Milano, 16 settembre 2019 – E’ mancato il dottor Vittorio Meschia, medico veterinario ippiatra, una delle figure storiche nel mondo italiano dell’ippica e dell’equitazione.
Era nato il 12 giugno del 1925 e aveva cominciato la professione sotto l’ala dello zio, dottor Galbusera.
Di Meschia aveva scritto già Max David nel suo libro “Gli italiani a cavallo” del 1967, che su quelle pagine contrapponeva Meschia, giovanissimo neolaureato, ad un più maturo professionista che a San Siro dava per spacciato un cavallo da corsa infortunato, Meschia era ritratto mentre prendeva su la sua borsa e si precipitava con il camice svolazzante verso il Purosangue a terra dicendo «Ma forse possiamo fare ancora qualcosa….».
Ecco, il dottor Vittorio Meschia ha fatto veramente qualcosa, per tanti e tantissimi cavalli nella sua vita: è diventato uno dei professionisti più stimati e richiesti del suo campo, uno di quelli il cui parere non si contestava in alcun modo.
Non aveva un carattere facile: asciutto, a volte persino ruvido, ha insegnato a generazioni di altri medici veterinari che dovevano essere in grado di rubare con gli occhi il suo mestiere, perché altrimenti non li riteneva nemmeno degni di diventare quello che volevano.
Ma per lui tutti i cavalli erano uguali, dal Purosangue più celebre all’ultimo dei cavalli da passeggiata in campagna riservava a tutti la stessa cura e attenzione: aveva la capacità di inquadrare la situazione di un cavallo in un lampo – da un atteggiamento, da un movimento, da chissà altro quale piccolissimo e quasi invisibile dettaglio.
Insegnava ad osservare, e assieme alle ricette per gli eventuali farmaci necessari alla convalescenza e cura di qualche soggetto non mancava mai, mai di sottolineare l’importanza delle attenzioni di supporto, quelle piccole cose che allievano il disagio del cavallo e lo aiutano a sentirsi meglio e quindi a guarire prima.
Sembra incredibile che possa non esserci più: teniamoci stretto quello che ha insegnato, almeno.