Bologna, marzo 2015 – Di Vittorio Orlandi s’è detto molto. Anche troppo. Di lui sappiamo tutto. Paradossalmente in questo momento il personaggio che suscita minore curiosità tra tutti quelli che formano il nuovo direttivo della Fise è proprio lui: del resto dopo il sovrumano impegno che il neopresidente della federazione ha profuso nel corso dell’ultimo anno e mezzo di campagna elettorale rimane ben poco da sapere a proposito delle sue idee e delle sue intenzioni circa il modo di attuarle e metterle in pratica. Adesso bisogna solo stare a guardare. Quindi i protagonisti verso i quali si rivolgerà la nostra attenzione da oggi in poi saranno probabilmente i consiglieri neoeletti molto più dello stesso presidente. Quello che Orlandi farà infatti lo si può prevedere facilmente: comincerà il suo lavoro senza limiti di agenda e di spazio, ben consapevole che novembre 2016 è praticamente domani. Non sappiamo se in cuor suo Orlandi pensi a una possibile ricandidatura, nonostante più volte abbia sostenuto che quello che a lui interessa sono solo i prossimi diciotto mesi: ma in ogni caso è argomento del tutto ozioso in quanto l’obiettivo vero per lui – e quindi per il mondo del nostro sport – è ‘fare’ da qui a novembre 2016. La sfida che Vittorio Orlandi ha lanciato a sé stesso e a tutti i problemi che attanagliano il mondo del nostro sport è proprio questa: risolvere tutto il risolvibile nei prossimi diciotto mesi, o quanto meno impostare le condizioni preliminarmente indispensabili per farlo. Secondo il suo programma, ovviamente.
Ma per rispettare quel programma e per farlo funzionare a pieno regime non basta la volontà di Orlandi: è necessario un motore che muova la macchina alla massima velocità possibile senza la benché minima pausa. E quale è questo motore? Presto detto: il consiglio federale. Ecco perché si diceva che probabilmente i consiglieri federali da oggi in poi richiameranno la nostra attenzione molto più di quanto accadrà nel caso di Vittorio Orlandi. Sicuramente tutti loro sono molto ben consapevoli di cosa li aspetta nei prossimi diciotto mesi: se così non fosse partiremmo già in ritardo. Ma così non è, poiché la squadra è stata ben allenata e conosce a memoria gli schemi da utilizzare in partita. Certo, tutti loro sono personaggi di altissimo profilo sebbene alcuni non molto conosciuti nel mondo dello sport equestre: ma non è affatto detto che ciò rappresenti un limite di qualche natura, anzi, probabilmente proprio il contrario. Inoltre, volendo ragionare per paragoni, il consiglio federale sta al mondo del nostro sport come il governo della repubblica all’Italia: governo, dunque, non parlamento, e quindi espressione di una maggioranza unita la cui tabella di marcia sia assolutamente condivisa. Le opposizioni stanno in parlamento: ecco perché Orlandi a Ostia subito dopo la proclamazione a presidente ha esortato una volta di più gli elettori a votare per i candidati consiglieri della sua lista. Non per autoreferenzialità o per ‘egoismo’ elettorale, ma solo perché – avendo verificato egli stesso molto bene in passato quello che significa conflittualità all’interno di un consiglio federale – giudicava indispensabile per le condizioni di lavoro che si sarebbero prospettate (diciotto mesi… ) escludere qualunque tipo di crisi interna: le crisi interne fanno perdere tempo e di tempo non ce n’è. Alla fine le urne hanno premiato la ragione e il consiglio federale è proprio quello auspicato da Orlandi.
Con una eccezione, tuttavia: quella rappresentata da Francesco Mocchi, che era uno dei candidati consiglieri nella lista di Alessandro Galeazzi. Anzi, proprio questo suo inserimento ha suscitato nel cosiddetto popolo del web un po’ di agitazione, anche in virtù di una serie di ‘bigliettini’ che sembra siano circolati a Ostia tra gli aventi diritto al voto. Ma francamente non si capisce proprio dove sia il problema: ogni candidato presidente propone una serie di candidati consiglieri che si identificano con il suo programma, ma poi gli elettori sono liberi di votare chiunque a prescindere dalle liste di presentazione. Altrimenti sarebbe del tutto superfluo effettuare l’elezione dedicata al consiglio federale: basterebbe nominare consiglieri in automatico i componenti la lista del presidente eletto. Ma siccome così non è, per assurdo il consiglio federale (qualunque consiglio federale) si potrebbe comporre di un numero identico di consiglieri diviso per il numero dei candidati alla presidenza… Francesco Mocchi in realtà è un enorme valore aggiunto al gruppo di Vittorio Orlandi, e Alessandro Galeazzi ha il grande merito di averlo voluto proporre all’attenzione dell’elettorato inserendolo nella propria lista. Se ora qui si parla di lui non è certo per mancanza di rispetto e attenzione nei confronti dei suoi colleghi consiglieri (come detto tutte persone di luminosa statura dirigenziale e imprenditoriale: ci sarà tempo e modo per approfondire la conoscenza di ciascuno di loro), ma solo perché Mocchi rappresenta uno straordinario esempio di qualità… umana, oltre che professionale. Perché? Perché Francesco Mocchi, 39 anni, dall’estate del 2014 risiede in una clinica dove sta seguendo un percorso di recupero da una paralisi agli arti inferiori subita a seguito di una caduta da cavallo. Siccome siamo personalmente dell’idea che per coloro i quali ambiscono a incarichi istituzionali e rappresentativi (e naturalmente ancor più per coloro i quali li assumono) il privato non solo è, ma deve essere pubblico, allora quello che sta vivendo Francesco Mocchi – ma soprattutto come lo sta vivendo – è un esempio davvero eloquente. Aver subito una disgrazia del genere non è accadimento che di per sé e automaticamente nobilita la vittima: quindi nel giudizio complessivo circa chi ne è suo malgrado protagonista non deve indurre a indulgenze particolari. Ciò che invece nel caso di Francesco Mocchi deve davvero far riflettere è il ‘modo’ in cui lui si è posto di fronte a sé stesso, al mondo esterno e agli eventi in generale. E per darne una valutazione significativa bisognerebbe che ciascuno di noi provasse – per quanto possibile – a calarsi temporaneamente in quella situazione e nei panni del diretto protagonista: immaginiamoci al suo posto, cioè. Noi lì, in quella situazione. Proprio noi: con la nostra vita, la nostra famiglia, la nostra professione, i nostri sogni, le nostre speranze. Noi, insomma.
Francesco Mocchi ha vissuto e sta vivendo tutto ciò con una forza e una determinazione sbalorditive. Ha utilizzato Facebook come canale di comunicazione con il mondo esterno sciorinando un’ironia e un’autoironia così acute e talvolta provocatorie da rappresentare immediatamente la cifra della sua intelligenza anche a chi non l’ha mai conosciuto di persona. Ha offerto momenti di grande profondità nell’analisi politica ed economica della situazione pre-elettorale della Fise anche in virtù del suo ruolo professionale di alto livello (è commercialista con una serie di prestigiosi incarichi paralleli): si è candidato nella lista di Alessandro Galeazzi – o meglio: Galeazzi lo ha voluto – ma non ha esitato a sottolineare con scientifica obiettività quanto di buono a suo parere vi fosse anche nei programmi degli avversari del suo candidato presidente; e al suo candidato presidente non ha risparmiato qualche critica, laddove ha reputato necessario farlo. Ebbene, una persona che di sé dimostra tutto ciò in circostanze come quelle descritte non può che essere considerata di valore inestimabile per una Fise che proprio in questo momento storico necessita di capacità e risorse tali da spingerla oltre i propri limiti contingenti.
Vittorio Orlandi ha fatto una campagna elettorale che mai, nemmeno in un solo istante, ha tenuto conto della sua carta d’identità e del suo fisico provato. I suoi candidati consiglieri hanno subito abbracciato un progetto che d’ora in poi li vedrà probabilmente più impegnati nelle cose della Fise che nelle rispettive professioni. Francesco Mocchi affronterà il suo nuovo incarico con tutta l’energia e la determinazione che sta producendo per rimettere in moto quelle gambe che in questo momento sembrano la metafora di un federazione ugualmente provata e sofferente. Non è detto che tutto ciò basti, ovviamente. Ma è comunque una premessa che fa venire una gran voglia di accettare la sfida e – possibilmente – vincerla. Una sfida che non è tra il direttivo Fise e un mostro titanico: piuttosto tra il mondo dello sport equestre e quel mostro titanico. Un mondo che dovrebbe vedere da adesso in poi tutti i suoi protagonisti alleati e collaborativi e protesi verso un risultato che sia utile e remunerativo per l’intera comunità senza eccezione alcuna tra vinti e vincitori di queste ormai passate elezioni. Il più bell’esempio in questo senso l’ha dato proprio Marco Di Paola a proclamazione avvenuta: il suo sorriso aperto e sincero, il suo afferrare il polso di Vittorio Orlandi e alzargli il braccio al cielo in segno di vittoria è stato un gesto bellissimo il cui significato va infinitamente oltre ciò che visivamente ha rappresentato. Perché ciò che è vero nel campo di gara è stato più che mai vero in questo campo politico: non esistono grandi vittorie senza grandi avversari.
31 marzo 2015