Bologna, dicembre 2015 – Emanuele Gaudiano nel corso degli ultimi anni è sempre stato un cavaliere dal rendimento agonistico mediamente molto alto, salvo talvolta toccare vertici di eccellenza davvero significativi in termini di risultato. La vittoria del Gran Premio di Coppa del Mondo di Londra l’ha però adesso trasformato anche in un simbolo. Un simbolo che viene brandito da destra e da sinistra come insegna delle proprie ragioni da più persone, gruppi, comunità che lo ‘utilizzano’ per avvalorare le proprie tesi.
La prima tesi che dovrebbe essere avvalorata da quanto ottenuto da Gaudiano a Londra come picco (per il momento: speriamo che in futuro ce ne siano di ancor più prestigiosi!) della sua carriera è che per avere successo un cavaliere deve andarsene dall’Italia. E’ una tesi assolutamente vera e assolutamente indiscutibile. Ma è sbagliato associarla pretestuosamente a ‘questa’ Italia, sottintendendo a questa federazione. Così come è sbagliato sostenere che solo una volta raggiunto il tanto agognato ‘estero’ i nostri cavalieri diventino improvvisamente bravi, come se appena varcato il confine si possano finalmente liberare del fardello che tarpa le ali della loro qualità. Qualunque sia o sia stata la federazione che governa o ha governato l’Italia, trasferirsi all’estero per un periodo più o meno lungo è sempre stato un bene per un cavaliere italiano. Ma anche per uno spagnolo andarsene dalla Spagna. Anche per un greco dalla Grecia. Anche per un portoghese dal Portogallo. Anche per un ungherese dall’Ungheria. Anche per un irlandese dall’Irlanda. Anche per un ceco dalla Repubblica Ceca. Anche per uno svedese dalla Svezia. Anche per un norvegese dalla Norvegia. Anche per un finlandese dalla Finlandia. Per non parlare di quelli di oltre oceano… brasiliani, statunitensi, colombiani, venezuelani, messicani, giapponesi, australiani… Non sono nazionalità e nazioni buttate lì a caso: sono esempi molto ben precisi di origini di cavalieri che hanno raggiunto un alto livello agonistico lasciando il loro Paese di nascita e di formazione per recarsi all’estero e mettere a frutto le loro capacità. Ma allora di quale ‘estero’ parliamo? Beh, se fate il gioco della carta geografica vi accorgerete che alla fine il cerchio si stringe intorno a un’area molto ben precisa: Germania, Olanda, Belgio, Francia (e Francia sì e no, in effetti). Stop. Quello è il cuore di tutto. Il cuore dell’allevamento, del commercio, dello sport, dell’agonismo. La qualità si concentra lì. Chi è appassionato di musica sa bene che nel corso degli anni Sessanta se un cantautore americano voleva tentare di raggiungere il successo se ne doveva andare per forza al Greenwich Village di New York oppure nei club e nelle coffee-houses di Los Angeles e San Francisco: non c’erano possibili alternative. Le case discografiche erano lì, i talent-scout erano lì, gli altri musicisti erano lì, le radio erano lì. Il paragone oggi calza a pennello con quanto accade nel salto ostacoli. Ma anche nel dressage è stato così, per esempio: nessuna amazzone e nessun cavaliere di alto livello di qualunque parte del mondo ha potuto fare a meno di trasferirsi in Germania per un periodo più o meno lungo… In questo caso è accaduto più per una questione di training che altro (mentre nel caso del salto ostacoli il training è solo una delle componenti), ma è comunque stato così almeno fin tanto che Olanda e Gran Bretagna non hanno potuto raggiungere una sorta di propria autonomia di buon livello. Giorgio Nuti – che è stato il primo cavaliere italiano di grande respiro internazionale dopo l’era gloriosa del quartetto composto dai fratelli d’Inzeo, da Graziano Mancinelli e da Vittorio Orlandi – diceva sempre che le medaglie vinte nel Campionato d’Italia non avevano alcun significato agonistico: “Vinco la medaglia qui, poi vado all’estero e faccio schifo… e quindi?” (va beh, lui sull’argomento era sempre un po’ troppo caustico, come minimo… ). E poi, prendete le classifiche dei concorsi internazionali di livello medio basso, diciamo gli Csi a due stelle e i tre stelle meno dotati: quelle degli eventi in Italia sono piene di soli italiani con qualche straniero, quelle dei concorsi organizzati nell’area di cui abbiamo detto sono piene di stranieri provenienti da quegli stessi Paesi (Olanda, Belgio, Germania, Francia) più alcuni professionisti provenienti dall’estero ma residenti in quell’area. Come dire che da noi i nostri cavalieri se la giocano continuamente tra di loro, mentre in questo benedetto ‘estero’ il confronto è veramente internazionale: il Nuti-pensiero, insomma. Quindi.
La seconda tesi che dovrebbe essere dimostrata dal successo di Gaudiano a Londra (ma in generale da tutta la sua carriera di cavaliere) è che il cosiddetto ‘stile’ per montare a cavallo non serve. La contro risposta a questa tesi è peraltro quella secondo la quale se Gaudiano montasse con più ‘stile’ vincerebbe di più. Siccome sia per l’una sia per l’altra non esiste la possibilità di prova provata, ognuno si terrà la sua idea. Ma anche qui si innesca la polemica chiamando in causa la federazione: vedi cara Fise che è inutile preoccuparsi dello stile dato che Gaudiano vince nonostante tutto? Nelle gare di stile Gaudiano non potrebbe nemmeno iscriversi, ma poi vince i Gran Premi di Coppa del Mondo, e allora come la mettiamo? La mettiamo in un modo molto semplice: che l’equitazione di Gaudiano non può in alcun modo essere presa come riferimento per l’impostazione di base, poiché solo un altro Gaudiano clonato potrebbe montare come monta Gaudiano (certo, certo, proprio come Roger-Yves Bost, un altro che ultimamente viene sempre preso come riferimento in accoppiata con Gaudiano per dimostrare che se le gambe vanno sulla paletta della sella e le mani mollano una cianconata in bocca ad ogni falcata di galoppo non succede niente: anzi, è meglio… Ok: stiamo estremizzando, sia chiaro). Un fatto è certo: Emanuele Gaudiano in campo ostacoli è uno spettacolo se vince o quanto meno se lotta per vincere, ma se non vince o non lotta per vincere… beh, insomma, la faccenda diventa diversa; mentre nel caso di molti altri cavalieri ciò che entusiasma e incanta è la gestione del cavallo e del percorso anche se il risultato non li premia. Un po’ come accade nel calcio: ci sono state squadre che hanno vinto moltissimo con un gioco orribile a vedersi (offrendo la vittoria come unico piacere, ma in assenza di quella… ), e altre che hanno vinto di meno ma giocando in maniera spettacolare e coinvolgente: e anche su questo tema le discussioni non hanno mai avuto una fine… O come nel tennis: Borg all’apice del successo stravinceva, ma era difficile arrivare svegli al termine di una partita giocata da lui; Panatta al contrario ha vinto molto meno, ma che spettacolo! Nel caso di Emanuele Gaudiano, poi, sorge un dubbio amletico che riguarda i suoi cavalli: sono soggetti mediocri il cui rendimento viene esaltato al massimo dalla monta del loro cavaliere, oppure sono ottimi cavalli un po’ inibiti e soffocati nella loro espressività dall’equitazione aggressiva e impositiva del loro cavaliere? E’ infatti difficile vedere un cavallo di Gaudiano saltare in modo tecnicamente spettacolare, imporsi all’occhio dello spettatore per qualche sua caratteristica particolare; tra i due componenti il binomio chi risalta sempre molto di più in tutti i sensi è il cavaliere, non il cavallo. Sembra sempre che Emanuele debba lottare con il coltello tra i denti per ottenere il risultato, insomma: e che lo ottenga ‘nonostante’ il suo cavallo. E a dire il vero quasi nessun cavallo (ma non sono molti) che ha lasciato la sua scuderia ha poi ottenuto risultati non solo migliori, ma nemmeno di quello stesso livello.
Emanuele Gaudiano ha tante qualità che devono essere sottolineate e valorizzate, delle quali l’esecuzione di un percorso ed eventualmente la vittoria di una grande gara sono solo il momento della sintesi esemplificativa finale e che quindi rappresentano un simbolo positivo cui riferirsi. La determinazione con la quale insegue l’obiettivo che si è posto, prima di tutto. Tutta la sua storia personale lo dimostra, a partire da quando – ragazzino – ha lasciato casa e famiglia per inseguire il suo sogno, e poi – una volta raggiunto – la tenacia con la quale l’ha mantenuto vivo. Qualche stagione fa pur di entrare prima e rimanere poi nei primi trenta della computer list così da poter avere accesso ai concorsi prestigiosi e remunerativi del Global Champions Tour senza dover comprare la sua partecipazione, Emanuele ha sostenuto un ritmo agonistico indiavolato andando in concorso tutte le settimane di tutto l’anno. Fermatevi un attimo per pensare a ciò che vuol dire questa cosa: perché si tratterebbe di una situazione massacrante per chiunque. Altra qualità preziosa è il suo carattere di atleta. Nel 2013 lui ha fatto la sua prima Coppa delle Nazioni a Piazza di Siena, il tempio dell’equitazione nazionale italiana. Primo a partire della nostra squadra. Tutti gli occhi su di lui (inutile dire quali siano le aspettative del pubblico a Roma… ). Pronti via, Cocoshynsky si ferma, lui cade, eliminato. Una cosa da demolire un grattacielo in un istante. Lui invece fermo come una roccia (magari dentro chissà quale tempesta però… ). Due giorni dopo con la stessa Cocoshynsky soltanto poco meno di un decimo di secondo gli ha impedito di vincere il Gran Premio Roma, una gara che ha visto una sola vittoria italiana dal 1976 al 2015, dandogli comunque un formidabile secondo posto alle spalle del leggendario Nick Skelton su Big Star. Qui il carattere ha avuto indubbiamente un ruolo determinante più di quello della tecnica. Parlando di Gaudiano come cavaliere o meglio ancora come uomo di cavalli – e tornando all’attualità – un aspetto della sua vittoria di Londra va evidenziato al meglio: Emanuele possiede Admara (nato nel 2005) da quando il cavallo aveva due anni. E qui qualunque considerazione risulta superflua tale e tanta è l’evidenza del valore che questo aspetto contiene in sé. Così come superfluo è sottolineare che Gaudiano ha una sostanziale attenzione nei confronti dei cavalli giovani, e che però Admara è registrato nello studbook olandese Kwpn, non in quello del cavallo italiano… (facciamoci delle domande e diamoci delle risposte). Infine: se oggi domandate a Gaudiano di descrivervi le sue sensazioni dopo la vittoria di Londra lui dirà: sono contento. L’essenzialità di questa risposta è la migliore garanzia del fatto che il successo di Londra non sarà l’ultimo.
21 dicembre 2015