Leicester, marzo 2015 – Era tornato alla ribalta nel 2012, quando la sua tomba fu ritrovata da una specifica ricerca voluta dall‘Università di Leicester: sotto ad un parcheggio venne individuato il sito della chiesa in cui era stato sepolto Riccardo III.
In realtà non era mai stato dimenticato, soprattutto grazie all’opera omonima di William Shakespeare che ne aveva eternato la figura (magari calcando un po’ la mano sul lato negativo della sua personalità, ma gli riconosciamo il diritto alla licenza poetica) e specialmente la tragica fine: Riccardo III morì infatti in battaglia nel 1485 a Market Bosworth, inerme in mezzo ad un’orda di avversari a causa della morte del suo cavallo, intrappolato nel fango e quindi abbattuto dai colpi nemici.
Si trattava di un grande corsiero grigio, Sheakespeare fa dire al re la sera precedente alla sua morte: “Sellate White Surrey per la battaglia di domani“. In realtà il nome del cavallo è una invenzione del bardo di Strutford-upon-Avon, nessun equino è annotato con quel nome nei registri di spesa delle scuderie della corte di Riccardo, ma è riportato in molte cronache che si trattasse effettivamente di un grigio. Quindi, aggiungiamo noi, con un po’ di parentele arabe nelle vene visto che l’incanutimento precoce del mantello ei cavalli è una caratteristica arrivata coi cavalli orientali, importati in modo abbastanza sensibile dai tempi delle Crociate in poi.
E dalla disperazione dell’immobilità causata dalla sua perdita esce il famoso “Un cavallo, un cavallo, il mio Regno per un cavallo!” di cui tutti abbiamo memoria: ancora oggi ci aiuta a capire, in una breve frase, quanto questi compagni con la criniera fossero indispensabili e fondamentali in ogni momento della vita, compreso quello terribile della guerra.
Dopo la battaglia che mise fine alla Guerra delle Rose e vide vincere Enrico Tudor, padre di Enrico VIII e nonno di Elisabetta I d’Inghilterra, il cadavere di Riccardo III fu portato a Leicester di traverso su un ronzino qualsiasi, sballottato senza cura dai sostenitori della rosa rossa dei Tudor: ben misera fine, per quello che è stato definito “...il fiore della cavalleria: l’ultimo re che conduce i propri uomini spalla a spalla in battaglia, ma, assai più di questo, che cerca di limitare lo spargimento di sangue risolvendo la battaglia in un duello singolo” (Annette Carson).
Ma non sarà quel ronzino l’ultimo cavallo legato alla storia terrena di Riccardo: domenica scorsa a Leicester quattro morelli hanno trainato l’affusto di cannone sul quale era stata posata la sua bara, il feretro era preceduto da cavalieri in armatura dell’epoca e seguito da moltissime persone venute anche dall’Australia e dagli Stati Uniti per assistere alla cerimonia.
C’erano anche i rappresentanti della famiglia Reale inglese di oggi – la regina Elisabetta II ha fatto un discorso ufficiale per l’occasione – e due discendenti diretti, da linea materna, di Riccardo III: per quello che riguarda l’essere legati alla propria storia e la capacità di trovare sempre il modo di portare un po’ di cavalli sulla scena non c’è nessuno come gli inglesi, dobbiamo ammetterlo.
26 marzo 2015