Bologna, giugno 2016 – I successi di Emanuele Gaudiano e le prossime Olimpiadi in vista hanno rimesso in movimento le discussioni a proposito di stile ed efficacia nel montare a cavallo. Verrebbe quasi da contrapporre i due concetti – stile ed efficacia – sotto le voci forma e sostanza, ma sarebbe assolutamente scorretto poiché nel montare a cavallo forma e sostanza si alimentano reciprocamente senza quindi essere in contrapposizione bensì lavorando in… collaborazione. La faccenda quindi è prettamente tecnica, pur se – come usa qui da noi – siamo riusciti a tramutarla anche in politica: le nostre sono abilità insospettabili… E’ infatti solo e soltanto la ‘politica’ che accende ostilità e contrapposizioni in un dibattito che di ostile e contrapposto non dovrebbe avere proprio nulla: alcuni impugnano Gaudiano a sua totale insaputa come una vera e propria clava da dare addosso a chiunque si azzardi a sostenere che a cavallo si deve montare nel rispetto di questo tanto decantato stile, mentre molti tra i sostenitori di questo cosiddetto stile si dichiarano incalliti ammiratori di Gaudiano solo per dimostrare di essere puri da pregiudizi… E siccome la Fise aveva a suo tempo annunciato l’introduzione del cosiddetto Sistema Unico, cioè quell’insieme di norme e indicazioni tecniche che applicate dagli istruttori sul campo dovrebbero formare i cavalieri italiani fin dalla più tenera età, ecco che per alcuni l’equazione è semplice: evviva Gaudiano uguale abbasso la Fise. E tanto più evviva Gaudiano, quanto più abbasso la Fise. Il che naturalmente è abbastanza ridicolo: Emanuele Gaudiano è un cavaliere italiano e i suoi successi – come quelli di tutti gli altri cavalieri italiani indistintamente – vestono quel tricolore nel quale tutti noi ci identifichiamo (va beh: quasi tutti… ). Stop. Infatti la questione sotto questo punto di vista è diventata da tempo stucchevole e fastidiosa, dunque davvero molto poco interessante, perché ormai anche i sassi si sono resi conto che tutto ciò parte da un pregiudizio extra-tecnico, da qualunque parte lo si prenda e lo si guardi.
Molto più interessante invece è affrontare l’argomento sul piano squisitamente tecnico, soprattutto perché si ha così l’opportunità di fare una specie di ricapitolazione della materia, in via molto sintetica. Dunque, che cosa è lo stile, o meglio ancora: che cosa è lo stile italiano? In effetti è molto semplice: si tratta della codificazione di una serie di posizioni del cavaliere in sella e del loro rapporto con il movimento del cavallo alle tre andature e sul salto con l’obiettivo di far raggiungere una comune e organica situazione di equilibrio a due soggetti diversi ma uniti in un’unica entità dinamica. Tale codificazione è stata posta in essere proprio come ‘sistema’ migliore, più semplice, immediato e soprattutto naturale (cioè nel rispetto del movimento del cavallo, poiché è lui che ‘fa’ le cose: il cavaliere deve solo metterlo nella condizione di poterle fare al meglio) per ottenere quell’equilibrio comune, condiviso e organico. E’ un peccato che oggi in Italia si consideri Federico Caprilli – l’inventore del sistema naturale – come un ferrovecchio polveroso e sgradevole e ingombrante da tenere in cantina nascosto il più possibile: purtroppo questo è l’effetto ottenuto da chi ha fatto delle geniali intuizioni del capitano livornese un dogma infrangibile, intoccabile, impermeabile, indiscutibile. Quindi alla lunga fastidioso e irritante. Invece Caprilli andrebbe esaltato come uno dei più grandi uomini della storia dello sport equestre (tra l’altro impenitente dongiovanni, oltre che refrattario alla disciplina e alle regole militari: cose che lo rendono anche molto simpatico… !), poiché non è affatto esagerato dire che oggi tutto il mondo – lasciando ovviamente perdere dressage e alta scuola – monta a cavallo secondo i suoi insegnamenti (da qui un nervoso pazzesco quando si legge o si sente parlare di ‘monta inglese’ per esempio contrapponendola a quella americana dei cowboy, l’equivoco più assurdo della storia del rapporto tra uomo e cavallo). Il punto è che Caprilli non solo risale all’epoca di transizione tra l’Ottocento e il Novecento, ma in più è anche morto giovanissimo quando l’elaborazione del suo sistema non era che all’inizio: avesse avuto più tempo, certamente avrebbe non solo sviluppato ma anche approfondito i concetti applicandoli a una maggiore varietà di situazioni. Non dimentichiamo infatti che tutto il suo pensiero nasce dall’esigenza di rendere più efficace e moderno il soldato di cavalleria sul campo di battaglia: lo sport ne viene come conseguenza. Ma come in tutte le cose della vita il tempo, le persone, le situazioni rappresentano sempre e comunque un’evoluzione: oggi i principi caprilliani restano pur sempre validi, ma arricchiti da tutto quello che è accaduto dal 1907 (anno della morte di Caprilli) al 2016. L’impianto di base, tuttavia, è indiscutibile. I principi dell’assetto corretto da parte del cavaliere e della libertà di movimento da parte del cavallo sono oggi esattamente quelli che erano nel 1907; parliamo naturalmente di equitazione in salto ostacoli e in campagna. Quei principi, tra l’altro, erano stati stabiliti per dare alla più gran parte di persone (cioè gli allievi dei corsi di equitazione a Pinerolo e Tor di Quinto) l’opportunità di raggiungere un obiettivo comune nel minor tempo possibile ottenendo il miglior risultato possibile. E’ lo scopo di qualunque codificazione, del resto: si può imparare a parlare una lingua straniera a orecchio, ma per saperla scrivere bisogna studiarne la grammatica. Il codice, insomma, è uno strumento di… democrazia: aiuta la massa a ottenere mediamente quello che il singolo otterrà a più alto livello grazie a doti naturali, soggettive ed esclusive.
Il buon assetto – e i principi tecnici che lo regolano – non è uno strumento sterilmente fine a se stesso: serve a fare meglio le cose, nel nostro caso a fare meglio anche le gare. L’assetto corretto mette il cavaliere nella situazione di poter fare un uso migliore dei propri aiuti, del proprio equilibrio, perfino del proprio pensiero. Ed è un messaggio che si rivolge alla massa. Non è forse accaduto questo partendo da Pinerolo e arrivando a tutti i Paesi europei che lì avevano mandato i loro ufficiali per imparare a montare a cavallo secondo il sistema italiano naturale di equitazione e per poi grazie a loro diffonderlo tra le proprie quattro mura? E in epoca più recente, non è forse accaduto questo negli Stati Uniti con risultati che ancora oggi sono sotto i nostri occhi con una eloquenza assoluta? La regola – studiata, verificata e infine applicata – diventa lo strumento per allargare e diffondere un messaggio, in modo tale che più persone siano poi in grado non solo di raggiungere un obiettivo condiviso, ma anche di replicarlo più e più volte. Ecco infine che cosa è lo stile: nient’altro che l’applicazione di tali regole. Un’inforcatura profonda, una gamba ferma, una mano morbida e indipendente dal resto del corpo non formano solo un insieme esteticamente ‘bello’: soprattutto offrono un formidabile strumento di azione agonistica, dunque funzionale all’ottenimento di un risultato sportivo.
Ma è l’ottenimento del risultato l’obiettivo finale? Certo: se si va in campo ostacoli per fare una gara quello è indiscutibilmente l’obiettivo, altrimenti si sta a casa. Il sistema di equitazione italiano ci dice che – se applicato correttamente – le probabilità di ottenere un buon risultato sono di base mediamente più alte. L’importante è averne assimilato l’uso e gli strumenti: è chiaro che poi nelle varie situazioni contingenti ci possono stare delle estemporaneità, che però saranno tanto più efficaci se il cavaliere di turno avrà fatto propri gli strumenti di cui si è detto. Ma se un cavaliere è capace di ottenere quegli stessi risultati – se non addirittura migliori – montando in modo parzialmente o perfino totalmente diverso da quanto stabilito dal cosiddetto sistema… beh, dove sta il problema? Se un cavaliere è dotato di quel talento e di quelle doti assolutamente personali, esclusive e soggettive che gli consentono di arrivare là dove nessuno pur montando il più correttamente possibile arriva… beh, non è forse un cavaliere da ammirare ed esaltare e valorizzare? Certo: lo è eccome. Ecco perché tutto il dibattito che talvolta si tramuta in polemica su Emanuele Gaudiano e lo stile italiano è certamente utile (riflettere su questi argomenti serve sempre a qualcosa) ma altrettanto certamente fuori luogo. Emanuele Gaudiano è indiscutibilmente un campione, ma non può essere un esempio replicabile: la questione è solo ed esclusivamente qui. Il sistema – qualunque sistema – è fatto per essere ‘usato’ da una massa di individui: deve dunque essere comprensibile, codificato, spiegabile. Giulia Martinengo Marquet (esempio) è l’espressione migliore e più alta di cosa voglia dire montare a cavallo secondo un sistema. Emanuele Gaudiano è l’espressione migliore e più alta di cosa voglia dire montare a cavallo secondo istinto e talento personale. Si può spiegare l’equitazione di Giulia Martinengo Marquet, che infatti corrisponde allo schema tradizionale del sistema naturale italiano. Non si può spiegare l’equitazione di Emanuele Gaudiano, che non corrisponde ad alcuno schema se non a quello della sua personalissima e straordinaria (letteralmente) abilità. Si potrebbe ridurre il tutto al classico ‘il fine giustifica i mezzi’? No, questo sarebbe involgarire la questione: il talento non è un ‘mezzo’ semplicemente perché non c’è nulla di razionale nel talento, la persona di talento quel talento non l’ha voluto né cercato, semplicemente se l’è trovato dentro di sé; può averlo affinato, valorizzato, incrementato: ma sulla base di una preesistenza.
Quindi torniamo alle domande di partenza (e attenzione: l’argomento cavallo è stato volutamente escluso da tutto il ragionamento, ma è fuori discussione che sia fondamentale e determinante in tutti i suoi aspetti). Lo stile a cavallo serve? Certamente sì. L’obiettivo di una gara in campo ostacoli è il risultato, tecnico o agonistico che sia? Certamente sì. Ecco: due domande e due risposte che alla fine dovrebbero porre termine a un dibattito troppo spesso pretestuoso. Si può poi discutere a lungo (all’infinito, più che altro) sul fatto che Emanuele Gaudiano possa piacere o non piacere sotto il profilo squisitamente estetico: ma qui ognuno è naturalmente libero di seguire le proprie inclinazioni e tendenze. Del resto il bello nello sport è anche questo: i simboli, i dualismi, le rivalità tra i modelli tecnici e agonistici sono spesso il sapore più gustoso. Ma su una cosa state pur certi: se un giorno mai Emanuele Gaudiano dovesse avere degli allievi, ai suoi ragazzi insegnerà a montare a cavallo tenendo il tallone basso e la suola in fuori… Garantito.
29 giugno 2016