Bologna, aprile 2016 – Quanto povero, fazioso e prevenuto sia il mondo delle chiacchiere sulla nostra equitazione è stato dimostrato da quello che potremmo definire il caso Mancinelli. Il caso Mancinelli: viene perfino fastidio nel mettere insieme queste due parole tanto superflue, anzi proprio del tutto inutili nella loro associazione, e simboleggianti qualcosa costruito sul nulla che più nulla non si può. La cosa paradossale è che tutti indistintamente in Italia adoriamo il Graziano Mancinelli cavaliere: tutti. Impossibile – ovviamente – trovare qualcuno che possa eccepire qualcosa. La storia del Graziano Mancinelli cavaliere e uomo di cavalli è semplicemente meravigliosa. Non esiste qualcuno che possa dire il contrario. Eppure adesso c’è chi è costretto a difendersi erigendo barricate fatte di decine di Graziani Mancinelli contro chi attacca brandendo decine di Graziani Mancinelli come clave bitorzolute. All’attacco nel nome di Graziano Mancinelli e difendiamo il suo onore! Alla difesa nel nome di Graziano Mancinelli e difendiamo il suo onore! Qualcuno dovrebbe spiegare ai contendenti nel nome di Graziano Mancinelli che Graziano Mancinelli è ed è stato uno solo: quello che tutti adoriamo, sia chi adesso attacca nel suo nome sia chi adesso è costretto a difendere nel suo nome. Eppure la retorica monta roboante: le nuvole, gli angeli, lasciamolo galoppare lassù, le Olimpiadi dei cieli, anzi: dei Cieli… Cavolo (per non dire altro… )! Ma vogliamo parlare di cavalli e di sport e di cavalieri oppure ci deve essere un significato recondito e nascosto e subdolo e velenoso dietro qualunque parola? L’oggetto della polemica – che di ciò si tratta questa volta: pura e semplice e squallida e inutile e strumentale polemica – è la medaglia d’oro individuale vinta da Graziano Mancinelli a Monaco nel 1972. Vittorio Orlandi ha espresso al proposito un concetto che è parso offensivo e irrispettoso e mistificatore solo a chi non desidera altro che aggredirlo per ragioni di contrapposizione politica: tutti gli altri hanno inteso benissimo il senso delle sue parole. Dette, tra l’altro, non in occasione di un convegno dal titolo “Graziano Mancinelli e l’oro di Monaco”, bensì in un’intervista forse un po’ veloce, forse un po’ leggera, chissà… ma ciò non importa. Quello che importa è che gli avversari di Orlandi hanno tutti i diritti e – a loro modo di vedere – anche tutte le ragioni per fargli la guerra politica, così come i suoi sostenitori hanno tutti i diritti e – a loro modo di vedere – anche tutte le ragioni per sostenerlo politicamente: ma sulla base di contenuti quanto meno reali. Qui di reale non c’è proprio nulla. Certamente Orlandi è il primo a sapere che Mancinelli non ha vinto a Monaco per un colpo di fortuna: nessuno meglio di lui può saperlo. E non bisogna dimenticare che in quegli anni, anzi da molto prima di quegli anni e per molti anni a venire, Orlandi e Mancinelli sono stati compagni di sport e amici di sport. Insieme hanno vissuto imprese sportive memorabili (oggi purtroppo ce le possiamo solo sognare, ahinoi… ). Insieme hanno vinto e hanno perso. Anzi: ai tempi in cui montava Fulmer Feather Duster e poi Fiorello, molto spesso è stato proprio Vittorio Orlandi l’ago della bilancia dei successi dell’Italia nelle gare a squadre: vogliamo forse mettere in dubbio la consapevolezza di Vittorio Orlandi circa il ruolo della fortuna e quello della bravura ai fini dell’ottenimento di un risultato? Naturalmente lo sport è anche motivo di discussione e confronto dialettico: c’è molto di bello anche in questo, ovvio. Ma se ci si vuole avventurare in profondità bisogna anche conoscere le situazioni, i protagonisti, le premesse… Quanti tra quelli che ritengono che le parole di Orlandi abbiano configurato un reato di lesa maestà sapevano che Ambassador nel primo percorso della gara a squadre a Monaco ha fatto venti – dicasi venti… – penalità? Per poi… migliorare nel secondo facendone otto? E che qualche giorno prima della prova individuale Ambassador aveva fatto su quello stesso terreno un percorso di esercizio nel quale non aveva lasciato sui ferri una sola barriera, gettando lo stesso Graziano nel più nero sconforto? E si badi bene: a quei tempi la gara a squadre sia in un campionato internazionale sia in uno Csio (dunque la Coppa delle Nazioni) aveva un’importanza – universalmente riconosciuta – infinitamente maggiore rispetto a quella individuale: non per nulla nella cronologia del programma agonistico veniva sempre come prova conclusiva, anche negli Csio, a differenza di quanto accade oggi quando i valori (e di conseguenza la cronologia) si sono esattamente invertiti. Non per nulla la gara individuale a Monaco è stata fatta nello ‘stadietto’ di Riem mentre quella a squadre nello Stadio Olimpico coincidendo con il giorno della cerimonia di chiusura dell’Olimpiade. Cioè: è davvero verosimile credere che Mancinelli abbia vinto l’oro individuale perché in effetti quella era la gara che gli interessava di più, mentre invece della prova a squadre se ne fregasse altamente e quindi che Ambassador tirasse pure giù tutto tanto chi se ne importa? O piuttosto non è più verosimile pensare che Mancinelli abbia affrontato entrambe le gare con quel suo meraviglioso vibrante carattere, con quella sua furia agonistica e insieme perizia tecnica sublimi, e che però in una sola delle due prove Ambassador abbia risposto al meglio delle sue qualità fisiche e tecniche? E che quindi avrebbe potuto benissimo essere il contrario? Anzi: sarebbe stato quasi più ‘naturale’ il contrario, dato che una costante di Ambassador (soprattutto in età giovanile) era quella di cominciare spesso molto male il concorso di turno per poi finirlo altrettanto spesso in gloria? Ecco: questi sono gli argomenti sulla base dei quali confrontarsi e discutere e anche eventualmente criticare, non altro. Non altro. Spiace davvero che sia esploso questo caso, questa polemica. Addolora, veramente, e non ce ne vogliano gli angeli e le nuvole e le praterie e i campi ostacoli celesti, anzi: Celesti… : perché per una vera e propria stupidaggine queste nostre chiacchiere (certo, nostre: anche quelle di cui si sta leggendo qui, perché queste parole non avrebbero dovuto avere alcuna ragione d’essere… ) insozzano una delle immagini più belle della nostra storia sportiva, una delle squadre più forti che siano mai esistite al mondo (certo: questo possiamo e dobbiamo dircelo senza timore di scadere nel campanilismo) composta da quattro cavalieri che si chiamano Piero d’Inzeo, Raimondo d’Inzeo, Graziano Mancinelli e Vittorio Orlandi, un momento dei più inebrianti della vita del nostro salto ostacoli. Questa polemica è una mancanza di rispetto indifferenziata da parte di chi l’ha sollevata sia nei confronti di Graziano Mancinelli il quale è stato semplicemente usato come arma di offesa, sia di Vittorio Orlandi che teoricamente si troverebbe nella situazione di doversi scusare senza né motivo né ragione, e addirittura per estensione anche nei confronti dei fratelli d’Inzeo. Abbiamo tanti pretesti per accapigliarci e discutere e perfino polemizzare: crearne uno in più del tutto ingiustificatamente sembra proprio una follia… Non inquiniamo lo sport, almeno quello che è stato, con le faide politiche: questo no. Ne usciamo sconfitti tutti, indistintamente.
5 aprile 2016