Bologna, 28 dicembre 2016 – Mauro Checcoli, 73 anni, favoloso campione dello sport equestre azzurro (oro individuale e a squadre in completo alle Olimpiadi di Tokyo 1964), presidente dalla Fise dalla fine del 1988 alla fine del 1996, ingegnere, architetto, grande uomo di cavalli: la sua decisione di candidarsi alla presidenza federale nelle elezioni del prossimo gennaio ha suscitato un certo ‘rumore’ nell’ambiente.
Ingegner Checcoli, a cosa si deve questa sua iniziativa piuttosto sorprendente?
«All’immediata vigilia di Natale a Roma durante un incontro tra Vittorio Orlandi e Marco Di Paola io ho analizzato i problemi e le esigenze del nostro sport. Io sono convinto che il nostro sport in questo momento non abbia affatto bisogno di conflitti e di candidature opposte, tutt’altro: bisogna unire le risorse e le energie per uscire dal buco nero nel quale ci troviamo».
Lo vede davvero nero questo buco?
«Io capisco che un presidente in carica, anche se in carica da soli diciotto mesi, voglia difendere il suo operato: lo capisco, probabilmente io farei lo stesso. Però ci sono delle evidenze: la disorganizzazione della federazione, il fatto che gli uffici non comunichino tra loro, il fatto che non ci sia un coordinamento, una strategia, il fatto che il bellissimo programma elettorale di Vittorio Orlandi che tutti noi abbiamo appoggiato e votato sia stato di fatto dimenticato a vantaggio di una continua campagna elettorale, il fatto di veder gestire questa federazione come se fosse un club, un circolo privato nel quale il presidente fa, decide, briga chiuso nella stanza con il suo segretario… non va bene. E in più una cosa gravissima secondo me è che si tenda a considerare come pregio l’aver finito con un milione e mezzo di utile l’anno scorso e si dice due milioni quest’anno: in realtà è una cosa per me inaccettabile perché vuol dire che la federazione non ha investito, non ha offerto servizi, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Una federazione ben organizzata finisce in pari, non in utile».
Quindi lei si oppone a Vittorio Orlandi?
«Esattamente il contrario. Io vorrei che si attuasse il suo programma: che lo si attuasse veramente però! Io ho proposto a Vittorio, che è un amico di lunghissima data, di rimanere lui il presidente, di mantenere il suo programma che noi abbiamo tutti votato e al quale siamo moralmente legati. Ho detto a Vittorio: smettete di litigare tra voi e mettetevi d’accordo. Marco Di Paola è disposto a fare il secondo a Vittorio Orlandi. Si fa un consiglio in comune, ma con consiglieri che consigliano, non con amici che stanno in un angolo ad aspettare che il segretario generale – che tale non è, perché l’attuale è un consulente, un avvocato – mandi avanti delle cose e altre no… Non può funzionare così. Un segretario generale non può stare a Roma da uno a tre giorni e gli altri giorni a Milano a fare l’avvocato. Non esiste. Non esiste. Il segretario generale è il manager della federazione, quello che se ne sta lì dalla mattina alla sera tutti i giorni, tutte le settimane, tutti i mesi dell’anno: non è una cosa così strana quella che sto dicendo, non è una cosa stupida. Ora più che mai ci vogliono le energie di tutti per fare in modo che la nostra federazione funzioni».
E l’esito della sua proposta?
«Vittorio Orlandi non ha accettato. Io continuo a insistere: un giorno su due gli mando messaggi cercando di convincerlo ad accettare la nostra proposta che tra l’altro viene da un’associazione, l’Accademia Caprilli, della quale lui è ancora componente, quindi dalla sua associazione: noi lo vogliamo difendere, lui non deve offendersi se qualcuno di noi lo critica, noi lo vogliamo aiutare, noi vogliamo che lui si faccia affiancare da un giovane dirigente come Marco Di Paola e da un altro segretario generale prendendolo magari tra i tanti giovani in gamba che stanno crescendo al Coni al quale si potrebbe affiancare un consigliere di esperienza e capacità dandogli la delega agli uffici… Ma Vittorio non ha accettato».
Marco Di Paola sarebbe stato d’accordo, quindi?
«Non sarebbe: Marco Di Paola è d’accordo. Ha dato la sua piena disponibilità al progetto di fare il vicepresidente standosene a Roma e occupandosi di tutta l’organizzazione insieme al segretario generale per far funzionare la Fise al meglio ma attuando il bellissimo e giustissimo programma di Vittorio Orlandi con la presidenza di Vittorio Orlandi».
E quindi questo vuol dire che se Vittorio Orlandi e Marco Di Paola…
«Se si mettono d’accordo, e ci sono ancora diversi giorni a disposizione, io ritiro la mia candidatura. Altrimenti la mantengo e l’assemblea deciderà. Ci sono tante persone che sono scontente di come sono andate le cose e però allo stesso tempo non conoscono Marco Di Paola».
Per cui la sua candidatura nasce per andare a soddisfare questa potenziale fascia di elettori?
«La mia candidatura nasce per il motivo che ho detto a Vittorio Orlandi: a questo punto l’unico modo per evitare che accadano le cose del passato è quello di condizionarti con una terza candidatura, mi candido io. La mia quindi è candidatura tesa a sparigliare i giochi, a indurre Vittorio Orlandi a riflettere sul fatto che si può fare meglio di quello che si sta facendo».
Ma se per assurdo lei dovesse ricevere un consistente numero di preferenze?
«Proprio per assurdo… La maggioranza relativa l’avranno ovviamente Vittorio Orlandi e Marco Di Paola. Io forse avrò qualche voto: mi sono candidato tardi, non ho fatto campagna elettorale, non farò campagna elettorale, quindi è improbabile che la mia immagine di bravo presidente di vent’anni fa possa funzionare. Però, sempre per assurdo, se io dovessi prendere una percentuale di voti superiore a quella di Marco Di Paola lui farebbe confluire i suoi voti su di me, e viceversa nel caso opposto, io su di lui».
Però sembra di capire che questo non sarebbe l’ideale, dal suo punto di vista.
«Il mio atteggiamento è chiaro. Io spingo ancora oggi per arrivare a un accordo tra Vittorio Orlandi e Marco Di Paola nel senso in cui si è detto. Il presidente è Vittorio Orlandi, il programma da attuare è quello di Vittorio Orlandi, il vicepresidente è Marco Di Paola, un altro segretario generale, un consiglio condiviso. Questo è l’ideale assoluto, si mettono insieme le energie di tutti, l’Accademia Caprilli farebbe quello per cui è nata, cioè l’istituzione culturale della nostra equitazione, e tutti si lavorerebbe nell’interesse della federazione e del nostro sport».