone, Tiaspettofuori e Tomiz.
LA STORIA DEL DERBY
La leggenda del Derby nasce nella seconda metà del 1700. Una storia affascinante che con il tempo ha assunto i contorni della leggenda, grazie all’intuizione di Mister Stanley, dodicesimo Conte di Derby, capace insieme alla moglie e ad un numero ristretto di amici appassionati di corse e di cavalli di mettere a punto e di definire i contorni e i connotati della madre di tutte le corse. Solo per i tre anni e sui 2400 metri.
L’idea poi si estese anche a una corsa per le sole femmine, sempre di tre anni ed ancora sui 2400 metri. Cui fu dato senza discussione il nome di Oaks, mutuato da un fascinoso gruppo di querce che dominavano la piana di Epsom, la località scelta dal Conte di Derby tra le tante terre in suo possesso.
La questione del nome non fu pacifica. Lord Bunbury, anche membro della Camera dei Comuni Inglese, pretese a pieno titolo di voler dare il proprio nome alla corsa. Ne aveva diritto giacché tra tutti gli amici era di gran lunga colui che era dotato delle maggiori cognizioni tecniche in materia. E soprattutto era a lui che si dovevano i reali contorni della corsa, ovvero la limitazione ai tre anni e la distanza.
Certamente il Conte di Derby metteva i terreni e la cosa assumeva un peso non indifferente. Tuttavia il gruppo di appassionati ritenne meritevoli entrambi i promotori di dare il proprio nome a quella che sarebbe diventata la corsa più importante al mondo. Fu necessario il sorteggio ed il lancio della moneta favorì Mr. Stanley, il Conte di Derby. Per Bunbury fu l’oblio (anche se un suo cavallo vinse la prima edizione della corsa). Per Lord Derby la gloria eterna.
Una corsa universale
In ogni parte del mondo si corre un Derby e il mondo del galoppo italiano non sfuggì a questa regola, seppur con quasi 100 anni di ritardo. A metà degli anni ’80 dell’800 alle Capannelle e alla presenza di Re Umberto si disputò, recensore d’eccezione su un quotidiano dell’epoca Gabriele D’Annunzio, la prima edizione della “classicissima”. Vinse Andreina che, osò scrivere lo stesso” Vate” , pare fosse in parte di proprietà dello stesso Re Umberto.
Gli Albi D’Oro dei Derby di tutto il mondo sono ovviamente ricchi di nomi illustri, cavalli e personaggi che hanno fatto la storia dell’ippica. Non fa eccezione quello del Derby Italiano, nel quale spicca una presenza, Nearco, il più grande di tutti i tempi che lo corse e ovviamente lo vinse, ma anche un’assenza, Ribot, il cavallo del secolo che fu costretto a non correre.
Impossibile non citare i nomi di campioni internazionali (il nostro Derby fu riservato solo ai nati in Italia per un secolo, fino al 1981) come Apelle, oppure Ortello, e poi ancora Crapom che fu sconfitto dal compagno Pilade, o ancora Donatello e ovviamente Nearco, Bellini e Niccolò Dell’Arca o il grandissimo Orsenigo, frenato dalla guerra. A prima della guerra risale la ultima vittoria rosa: spetta ad Archidamia nel 1936, ma nel ’32 vinse un’altra eccezionale femmina Jacopa del Sellaio.
Quasi 140 anni di storia e tanta gloria, perchè Derby Day vuol dire festa assoluta del turf italiano.