Bari, 21 dicembre 2018 – Dopo l’intervista in merito ai sempre più frequenti attacchi di lupi a puledri e asini in cui Leonardo Fusillo, presidente della Associazione Nazionale Allevatori del Cavallo Murgese e dell’Asino di Martina Franca, esponeva i problemi causati alle aziende zootecniche del territorio pugliese in generale e agli allevatori di cavalli Murgesi e asini di Martina Franca in particolare abbiamo ricevuto molti commenti di lettori che contestavano il contenuto dell’articolo.
E’ infatti stato messo in dubbio che fossero proprio i lupi gli autori degli attacchi a puledri, vitelli, asini e ovini e si ipotizzava che in realtà (nonostante i ripetuti avvistamenti di canis lupus nei pressi di aziende e allevamenti locali, e l’attribuzione ai lupi da parte dei veterinari di diversi episodi del genere) i responsabili fossero cani domestici rinselvatichiti.
Questo, ovviamente, ci ha motivato ad approfondire l’argomento: abbiamo così chiesto di avere accesso ai documenti relativi ai tamponi effettuati per rilevare il Dna dei predatori carnivori nei casi evidenziati ultimamente nella zona più colpita, quella del barese.
Vi alleghiamo nella gallery fotografica copia dei documenti ufficiali e della lettera del dottor Cosimo Montagna, dirigente responsabile della U.O. Istituto Zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata: da notare che sui 51 casi (tra questi 13 gli attacchi ad equidi) denunciati dall’agosto 2015 al maggio 2017 39 tamponi del Dna hanno confermato trattarsi di lupi, 3 erano relativi a cani, 6 non hanno dato riscontro conclusivo e 3 campionamenti sono risultati non idonei all’esame.
Rimane il problema sollevato dagli allevatori, che se non adeguatamente supportati e aiutati troveranno sempre più difficile continuare a portare avanti il loro lavoro: ricordiamo che l’allevamento brado e semibrado è strettamente legato alla cura e alla tutela del territorio, ma ha un senso economico solo rimanendo tale.
Pulizia dei canali di raccolta delle acque, limitazione del rischio di incendi grazie al sottobosco pascolato, posti di lavoro: tutti effetti positivi della persistenza di un sistema di allevamento che, oltretutto, è il più naturale garante di benessere per gli animali che ne sono oggetto – cavalli, ovini o bovini che siano.
Come ha detto il presidente di Confederazione Italiana Agricoltori Puglia, Raffaele Carrabba: “Servono regole per un controllo efficace della fauna selvatica e tempi certi per il risarcimento dei danni subiti dalle aziende del settore. Perché gli allevatori soffrono due volte: la prima quando perdono il loro patrimonio zootecnico, la seconda nel momento in cui devono sobbarcarsi anche i costi per lo smaltimento degli animali sbranati. Invito quindi a tutelare le aziende al pari della fauna selvatica, importante almeno quanto gli allevatori che restano l’ultimo presidio di alcuni territori e contribuiscono in maniera decisiva alla tenuta del tessuto sociale di quelle aree“.
Un breve estratto dal documento del dottor Montagna: “…in allegato vengono riportati gli esiti degli esami genetici finalizzati alla ricerca della presenza di tracce di DNA di canis lupus, eseguiti a partire da tamponi cutanei fatti in prossimità delle ferite da morsicatura osservate sul mantello degli animali domestici predati. I tamponi sono stati fatti da personale delle Asl di Bari sud a seguito di una richiesta di sopralluogo prodotta da allevatori che avevano riscontrato la morte di animali da loro allevati e che ne ricnducevano la causa all’azione dei lupi.
Opportuno precisare che la legge regionale pugliese non prevedeva un riscontro genetico ma affidava ed affida tuttora ai servizi veterinari della Asl il compito della certificazione e quindi della differnziazione tra aggressioni imputabili a lupo oppure a cani (….)
Per gli opportuni approfondimenti, considerato che nel sud-est barese fino al 2015 non vi erano segnalazioni certe sulla presenza di lupi savo il rinvenimento di due o tre carcasse avvenunte negli anni precedenti, su strade provenienti dai comuni tarantini di Mottola e Martina Franca…i risultati inconfutabili riportati nell’allegato dimostrano l’altissima prevalenza delle aggressioni di canis lupus rispetto a quelle del cane domestico (…)“.
Il riepilogativo delle analisi genetiche eseguite su carcasse di animali domestici aggrediti da canidi è relativo al periodo 8/2015- 5/2017, campionamenti fatti dal servizio veterinario di Area C della Asl BA, analisi eseguite presso l’I.Z.S. di Puglia e Basilicata; facciamo notare che il costo di smaltimento delle carcasse, già alto (circa 300 Euro a capo) e che verrà ulteriormente incrementato dal 1° gennaio 2018, è una uscita certissima e immediata a fronte di rimborsi ancora non chiari e di là da venire, che spinge molti a non denunciare i casi di animali uccisi dai predatori carnivori, lupi o cani che siano.
Quindi la casistica è fortemente influenzata da questi dati mancanti.
Teniamo a sottolineare in modo particolare l’atteggiamento veramente equilibrato e “naturale”, nel vero senso del termine, che hanno dimostrato gli allevatori colpiti: nessuno di loro nel corso delle nostre numerose conversazioni ha mai dimostrato rabbia nei confronti dei lupi, a riprova del fatto che nessuno come chi vive legato alle leggi di natura per educazione, tradizione, cultura e lavoro conosce bene le eterne regole dell’equilibrio tra chi preda e chi viene predato.
Dove non è odio cieco o volontà malevola che spinge ad attaccare, ma semplicemente la necessità di vivere: abbiamo tanto da imparare, anche dai lupi.
Rimane il grido degli allevatori: hanno bisogno di aiuto, perché al pari dei lupi anche i loro cavalli, i loro asini, i loro bovini, pecore e capre hanno diritto ad essere protetti.
E anche il loro lavoro, così prezioso per il territorio pugliese e l’economia che ne deriva.