Sondrio, 3 gennaio 2017 – “Un mongolo senza cavallo è come un uccello senza ali”, così recita un proverbio della gente delle steppe, e ci fa capire quanto i loro piccoli, irsuti e robustissimi cavalli siano stati indispensabili e ancora oggi facciano parte della loro vita quotidiana.
E’ un legame che si sente anche attraerso le immagini, ad esempio quelle estremamente suggestive di Beniamino Pisati che gli hanno fatto meritare il premio di Traveller Photographer of the Year, categoria Portfolio “Journeys and adventures”: un bianco e nero luminoso, che ferma per un attimo la forza e l’energia di momenti convulsi e antichi, che fanno parte di ogni storia nata tra uomini e cavalli a qualsiasi latitudine, e in qualsiasi epoca.
Ma facciamoci raccontare direttamente da Beniamino come è nato questo reportage:
“Oggetto del portfolio portato al concorso sono state 4 immagini di un’indimenticabile giornata in Mongolia. Mi ha fatto piacere leggere le motivazioni dei giudici, colpiti da ciò che cerco sempre nel mio lavoro, ovvero restituire a chi guarda le mie foto il senso di un luogo, di una situazione.
Sono stato in Mongolia la prima metà di maggio, ero partito per un servizio fotografico sulla filiera del cashmere e l’intenzione era documentare tutto il processo produttivo, in particolare la vita dei pastori nomadi e le loro capre dalle quale viene pettinato il pregiato manto.
Dopo aver contattato una multinazionale mongola del settore (Gobi Cashmere) che mi ha organizzato tutta la logistica sul posto, sono stato ospitato da una famiglia di nomadi nella loro tenda (yurta) per una settimana.
Ho avuto così la possibilità di vedere nel quotidiano oltre alla pettinatura del cashmere (che avviene da marzo a maggio) anche la vita dei pastori.
Dash e Pule, possedevano all’epoca circa 1000 pecore, 1000 capre, 100 cammelli e 100 cavalli.
Con tutti questi animali si spostano di altitudine e luogo nel corso delle stagioni.
Un pomeriggio hanno radunato i cavalli, che brucavano liberamente nelle sterminate vallate in un recinto, e qui sono stati castrati “a mani nude”.
Le foto che ho scattato riguardano quel pomeriggio, tutte le fasi per separarli e catturarli.
Davvero un momento indimenticabile, in quanto io (anche un po’ incoscientemente), ero proprio nel mezzo.
Questo è stato il responso della giuria: “Shot from a viewpoint which draws the viewer into the heart of the action, these beautifully lit photographs of the people and horses of Bayankhongor in Mongolia are dynamic and engaging. Full of action, the viewer has a real sense of being part of the experience”
Il lavoro sul Cashmere è stato poi terminato ad Ulan Bator, nell’azienda, per seguirne tutte le fasi di lavorazione”.
A noi rimane la voglia di essere stati lì, in mezzo alla polvere smossa dagli zoccoli e alle grida degli uomini e ai nitriti dei cavalli: e che bel viaggio deve essere stato.
Qui le 4 fotografie del concorso, e qui il sito di TPOTY con tutti i vincitori delle diverse categorie