Bologna, gennaio 2016 – Pensieri di carattere generale sull’equitazione e sullo sport equestre. Vale la pena di fare una piccola pausa e prendersi qualche minuto di tempo per leggere:
«Un vecchio cavaliere – non tanto di anni però – a cui avevo scritto mie impressioni in materia equestre, nel rispondermi chiosò la sua lettera con la frase: “Alla nostra età si finisce per fare della filosofia sull’equitazione, mentre i giovani oggi guardano solo al lato speculativo”. Quando lessi pensai che nessuna chiosa fosse più appropriata per sintetizzare uno stato di fatto attuale, che ha il suo acme in circostanze di incomprensione reciproca fra vecchi e giovani cavalieri, stato di fatto che si traduce in contrasti di vedute, talvolta in conflitti di idee, pur essendo tutti d’accordo sulla sostanza: che in questo sta il lato, l’aspetto strano dello strano fenomeno. I primi infatti nel trattare di equitazione ne fanno questione di arte, cioè di capacità, in omaggio ai principi sanciti dal Maestro, gli altri di vincere, cioè ne fanno questione di mestiere utilitario, senza tener conto di scuola. Il punto di contatto dovrebbe trovarsi nel fatto che si può vincere – e forse si hanno maggiori probabilità e possibilità di vincere – senza sacrificare l’arte – leggasi correttezza, seguendo le norme prescritte dal sistema. Ma se filosofia nella sua etimologia significa amica della sapienza e se i vecchi cavalieri, per la loro non dubbia esperienza, devono essere considerati ‘color che sanno’, sembra anche logico che essi cerchino di porre il frutto delle loro conoscenze acquisite e sperimentate – leggi sapere – a portata dei giovani affinché se ne valgano; ma sarebbe anche logico che i giovani accogliessero, se non proprio con riverenza, almeno con buona predisposizione, con un certo qual riguardo e interessamento quanto questi vecchi loro dedicano – ché non possono più dare l’esempio – certamente con quell’amore con cui il padre propina, talvolta, anche uno scapaccione al figlio caparbio e con la sofferenza che lo stesso padre prova allorché, vivendo la vita del figlio, vorrebbe vederlo affermarsi e riuscire meglio e quello non ce la fa, perché non sa e non comprende. E questa, sia pur filosofia, dovrebbe essere studiata, non con predisposizione ostile o con prevenzione, sol perché proviene da una data persona, anche se parla, talora, chiaro e duro; sia pure con mente critica, ma con quella serenità che permette di sceverare il buono dal meno buono, il vero dal non esatto, il giusto dal falso, il teorico dall’applicabile e pratico e, perché no?, l’utile dall’inutile. Vi fu chi disse, non senza un certo qual fondamento di verità, che fra i cavalieri in genere si legge poco e male: si sa, la loro attività li distrae molto dalla teoria scritta e ciascuno, per lo più, si aggiorna – spesso superficialmente – con letture sommarie fatte a tempo perso e non sempre dalle migliori fonti, o per riferimento da parte di altri: pertanto non sempre assorbendo il lato esatto, talora non comprendendolo a fondo, talaltra travisando significato, sostanza o portata dello scritto. Ma non vi ha dubbio che, se questa mentalità di applicazione si diffondesse, vedremmo allora nei nostri maggiori stimolato un impegno a riprendere la penna, di taluni maestra, anche per la inestinguibile e pura passione che la animerebbe, e manifestare la loro opinione orientatrice e di guida anche in questo nostro momento difficile dell’arte equestre, sia pur filosofeggiando. E io posso garantire che molte cose interessanti questi vecchi Maestri avrebbero a dire, molte cose di valore si apprenderebbero da essi, sapendo leggere e comprendere. E forse si potrebbe dileguare la fase di disorientamento che regna oggi in Italia, in fatto di equitazione e finalmente essa potrebbe trovare la sua via giusta. A parte tutto si potrebbe costituire un patrimonio culturale, anche di valore pratico, relativo a un’era storica dell’equitazione. E un po’ di sopportazione non nuocerebbe, se non altro come scuola. Sono considerazioni teoriche le mie: lo so. Ma forse possono anche racchiudere un invito e chissà che qualcuno non voglia accoglierlo. È speranza e voto augurale».
Ebbene, chi scrive queste righe? Le scrive Mario Badino Rossi (chi lo conosce sa chi è, per chi non lo conosce basti dire che era uno che la sapeva lunga). Ma la domanda principale è la seguente: quando le scrive? Risposta: nel 1954. Nel 1954 Mario Badino Rossi parla di “fase di disorientamento che regna oggi in Italia in fatto di equitazione”. Sessant’anni fa… Sessanta.
19 gennaio 2016