Bologna, agosto 2015 – Per esempio. Quando prima dell’inizio della seconda manche della finale individuale di salto ostacoli Christian von Plettenberg – uno dei due speaker del Campionato d’Europa, un aristocratico gentiluomo austriaco che vive in una meravigliosa casa ai margini di una foresta di sua proprietà – ha presentato al pubblico le autorità e le personalità presenti in tribuna gli spettatori hanno risposto con un applauso di sincero apprezzamento; ma quando – per ultimo – è stato presentato Hans Gunther Winkler è scattata la standing ovation: 44 mila persone in piedi hanno tributato al grande fuoriclasse tedesco (nato il 24 luglio del 1926) un applauso che non avrebbe avuto mai fine, se non ci fosse stata una gara da far cominciare. Un applauso che si è materializzato con il battito delle mani, ma che nasceva dal battito dei cuori. Lui, il grande vecchio del salto ostacoli tedesco e mondiale, si è alzato in piedi senza modificare di un millimetro l’espressione ormai rigida e anche un po’ triste del suo volto, specchio di un’anima che ha dovuto sopportare molti dolori e molte tristezze dopo le gioie per i trionfi in sella, e ha fatto un gesto contenuto, parco, ma eloquente con il braccio: grazie, diceva quel gesto, la mia vita di ieri è la mia vita di oggi, diceva quel gesto, siamo qui nel tempio del salto ostacoli mondiale, diceva quel gesto, e siamo voi e io nella nostra casa. Siamo qui insieme: grazie. Questo ha detto quel gesto breve, discreto, essenziale. Ma enorme come quell’applauso che ne esaltava il significato. E dopo aver assistito a questa piccola/grande scena è sorto spontaneo un pensiero: ecco il modo giusto, ecco come si fa, ecco la maniera migliore per… Ci sono alcuni mondi che si dimostrano capaci di non perdere il proprio passato, bensì di accoglierlo nel presente come quel qualcosa dal quale tutto ha avuto inizio, come l’istante del concepimento di qualcosa che adesso è cresciuto ed è diventato grande ed è anche diverso ovviamente, ma che da lì è partito e si è mosso; quindi lo sguardo è riconoscente, affettuoso, grato, filiale… il pensiero dice che io ora guardo quel passato mentre sono presente ma domani il futuro guarderà me come passato, e dunque se si spezzano queste transizioni, se si interrompono queste evoluzioni allora la storia non ci sarà più, l’identità non ci sarà più, l’appartenenza non ci sarà più; mentre se invece si riesce a mantenere la continuità nella diversità, la costanza nella crescita, l’integrazione delle fasi… se gli anelli della catena si serrano indissolubilmente ed esattamente l’uno con l’altro… se i vecchi e i giovani si dimostrano capaci di convivere consapevoli del differente ruolo di ciascuno ma senza per questo utilizzare quella diversità come pretesto per negarsi reciprocamente… beh, allora la storia diventa infinitamente più grande e la catena non si spezzerà mai. Una persona e 44 mila persone hanno dimostrato questo, domenica 23 agosto 2015. Ma forse per rendere più efficace il senso di questo discorso è meglio parlare di uno di quei mondi nei quali regna la più sopraffina incapacità di realizzare tutto ciò: noi. Noi: l’Italia dello sport equestre. Noi che siamo figli di un passato grandioso, noi che siamo permeati di una storia che il mondo ci invidia… eppure noi che abbiamo dato vita a livori e acredini che hanno rovinato tutto. Forse irrimediabilmente. Protagonisti in questo sia i vecchi sia i giovani, in egual diabolica misura. I vecchi rifiutandosi di riconoscere nei propri figli carne della propria carne e arroccandosi in un castello di esclusività e impenetrabilità: noi stiamo qui dentro e voi, voi tutti, fuori, indegni dei nostri geni, del nostro sangue, voi figli degeneri che avete deturpato, involgarito, corroso il nostro patrimonio… noi vi rinneghiamo. I giovani con l’aria infastidita, spesso esasperata nell’essere talvolta costretti a ricordare le proprie origini e per questo disconoscendole: quello era un altro sport che non ha nulla a che fare con il nostro, non scherziamo, lasciamoli dire quei poveri vecchi rimbambiti… noi li rinneghiamo. Ed entrambi – giovani e vecchi – addebitandosi reciprocamente la responsabilità della crisi: se loro facessero come diciamo noi si risolverebbe tutto. Quindi, naturalmente, non si risolve niente. In alcuni mondi felici i vecchi e i giovani si uniscono nel nome dello sport: ma soprattutto nel nome di una passione comune, di un amore comune, di un sentire comune. Di un cammino comune: noi siamo arrivati fin qui, adesso tocca a voi arrivare fin là, e poi sarà la volta dei vostri figli e dei nostri nipoti proseguire oltre. Nel nostro mondo infelice, invece, nessuno vuole sentirsi responsabile di ciò che viene dopo e nessuno vuole sentirsi frutto di ciò che è venuto prima. Domenica 30 agosto 2015 alle ore 17.20 Hans Gunther Winkler, tedesco, 89 anni, era l’unico cavaliere al mondo e nella storia ad aver vinto Olimpiade, Campionato del Mondo e Campionato d’Europa. Meno di un’ora dopo Jeroen Dubbeldam, olandese, 42 anni, lo ha raggiunto in vetta all’universo del salto ostacoli.
25 agosto 2015