Bologna, maggio 2016 – Domenica 22 maggio 2016: una data che probabilmente segnerà un momento destinato a diventare storico per il mondo dello sport equestre italiano. Questa domenica ormai prossima sarà infatti il giorno in cui formalmente riprenderà a vivere il centro equestre dei Pratoni del Vivaro. E’ difficile dire cosa rappresenta nel cuore e nella mente di chi oggi ha almeno più di trent’anni questo nome, questo simbolo, quest’idea: i Pratoni del Vivaro. Un luogo per il corpo, un luogo per lo sport, un luogo per lo spirito, per i sogni, per la vita, un luogo di fatica, di gioie e di dolori, di progetti, di vittorie e di sconfitte, un luogo grazie al quale l’equitazione italiana e i suoi uomini e i suoi cavalli hanno scritto la storia, un luogo dove istruttori, allievi, cavalli, atleti, campioni, tecnici hanno scoperto il senso della loro stessa esistenza. Non c’è mai stato niente in Italia come i Pratoni del Vivaro. Niente. Olimpiadi, Campionati del Mondo, Campionati d’Europa, Campionati d’Italia, Saggi delle Scuole, corsi istruttori, preparazione di cavalli sia federali sia privati, stage di aggiornamento, ritiri collegiali, preparazioni olimpiche… tutto questo è stato vissuto lì, in quelle scuderie, in quella foresteria, su quelle meravigliose dolci colline. Ma anche lontano da lì: in tutte le scuole di equitazione sparse tra sud e nord, est e ovest, dove centinaia di nuovi giovani tra amazzoni e cavalieri venivano cresciuti facendo battere il loro cuore all’idea di poter arrivare un giorno al Centro Equestre Federale, ai Pratoni del Vivaro, per rappresentare i colori della propria società di appartenenza e sfidare così tutti gli altri coetanei, compagni, amici e avversari in quella meravigliosa competizione che era il Saggio delle Scuole, forse la manifestazione agonistica che più di ogni altra ha caratterizzato la vita e l’essenza dei Pratoni del Vivaro, forse più ancora di quelle Olimpiadi del 1960 che furono la ragione della nascita di questo impianto favoloso, più ancora del Campionato del Mondo del 1998 e dei vari Campionati d’Europa e d’Italia che lì sono stati disputati.
Le ragioni per le quali questo immenso patrimonio a un certo punto sia andato in rovina fino ad arrivare a un passo dallo sparire per sempre sono ormai note, e comunque oggi è molto piacevole evitare di ricordarle. Oggi è molto più bello concentrarci su questa imminente domenica 22 maggio, quando alle 11.30 proprio ai Pratoni del Vivaro verrà ufficializzata la rinascita del centro con la presentazione del progetto complessivo. Un progetto che potrebbe condurre i Pratoni a essere nuovamente teatro di gare olimpiche, visto che il luogo è stato inserito come sede per il completo nel dossier di candidatura da parte di Roma all’organizzazione dei Giochi Olimpici 2024. I padri di questa rinascita sono molti: tra privati e istituzioni, si tratta di un gruppo di persone che hanno sentito l’obbligo morale di impegnarsi a fondo per impedire che gli agonizzanti Pratoni del Vivaro sparissero per sempre dalla vita di tutti noi. Donne e uomini ai quali va incondizionatamente tutta la nostra più sentita riconoscenza, la riconoscenza dello sport equestre italiano: il Coni e il suo presidente, Giovanni Malagò; i sindaci di Ariccia, Rocca di Papa e Rocca Priora, rispettivamente Emilio Cianfanelli, Pasquale Boccia e Damiano Pucci; il direttore generale del demanio, Roberto Reggi; Mauro Checcoli e Giulia Serventi, in rappresentanza dell’Accademia Caprilli (che diventerà responsabile della gestione del centro); la Fise e i suoi organi dirigenziali a partire dal presidente Vittorio Orlandi; e quel meraviglioso, caldo e appassionato movimento popolare che si è coagulato all’interno di un gruppo Facebook guidato da Margherita Carafa Iacobini e Marco Salvatori e che ha raccolto tutti i nomi più significativi del completo italiano (alcuni dei quali praticamente operativi sul progetto: Francesco Girardi, Fabio Fani Ciotti, Massimo Ramires e Carlo Bolaffio tra i numerosi altri), riuscendo a coinvolgere perfino fuoriclasse del completo internazionale quali Mark Todd, tra i tanti.
Ma se tutti loro possono essere considerati i padri della rinascita, della nascita il padre è uno solo: Ranieri di Campello, alla memoria del quale infatti il ‘nuovo’ centro equestre dei Pratoni del Vivaro verrà intitolato. E’ stato lui da presidente della Fise a metà degli anni Cinquanta a individuare quella vasta area e a pensarla immediatamente come perfetta per il completo olimpico di Roma 1960. Ne era proprietaria la famiglia Armenise (proprietaria anche della Banca Nazionale dell’Agricoltura) che poi ne vendette una parte al Coni per farne tramite la Fise quello che fino al luglio 2013 noi abbiamo conosciuto come Centro Equestre Federale. Campello sapeva benissimo quali fossero le caratteristiche ideali per un luogo che doveva ospitare un evento del genere: lui era stato ufficiale di cavalleria, cavaliere internazionale di completo (Olimpiadi di Berlino 1936) e di salto ostacoli (nel 1937 vincitore della Coppa delle Nazioni a Roma e 2° nel Gran Premio di Aquisgrana), grande amatore delle cacce a cavallo, quindi quei declivi morbidi e lunghi, quel terreno elastico e sonoro, quelle colline calme e rasserenanti gli parvero da subito quanto di meglio si potesse immaginare per costruire un percorso olimpico di cross. La lungimiranza, del resto, era una delle qualità peculiari di Ranieri di Campello, uomo di alta aristocrazia e di formazione militare ma per nulla conservatore e di mentalità ‘antica’: anzi, lui vedeva nei giovani e nel progresso la linfa essenziale per la vita e per lo sport.
Nato a Spoleto nel 1908, Ranieri di Campello è stato senza alcun dubbio il più importante presidente della Fise di sempre: una figura monumentale per le sorti dello sport, la cui influenza ha prodotto effetti dei quali tutti noi beneficiamo ancor oggi rendendo la sua immagine realmente enorme e soprattutto costantemente attuale. Nominato dal commissario straordinario del Coni, Giulio Onesti, come reggente della Fise il 4 settembre 1944, poi eletto presidente il 27 aprile del 1946, Ranieri di Campello rimase alla guida della federazione fino al 29 maggio 1959, giorno della sua prematura scomparsa dovuta a gravi problemi di salute originati dalle numerose ferite riportate in battaglia durante la seconda guerra mondiale: ancora oggi addolora il pensiero che lui non abbia fatto in tempo a vedere l’Olimpiade ai Pratoni del Vivaro. Il suo compito in qualità di dirigente sportivo è stato a dir poco improbo: l’equitazione era stata annientata dalla guerra poiché la fonte primaria e quasi esclusiva del nostro sport allora era l’organizzazione militare ma alla fine delle ostilità i reggimenti di cavalleria erano ormai azzerati, gli impianti della Scuola Militare a Pinerolo e Tor di Quinto devastati, i cavalli e i cavalieri falcidiati dalle violenze del conflitto bellico. Quando Ranieri di Campello prende in mano la Fise tutto quello che la federazione possiede sono tre tavoli e sei sedie (in senso letterale!). Lo sport equestre in Italia di fatto non esiste quasi più. Bisogna ricostruire da zero. Per questa ragione da più parti, soprattutto quelle più conservatrici e tradizionaliste, il neopresidente della Fise viene sollecitato a organizzare la ricostruzione delle scuole di Pinerolo e Tor di Quinto in collaborazione con le autorità militari, ma lui si oppone fermamente convinto come era che tutte le risorse umane ed economiche – quelle poche che rimanevano – dovessero essere convogliate sul progetto di creazione e diffusione delle scuole di equitazione civili il più possibile sparse sul territorio (progetto che già Piero Dodi – presidente Fise dal 1932 al 1939 – aveva in qualche modo delineato, ma che con Campello trova piena e completa applicazione), ben consapevole che il futuro dello sport fosse lì e non più dentro l’apparato militare. E così accade: la Fise si impegna in tale prospettiva, ovviamente sostenuta dalla collaborazione offerta dalle varie realtà locali, e alla morte di Ranieri di Campello si conteranno in Italia ben trenta scuole di equitazione riconosciute e quaranta enti affiliati contro quello sparuto numero che alla fine della guerra si calcolava sulle dita di una mano. L’opera appassionata e lungimirante di Ranieri di Campello a favore dello sport equestre italiano trova riscontro anche a livello europeo: al congresso della Fei dell’ottobre 1946 a Parigi, il presidente della Fise presenta la richiesta di inserire nel calendario agonistico del 1947 i concorsi ippici internazionali di Roma (salto ostacoli) e di Torino (completo); non certo una proposta ‘facile’, tenendo conto del ruolo e della posizione dell’Italia in quel particolare momento storico, che tuttavia viene accettata forse più per il prestigio personale e il carisma di Campello che per l’effettiva consapevolezza di dover riattivare in qualche modo lo sport anche in Italia. In ambito Fei, poi, Ranieri di Campello sarà uno dei più convinti assertori della necessità di far rientrare Germania e Giappone nella ‘famiglia’ dello sport equestre internazionale, in opposizione al pensiero di gran parte dei rappresentanti europei: se ci si cala (se si tenta, almeno) nella realtà e nella mentalità del tempo, si capisce bene come tale proposta fosse molto azzardata e coraggiosa, oltre che di nobile e puro spirito sportivo. E ancora a Ranieri di Campello si deve la nascita delle gare internazionali di salto ostacoli riservate a concorrenti juniores, quello che oggi conosciamo come Campionato d’Europa per gli under 18: è lui a proporre l’iniziativa al congresso della Fei nel 1951, poi messa in opera in occasione dello Csio di Ostenda (Belgio) nel 1952 e riaffermata a Roma nel 1953 per arrivare a essere quindi ciò che è oggi.
Come si può facilmente capire, Ranieri di Campello (tra l’altro eletto vicepresidente della Fei nel congresso dell’ottobre 1952 a Bruxelles: prima volta che all’Italia viene riservato l’onore, e anche l’onere, di un seggio nel consiglio internazionale) era un dirigente assorbito al cento per cento dal mondo del suo sport. Il 7 settembre 1953 in secondo matrimonio sposa Maria Sole Agnelli, anch’ella donna di cavalli, e insieme avranno quattro figli (Virginia, Argenta, Cintia, Bernardino; dal primo matrimonio con Margherita Varè erano nati Rovero e Nicoletta), a loro volta attivamente impegnati fino a oggi nel mondo dell’equitazione. Il 6 dicembre 1956 Ranieri di Campello viene eletto presidente della Fise per la terza volta: le sue condizioni di salute dovute alle ferite riportate in guerra sono precarie, comunque non tanto da impedirgli di proseguire il lavoro con passione e dedizione inalterate. Il 26 maggio 1959 Ranieri scrive il testo della relazione da leggere all’assemblea della Fise in calendario il 3 giugno: ma il 29 maggio muore. Il 3 giugno quella relazione la legge commosso Francesco Formigli, vicepresidente della Fise. Il messaggio di Ranieri di Campello si conclude così: «Forte della vostra fiducia, implicita con l’eventuale approvazione di questa relazione e del bilancio, affronterò con i miei fedeli collaboratori le ulteriori responsabilità legate alle prossime Olimpiadi, con spirito libero da ogni personale ambizione, animato da puro sentimento sportivo al quale voi tutti certamente credete, perché sapete che solo l’amore per il nostro sport e l’attaccamento devoto alla Fise e a voi tutti mi indusse a mantenere fino al 1960, con ferma volontà, il grave compito affidatomi nonostante la mia non più perfetta salute». Questo è dunque l’uomo alla memoria del quale da domenica prossima il centro equestre dei Pratoni del Vivaro sarà dedicato.
18 maggio 2016