Bologna, marzo 2016 – Il video amatoriale girato in campo prova a Goteborg lunedì 28 aprile durante la recente finale di Coppa del Mondo in cui si vede l’amazzone francese Penelope Leprevost dare una gambata e poi un tirone al suo Vagabond de la Pomme dopo una fortuita inciampata del cavallo al trotto – che stava per causare una rovinosa caduta a terra – sta mettendo in subbuglio il mondo di Facebook (e non solo). Diciamo subito una cosa come premessa imprescindibile per qualunque successiva considerazione: è stata una cosa brutta da vedere. Senza alcun dubbio. Il punto è che questa cosa indubbiamente brutta da vedere ha subito sollevato una miriade di commenti che stigmatizzano l’accaduto come episodio di brutale violenza. E sul fatto che quello di Penelope Leprevost sia stato un gesto forte non ci sono dubbi. Ma è un gesto che corrisponde a un comportamento violento? La differenza tra ‘gesto’ e ‘comportamento’ non è poi così sottile come potrebbe sembrare, e anzi rappresenta molto bene uno dei temi di maggiore attualità e importanza nel dibattito pubblico circa il rapporto uomo-cavallo. Fermo restando che anche l’educazione nell’ambito di tale rapporto segue un progresso, e che dunque ben vengano le sensibilizzazioni attente e serene in tale prospettiva, rimane un fatto indiscutibile: non esiste al mondo cavaliere che non abbia mai dato un tirone, una frustata, una gambata al proprio cavallo, anche del tutto ingiustificatamente (ammesso che vi possa esistere una giustificazione). Non esiste. Chi sostiene il contrario è ipocrita oppure cieco. Parliamo naturalmente di cavalieri impegnati a un qualunque livello agonistico, ma attenzione: ciò non vuole affatto dire che l’agonismo comporti necessariamente violenza o comportamenti anche solo velatamente violenti. Il punto è che la situazione agonistica soprattutto di alto livello di per sé produce un carico di tensione e di stress sull’atleta che non è sempre del tutto controllabile. Lo vediamo in qualunque sport: qualsiasi sport. Prendiamo quindi il caso specifico di Penelope Leprevost. L’amazzone francese era impegnata in una delle due massime competizioni della stagione (l’altra è l’Olimpiade) e le cose non le stavano andando affatto bene, quindi il suo morale certo non era alle stelle in quel particolare frangente. Nel filmato la vediamo trottare in tutto relax con il suo cavallo, il quale a un certo punto si dimostra talmente indolente (o svogliato, o disattento: come dir si voglia) da non sollevare a sufficienza il piede anteriore sinistro nel movimento dell’arto in avanti: quindi lo zoccolo urta il terreno provocando la frana di tutto il treno anteriore del cavallo a terra, fortunatamente senza conseguenze (che sarebbero potute essere anche molto gravi sia per lui sia per lei). Una volta che Vagabond si è rimesso in piedi Penelope Leprevost controlla che non sia accaduto nulla di grave, dopodiché assesta una gambata con conseguente tirone per impedire la lanciata in avanti di Vagabond. Questo il fatto. Una punizione eccessiva per il cavallo? Può darsi. Un richiamo all’attenzione esagerato? Forse. Qualcosa che poteva anche essere evitato? Certo. Ma in ogni caso una cosa – un fatto, un comportamento – che per ragioni simili o anche diverse vediamo accadere ovunque a qualunque livello su qualsiasi campo ostacoli o campo prova del mondo. E’ questa una giustificazione? No, non lo è affatto. Ripetiamo: non lo è affatto (parentesi: non lo è affatto, tanto è vero che quando in campo ostacoli un concorrente si dimostra… diciamo poco gentile nei confronti del suo cavallo la giuria di terreno segnala immediatamente via radio al commissario al campo prova di seguire con attenzione quel tal concorrente al suo rientro). Non è una giustificazione, quindi: ma è comprensibile che talvolta possa accadere. Anzi: è accaduto a tutti, chi prima chi poi. E diremo di più: non è per nulla raro che dopo un gesto di intemperanza il cavaliere che l’ha effettuato possa avere un senso di affetto ancora maggiore nei confronti del proprio cavallo una volta ristabilito il giusto equilibrio nervoso. Come quando capita di sgridare il proprio cane: subito dopo lo si vorrebbe coccolare ancor più di prima (con buona pace dell’effetto della sgridata… ). E potremmo dire la stessa cosa per quanto riguarda i figli. Insomma: giuste o sbagliate che siano, queste cose succedono e non per questo chi ne è protagonista deve essere considerato come persona violenta. C’è quindi possibilmente la forza di un gesto: il che non vuol necessariamente testimoniare un comportamento violento. Penelope Leprevost ha fatto un gesto non bello, ma il comportamento violento è un’altra cosa: è per esempio mettere premeditatamente il proprio cavallo in una situazione di difficoltà in modo da provocare una sua reazione che poi giustifichi la ‘punizione’ da parte del cavaliere; è – ovviamente – utilizzare ripetutamente strumenti che provochino nel cavallo il tentativo di evitarne gli effetti; è il reiterare una punizione fin oltre un certo limite; è la mancanza di rispetto delle esigenze naturali del cavallo; è il sovrautilizzo del cavallo sia sportivo sia diportivo; insomma: sono tanti, purtroppo, gli esempi di vero comportamento violento nei confronti del cavallo da parte dell’uomo. E non saranno mai abbastanza le misure adottate per evitarne la pratica. Ma così come non basta il pelouche carino appeso fuori dalla porta del box per dimostrare amore incondizionato nei confronti del proprio cavallo, in egual misura non sono sufficienti una gambata o un tirone per certificare un comportamento violento.
30 marzo 2016