Piacenza, aprile 2015 – Domenica 3 maggio a Morfasso grande festa del Bardigiano: valutazioni morfologiche, spettacoli equestri, stand gastronomici e clima di festa per tutti gli appassionati di questo pony bravo, bello e baio: per invogliarvi inseriamo un excursus storico-ippologico dedicato alla razza autoctona emiliana per eccellenza, che se poi vi scappa di andare subito a trovarli dal vivo sapete dove trovarli, tra pochi giorni.
Bravo, buono e baio: il Bardigiano.
Li avete mai visti a Verona, in Fieracavalli? Una nutritissima compagine di Bardigiani non manca mai allo storico padiglione AIA, il numero 8, dedicato proprio a Giovanni Marcora: Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste dal 1974 al 1980 firmò, nel 1977, il decreto che istituiva il Libro Genalogico della razza Bardigiana affidandolo all’Associazione Provinciale Allevatori di Parma. Ma quando li guardate all’opera tutti i rimandi burocratici scompaiono per incanto e rimangono solo loro, questi bai compatti che in simbiosi spirituale coi loro (spesso) giovanissimi cavalieri hanno sempre l’aria di divertirsi un mondo.
Che siano attaccati, si producano in un carosello o secondo i crismi della monta da lavoro poco cambia: quello che li dichiara fratelli sono la grinta da birba che brilla nei loro occhi e il serissimo impegno con cui lavorano. E’ questa la loro cifra, e non ci vergogniamo a confessare che per loro, seduti come di abitudine in mezzo al pubblico assiepato sulle scalinate attorno al ring delle esibizioni di Fieracavalli, abbiamo sentito pizzicare gli occhi di qualcosa che stava a metà tra la commozione e la tenerezza, con una fortissima venatura di rispetto e un bel po’ di simpatia. Il loro aspetto solido ma con delicate finezze da pony celtico (occhi grandi ed espressivi, orecchie piccole e intelligenti che sembrano parlare di continuo con tanto di punti esclamativi) è fatto per catturare l’attenzione ma è guardandoli lavorare che si capisce quale sia il loro punto di forza: i Bardigiani si impegnano sempre al massimo per fare del loro meglio, e con un sacco di entusiasmo.
Quasi logico a pensarci bene: sono i moderni discendenti dei piccoli cavalli usati nei secoli scorsi sull’alto appennino tra l’Emilia e la Lunigiana, adatti anche alla soma e capaci di pascolare con successo anche in territori certo non vocati alla produzione equina più elegante, quella dei soggetti di taglia per intenderci. Su queste montagne non c’era spazio né pazienza per chi non fosse capace di lavorare sodo, uomini e animali dovevano sudarsi la sopravvivenza con tutte le energie a disposizione: e questi cavallini trasportano oggi tutta la loro capacità di applicazione nelle attività equestri più disparate mettendo una antica, congenita buona volontà di collaborazione con l’uomo a disposizione di cavalieri grandi e piccoli.
Una volta non si chiamavano Bardigiani, erano indicati semplicemente come cavalli montanari: nel 1902 il prof. Moreschi descriveva i cavalli di queste contrade come «…rustici, forti, resistenti…taglia media sul 1,40 mt., corpo breve e forme tarchiate, occhi larghi e fisionomia dolce. Arti robusti, zoccoli duri, pastorale corto e mantello generalmente baio». Forse i loro primi antenati erano i pony che accompagnarono i Celti sin qui dal cuore dell’Europa: il ricordo di questo popolo è testimoniato dalle capanne in pietra ancora oggi disseminate in mezzo ai boschi di castagni e da antiche parole tramandate nel dialetto locale. Un apporto di sangue esterno alla popolazione equina stanziale può essere capitato nei secoli: qualche cavallo pesante dal Belgio con i Franchi, altri più gentili reperiti per le necessità dei cavalieri locali in epoca matildica (non lontanissimo da qui, sugli stessi crinali appenninici, c’è la Valle dei Cavalieri di medioevale memoria) e altri con un po’ di sangue orientale portati dai soliti invasori di passaggio. Ma l’isolamento dell’Alto Appennino emiliano ha fatto sì che si selezionasse naturalmente il cavallo di cui c’era bisogno in loco, adatto ai lavori agricoli e del bosco. Sempre abbastanza contenuti come numero (molte delle stazioni di monta governative aperte a fine ‘800 nella zona chiudevano nel giro di un anno per insufficienza di cavalle condotte al salto) la razza dei cavalli montanari subì un colpo durissimo a causa dell’emigrazione: gli uomini partivano dagli Appennini verso le Ande o per gli Stati Uniti in cerca lavoro. I piccoli paesi arroccati sui monti si spopolavano, i boschi venivano lentamente abbandonati a se stessi e la montagna cominciava a cambiare, rinselvatichendo sempre più. Niente uomini, niente più lavoro per i cavalli che vivevano con loro, in famiglia e il loro numero si andò sempre più assottigliando fino allo sgocciolio degli anni ’60 del secolo scorso, quando solo pochissimi esemplari rimanevano a testimonianza di quegli antichi compagni di lavoro: l’ennesima prova del fatto che è l’uomo a creare l’ambiente necessario all’esistenza del «suo» cavallo, proprio quello di cui ha bisogno e non altro. La razza venne appesantita per produrre carne ma qualche soggetto tipico c’era ancora, e assieme ai riproduttori di altre due razze molto vicine per similitudine morfologica e origini culturali (il Franche Montagnes e l’Haflinger, altri montanari DOC) e ad una oculata programmazione selettiva imperniata dal 1996 sul BLUP Animal Model in poco più di 30 anni gli allevatori di Bardi e dintorni hanno dato vita al Bardigiano che conosciamo tutti: un concentrato di potenza gentile, disponibilità e irresistibile simpatia ottenuto declinando qualità molto pratiche come robustezza e rusticità con il garbo raffinato così tipico dei parmensi. Andatelo a trovare nei giorni della sua festa a Bardi, in provincia di Parma, il primo fine settimana di agosto: siamo sicuri che farà emozionare anche voi.
Quel cavallino baio che vien dalla montagna.
Prende il nome dal paese di Bardi, nell‘Appennino Parmense, ed è una delle poche razze pony veramente caratteristiche al di fuori delle isole britanniche.
Ottimo carattere, mantello baio o baio oscuro con pochissima «biancheria» (al massimo due balzane per le femmine e una solamente per i maschi, tollerata una piccola stella in fronte), altezza al garrese che varia da un minimo di 130 cm. per le femmine e un massimo di 149 per i maschi. Come recita il disciplinare di razza il Bardigiano è un pony «…meso-brachimorfo, tendente al mesomorfo, di costituzione solida ed equilibrata e temperamento docile. Testa leggera con fronte larga e linea dorso naso leggermente concava, occhi grandi, vivaci ed espressivi, preferibilmente coperti da un folto ciuffo cadente. Orecchie corte, diritte e mobili, incollatura di media lunghezza ed inclinazione, con folta criniera preferibilmente doppia, garrese mediamente rilevato, asciutto e di media lunghezza, groppa ampia e muscolosa, di inclinazione intermedia e di giusta lunghezza. Gli arti con ossatura robusta e asciutta, pastorale tendenzialmente corto con barbetta, piede grande dalle unghie solide, elastiche e compatte, adatto al vivere in terreni accidentati e difficili».
In più, aggiungiamo noi, è terribilmente simpatico: ma non riusciamo a dare questa definizione in modo professional-burocratico, come sarebbe d’uopo.
15 aprile 2015