Ulan Bator, maggio 2015 – Nel XIII secolo dopo Cristo era un sistema di comunicazione necessario ai Mongoli di Gengis Khan: lui e il grosso dell’esercito erano perennemente in movimento per conquistare nuovi territori, mantenere i contatti interni era di fondamentale importanza per la sopravvivenza di un organismo così delicato come quello di un impero nomade.
Ma oggi le galoppate infinite in mezzo alla steppa sono diventate (anche) una avventura da format televisivo come quello di the Adventurist, che porta centinaia di partecipanti tra le yurte dei popoli della steppa, li mette in sella ai megagalattici cavallini mongoli e in tutta la faccenda riesce anche a cavarci fuori un po’ di soldini da dare in beneficienza.
Tutti esauriti i posti per l’edizione 2015, potete provare ad iscrivervi per il 2016 e potrebbe essere una buona idea fare come questa ragazza, che ha lanciato una raccolta fondi per finanziarsi il viaggio.
Intanto guardate il video promozionale per farvi un’idea di cosa aspetta i concorrenti: e tenete presente che la bevanda nazionale mongola è il kumyss, latte di giumenta fermentato…
I cavalli che fecero l’Impero.
Un uomo senza cavallo è come un uccello senza ali – proverbio mongolo.
I Mongoli vivevano e morivano a cavallo e a cavallo conquistarono quasi tutto il mondo allora conosciuto in Occidente – oltre a una bella fetta d’Asia che non era ancora mai stata guardata da occhi europei. Montavano per la maggior parte piccoli cavalli della loro steppa: molto robusti, resistentissimi, estremamente frugali e parchi di necessità o cure. Il tipo più antico vive ancora oggi nella parte meridionale della Mongolia e non è cambiato in nulla dai tempi di Gengis Khan, ma ne esistono di differenti varietà: quelli del deserto hanno zoccoli più larghi degli altri, la varietà delle montagne è più piccola e robusta, mentre quelli delle steppe sono i più alti e veloci.
Mediamente il cavallo (non pony: per quanto sotto misura è proprio un cavallo) Mongolo ha una altezza al garrese dai 124 ai 148 cm., riesce a sopravvivere in un clima che va dai + 40° ai -30° anche con quantità minime di cibo, può percorrere al galoppo dieci chilometri senza mai rallentare e ne copre 90 in una giornata anche su terreni montuosi ed accidentati. Vengono allevati rigorosamente allo stato brado, le giumente vengono munte per ottenere il kumyss, una bevanda fermentata. I mongoli non identificano con un nome i loro cavalli ma hanno più di duecento vocaboli per descriverne il mantello e i segni particolari.
Da notare che, pratici e di buon senso com’erano, i mongoli man mano che passavano in terre ricche di cavalli ne prelevavano ed utilizzavano i migliori e i più adatti alle loro esigenze. Derivano dal cavallo Mongolo le razze giapponesi di Misaki, Taishu, Tokara, Kiso, Yonaguni, Noma, Hokkaido e Myako e le analisi gentiche hanno rilevato un collegamento anche con i cavalli Islandesi e alcuni pony delle Isole Britanniche e dell’Europa centrale.
Alcuni commercianti svedesi poi, nei secoli passati, avevano acquistato soggetti della Mongolia tramite i russi che si pensa abbiano contribuito all’allevamento del pony Fjord e altre razze nordiche.
26 maggio 2015