Trento, 25 ottobre 2019 – Paola Giacomini è tornata a casa, o quasi: in queste ore con il suo fido Custode, cavalllo delle steppe mongole, sta raggiungendo Trento dopo aver portato a termine il suo lungo viaggio.
Dalla Mongolia alla Polonia per portare una freccia di pace e ricucire così con il ricordo di una ferita antica, quella che un arciere mongolo inflisse nel 1241 al trombettiere che dalle mura di Cracovia stava lanciando l’allarme dopo aver visto arrivare le orde che venivano dalle steppe al galoppo, sui loro piccoli ma infaticabili cavalli.
Gli stessi cavalli che Paola ha avuto per compagni nel suo viaggio sulla Via della Seta, 500 giorni per 8.000 chilometri di marcia: Custode dalle Sette meraviglie e Tgegheré, che adesso si sta riposando in una magnifica tenuta polacca ma raggiungerà il resto del gruppo in PIemonte una volta che Paola sarà tornata dalla sua cavalla Isotta, precedente compagna di tanti viaggi.
Per chi volesse ascoltare i primi racconti di Paola sulla sua esperienza l’appuntamento è per lunedì 28 ottobre 2019, al Palazzo Paolo Prodi dell’Università di Trento dalle ore 10.30 del mattino sino alle 12.30 e dalle 14.30 alla 16.30: racconterà del suo viaggio, della gente che ha incontrato e delle impressioni che avrà collezionato strada facendo.
Che come sempre saranno espresse in quel modo delicato ma profondo, essenziale ed efficace come un bagaglio ben affardellato che è così tipico di Paola Giacomini: per questo non vediamo l’ora di ascoltarla, di leggerla, e di salutarla.
Qui il sito della Giacomini, SellareEpartire, dal quale abbiamo tratto questo brano: “Tartari, Mongolia, Kharakhorin, cavalli, steppa, steppa, steppa. Quello che i miei sensi hanno percepito quando ho realizzato questa storia era un viaggio enorme: quello dei mongoli. Migliaia di cavalli e cavalieri che arrivavano da est portando morte e distruzione in sella ai loro cavalli. Per me in quel momento erano solo uomini a cavallo che per migliaia di chilometri avevano cercato erba e acqua per i loro cavalli e che avevano rincorso in sella un confine sempre più lontano. É successo davvero, molto meglio e molto di più di come lo avevo sognato. Quello che é rimasto del loro passaggio é il ricordo di una tragedia, ma anche la leggerezza dell’andare a cavallo. Decidere di ripercorrere le loro tracce era un modo per incontrare i grandi popoli di cavalieri che tuttora popolano le steppe e di ripensare lo stesso viaggio in un’ottica di pace attraverso il linguaggio internazionale dei cavalieri. Questa freccia me l’ha affidata Enkhbath, il sindaco di Kharakhorin, ha percorso con due cavalli mongoli quasi la stessa strada di allora, é stata toccata da genti diverse dalla Mongolia alla Polonia e ognuno ci ha visto un desiderio di pace. Sarebbe bello che lo fosse davvero. Loro erano in tanti quando sono arrivati per combattere più di ottocento anni fa, io ero da sola, ma le persone che ho incontrato in Russia, in Lituania, in Mongolia, sono tantissime e tutte credevano nella pace. Cracovia é un confine. L’heinaul che risuona nelle quattro direzioni ad ogni ora lo ricorda. É un confine reale, tra paesi e mentalità differenti che vale la pena di coltivare. Le differenze arricchiscono. Fare finta di essere tutti uguali é una bugia. Essere uomini e sognare la pace appartiene ad entrambi i lati di questo confine”.