Bologna, 3 novembre 2016 – Il primo lancio dell’Ansa è delle 6.51 del 4 novembre 1966: “L’Arno è straripato, in Firenze, poco prima delle cinque, all’altezza della località Rovezzano, in un breve tratto del lungarno Acciaioli e del lungarno delle Grazie”. Poi il bollettino dell’Ansa segue un crescendo terrificante: alle 8.15 la gente “comincia a lasciare le abitazioni”, alle 9.30 “le acque stanno invadendo il centro della città”. Il lancio delle 10.42 viene effettuato dai redattori dell’Ansa di Firenze, Dante Nocentini e Marcello Coppetti, dall’interno del comando militare della regione in piazza San Marco: “Firenze è completamente isolata”. Alle 16.48 la situazione “si fa sempre più drammatica: in via Campofiore sedici famiglie sono sui tetti delle case in attesa dei soccorsi”. Alle 21.42: “Firenze è un immenso lago immerso nelle tenebre”.
Cinquant’anni fa esatti – il 4 novembre del 1966 – la apocalittica alluvione di Firenze: un evento che non si verificava dal 1270. Sembra quasi un segno del destino che questo infausto anniversario cada proprio nel momento in cui l’Italia è sconvolta da altre terribili catastrofi naturali… Nella grande storia di quei giorni c’è tuttavia anche una storia piccola – ma non meno significativa e angosciante – che riguarda uomini e cavalli. La racconta sulle pagine del Cavallo Italiano del gennaio del 1967 Gian Piero Morandi, dirigente del Circolo Ippico Toscano. Vale davvero la pena di rileggerla: oggi più che mai.
Come ogni altra mattina, il 4 novembre eravamo alla sede del Circolo Ippico Toscano in attesa degli allievi e amici, e cominciavamo a meravigliarci non vedendo arrivare che poche persone le quali, come noi presenti in sede, non sapevano quanto era accaduto e ciò che stava maturandosi poco lungi da noi. Non prevedendo la imminente tragedia, osservavamo la pioggia che fino da tre giorni cadeva su Firenze e solo verso le ore 8.30 cominciarono le prime avvisaglie. L’acqua anziché defluire nelle fognature cominciò a invadere la sede stradale davanti al nostro portone d’ingresso. La cosa, pur meravigliandoci, non destò grande preoccupazione, finché l’acqua non cominciò a lambire i gradini, l’androne e pian piano salire ancora, avvicinandosi al maneggio. Fu la sopraelevazione di quest’ultimo a tranquillizzarci ancora, in quanto mai potevamo pensare a quanto poi avvenne, tenuto conto che il maneggio interno, rialzato di circa 80 centimetri dal piano stradale, avrebbe potuto ospitare i cavalli in caso di necessità, e considerando poi, a nostra memoria, che mai Firenze aveva subito un’invasione di acqua tanto abbondante. Ben presto però via Orti Oricellari fu tutta uno specchio di acqua e cominciarono ad arrivare frammentarie notizie che la piena dell’Arno aveva raggiunto le spallette e in alcuni punti stava già tracimando nella città. La precedente nostra meraviglia divenne un allarme; l’acqua continuava a salire e immediata sorse la preoccupazione di come e dove salvare i cavalli i quali, con la lettiera già galleggiante per l’acqua alta oltre i 10 centimetri cominciavano a dar segni di nervosismo e di eccessiva irrequietudine. Dove condurre i trenta cavalli al momento nelle scuderie, con le strade che stavano divenendo torrenti? Quale punto sopraelevato a noi prossimo poteva offrirci un asilo sicuro per gli animali? Fu la signorina Roberta Montesi che accennò allo scalo merci della stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, sopraelevata dalla piazza omonima di alcuni metri e relativamente distante dal nostro Cit. Purtroppo le persone rimaste nella sede sociale dopo la notizia sopradetta, oltre alla signorina Montesi, si erano ridotte all’avv. Console, al sig. Settimio Bassani, due palafrenieri e il sottoscritto; era giuoco forza far presto, non perdere minuti preziosi. Affrontammo così la difficile situazione. Prendemmo i primi cavalli sotto l’acqua che saliva e il primo viaggio fu fatto con relativa facilità in quanto gli animali erano restii a farsi condurre sottomano in mezzo alla corrente melmosa, sporca di tutto e dove già galleggiavano e correvano oggetti i più disparati. Rientrammo al Cit con l’acqua oltre il ginocchio. Partimmo ancora con il secondo, il terzo e quarto viaggio sommersi fino alla cintura e con una corrente ormai forte e minacciosa. La preoccupazione di quanto poteva accadere alle nostre case, ai nostri familiari in località diverse e prive già delle comunicazioni telefoniche, il timore della nostra incolumità, col passare del tempo stava prendendo campo in noi, restava solo l’ultimo trasporto, il più pericoloso e dovevamo ormai affrontarlo. Lo affrontammo e solo guidati dal Signore giungemmo sani e salvi e con gli ultimi cavalli allo scalo merci di Santa Maria Novella e ponemmo fine alla tremenda avventura caricando questi ultimi su dei vagoni merci colà in sosta.
Non resta oggi che un triste ricordo, ma allora nessuno di noi osò proporre il ritorno al Cit per sottrarre alle acque selleria e quant’altro rimasto, perché impossibile per prima cosa dato che le acque avevano raggiunto ormai l’altezza dei nostri petti e anche perché il nostro sguardo riviveva l’attraversamento lento e vacillante sostenuto agli incroci di via della Scala e via Alamanni, incroci superati con stento e fatica, sotto una corrente piena di detriti che ne ostacolava la marcia e cercava di trascinare noi e i cavalli nel suo vortice furioso.
Così furono messi in salvo i trenta cavalli del Cit, e nei giorni seguenti, per la buona volontà di soci, allievi e personale, provvedemmo al recupero di quanto ancora utilizzabile tra il fango, la nafta, vetri e rottami in genere ivi trasportati dalla marea che raggiunse all’interno del centro l’altezza di tre metri circa. Con il ripristino del materiale, con la sede sociale a fondo ripulita da ogni traccia, con l’attività della scuola man mano ripresa, tutto è rinato, tutto è rientrato nella sua normalità e nessuna traccia rimane del passato: vive solo in noi il ricordo della tremenda alluvione sostenuta il 4 novembre 1966.