C’erano e ci sono questi protagonisti, e ci permettono di unire i pezzi e di comporre la storia. Sono cavalieri e sono amazzoni davanti ai quali non resta che fare un inchino e restare, incantati, ad ascoltare
di Vittoria Smania
Martedì 25 febbraio 2014 – Iniziamo le ricerche – Una delle prime cose che abbiamo fatto per poter ‘scrivere’ il libro dedicato a Piero e a Raimondo d’Inzeo è stata quella di prendere la macchina, andare a Udine, suonare il campanello di una zia di Umberto (Martuscelli – lo ‘Scrittore’) e di convincerla a prestarci la raccolta completa del mensile “Il Cavallo Italiano”, un tempo edito dalla FISE.
Riccardo Storti, lo zio di Umberto, era un grande appassionato di equitazione oltre che un eccellente cavaliere, e queste riviste le ha acquistate, lette e conservate tutte. E il valore che avevano per lui è chiarissimo nella gelosia che la moglie dimostra nei loro confronti. Non le avrebbe cedute per nessun’altra ragione: per lei sono soprattutto un ricordo del marito… Ma Umberto è uno di famiglia, per lui e per questo progetto si può fare un’eccezione e poi dallo studio di Umberto non usciranno (e se lo dice lui, non usciranno sul serio, nonostante io cercherò in qualche modo di prendermene qualcuna… ). E… alla fine i giornali vengono delicatamente caricati in macchina e tornano indietro con noi.
Durante il viaggio di ritorno, seduta al posto del passeggero e quindi quasi con niente di particolare da fare, sentivo che quelle vecchie riviste esercitavano su di me un’attrazione magnetica. Sapevo che non avrei potuto averne nemmeno una – non sono certo affidabile e sicura come lo Scrittore – ma dentro allo spazio della macchina e al tempo di quel viaggio, ho potuto prenderne in mano e aprirne almeno una.
La sensazione è stata fortissima, come trovarmi dentro a un’altra dimensione, quella delle belle cose di un tempo. L’impianto grafico essenziale, semplice, elegante. I colori di un giallo dorato sbiadito invecchiato del fondo e di nero poco definito delle parole stampate. La consistenza della carta, la sua trama grossa che trattiene un po’ la pelle delle dita. E naturalmente il profumo.
La sensazione che mi dava tenere in mano una a caso di quelle riviste, stampata in quel formato ormai inesistente, grande, presente – era davvero ‘bella’. Sfogliando le pagine mi sono resa conto che avrei voluto leggerle tutte. Anche e solo perché il modo di scrivere di un tempo era così bello ed elegante e raffinato e ossequioso e attento e poco diretto e un po’ arzigogolato. E romantico, davvero romantico. E la consapevolezza del fatto che avrei voluto leggerle tutte mi ha fatto pensare che “meno male non poterle portare tutte via con me”, avrei senz’altro perso tutto il tempo a leggere e rileggere e a vagare dentro alle fotografie e alle didascalie e alle pagine e alle parole di quel gran numero di giornali che avevamo nel bagagliaio.
Ma appena arrivato a casa Umberto sì che ha iniziato a sfogliarle, a sentirne l’attrazione, a far fatica a rimetterle giù. Ha iniziato a guardarle quasi a caso, anche se avevamo già pensato che il susseguirsi delle vicende sportive raccontate in modo preciso e in ordine cronologico da quelle riviste avrebbe potuto rappresentare lo scheletro attorno al quale costruire tutto il racconto sulla vita dei due fratelli. D’altra parte quasi ogni pagina di tutti i numeri di questa pubblicazione parla in qualche modo di Piero e di Raimondo d’Inzeo. Sembra quasi un mensile fatto apposta per loro. O per noi, che quelle pagine le avremmo setacciate tutte per raccogliere la loro storia. Fatto sta che sfogliandole in ordine casuale quasi per prendere confidenza con loro, Umberto si imbatte in una classifica di una gara in cui un piazzamento veniva attribuito a Enrico d’Inzeo. Enrico d’Inzeo? Ma come? Dev’essere un errore! Eppure nella stessa classifica erano presenti sia Piero sia Raimondo. Quindi non poteva essere che la redazione avesse attribuito erroneamente il nome Enrico a uno dei due fratelli: loro c’erano poco sopra. Umberto chiama subito Giancarlo, uno dei tre figli di Piero e gli chiede chi è questo Enrico d’Inzeo. Giancarlo non si ricorda bene, ma dopo qualche giorno richiama e spiega che Enrico d’Inzeo è un cugino dei due fratelli, che è ancora vivo e che abita a Bolzano. Bolzano! Fortunatamente non ha detto Gallipoli, cioè un posto a quasi 1000 km da dove siamo noi, cioè Padova. No, da Padova sono solo circa 2 ore di macchina: fattibilissimo.
Umberto annota il numero di telefono e il giorno dopo lo chiama e poi mi manda un messaggio in cui dice che si potrebbe anche andare. Io – come al solito – sono tutta contenta, mentre lui – come al solito – mi risponde che però è una cosa difficile, perché questo cugino d’Inzeo è piuttosto anziano, non sembra in gran forma, sua moglie è ammalata, non si sa se sarà una cosa così semplice da organizzare…
12 febbraio 2015