Rio de Janeiro, agosto 2016 – Che storia meravigliosa. Che finale spettacolare. Che cavalli straordinari. Che campioni formidabili. Rio de Janeiro consegna a tutti gli appassionati e al pubblico mondiale una finale di salto ostacoli che verrà ricordata a lungo. Non solo per ciò che si è visto in campo, ma anche per quello che ciascuno dei protagonisti – tutti, nessuno escluso – ha portato con sé in rappresentanza di sé stesso, come se ognuno dei finalisti avesse con sé una dote da offrire a questa giornata memorabile, un patrimonio da lasciare in eredità a tutti noi una volta tagliata la linea del traguardo perché tutti noi se ne possa beneficiare e se ne possa godere. Nick Skelton a 58 anni campione olimpico in sella a Big Star è il migliore manifesto che il salto ostacoli mondiale possa produrre in questo momento per illustrare sé stesso. Un cavaliere favoloso con una storia piena di momenti forti e indimenticabili nel bene e anche nel male, un cavaliere che vince oggi ma che è anche il simbolo di un’equitazione che senza fuoriclasse come lui rischierebbe di estinguersi, una pianta che affonda le radici nel passato glorioso del salto ostacoli britannico, il cui tronco attraversa tutto il trentennio Ottanta-Duemila per infine gettare i fiori più belli e profumati oggi, sotto il sole brasiliano di Rio de Janeiro. Un cavallo che quando nel 2013 ha vinto il Gran Premio di Aquisgrana è sembrato non avere emuli e rivali, il cavallo migliore del mondo, un’espressione di tecnica, forza, furore agonistico trasmessogli dal suo impareggiabile cavaliere come non se ne sarebbero potuti immaginare d’altri. Chi mai avrebbe potuto battere il binomio Skelton/Big Star? Nessuno. Solo la malasorte. Infatti da quel momento inizia un periodo travagliato caratterizzato da infortuni e riprese e poi ancora infortuni. Pochi concorsi in quel 2014 con un Campionato del Mondo che sarebbe dovuto essere il suo trionfo ma in realtà nemmeno affrontato. Fermo nel 2015. Dov’è Big Star? Cosa starà facendo Big Star? Tornerà lui? Scetticismo ormai imperante: se tornerà non sarà più lui… No, invece. Skelton ha gestito questo lungo periodo di lontananza dallo sport del suo fuoriclasse come meglio non sarebbe stato possibile: e adesso è il campione olimpico di Rio de Janeiro.
Oggi sul terreno del Deodoro Equestrian Centre il direttore di campo Guilherme Jorge Nogueira ha costruito una prima manche che ha prodotto ben quindici percorsi senza errori agli ostacoli, e una seconda con dodici: ma i doppi netti sono stati sei per il barrage finale. Tanto per avere un riferimento, a Londra 2012 si è avuto un barrage solo per la medaglia d’argento tra due binomi, a Pechino 2008 un barrage a due per l’oro e un barrage a sette per il bronzo, ad Atene 2004 un barrage a due per l’argento. Oggi c’è stata decisamente più suspance, anche se forse si potrebbe obiettare che un’Olimpiade non dovrebbe terminare con l’esito simile a quello di un normale Gran Premio pur di massima difficoltà. Ma sono riflessioni che lasciano il tempo che trovano: lo spettacolo c’è stato e di livello stellare, ma soprattutto nel risultato finale sono stati perfettamente rispettati i valori portati in campo da cavalli e cavalieri. E ciò nonostante tutte le più che giuste critiche che si possono fare – e che si sono fatte – al regolamento olimpico, in particolare circa il fatto che in finale i trentacinque qualificati ripartono tutti da zero senza quindi capitalizzare i risultati delle prove precedenti.
Skelton in barrage ha avuto il grande svantaggio/vantaggio di partire per primo. Quindi senza conoscere il risultato degli avversari (svantaggio): ma se in questa posizione si riesce a portare a termine una prestazione di massima eccellenza ecco che la pressione passa sulle spalle degli avversari i quali, cercando il sorpasso, possono essere facilmente indotti all’errore (dunque vantaggio… ). Soprattutto calcolando che stiamo parlando di livelli stratosferici di competitività, dove si gioca sul filo dei centesimi di secondo e su ostacoli di dimensioni imponenti dopo aver saltato due manches di una finale olimpica… Skelton è partito nel suo classico modo, quel modo unico e inimitabile che manda in delirio chi lo sta a guardare: il campione britannico attacca ogni ostacolo con un Big Star che pare voglia divorare i legni, salvo poi proiettarsi in alto e in avanti con quel suo stile così perfetto per un cavaliere come il suo… Steve Guerdat su Nino des Buissonnetts non intende cedere lo scettro di campione olimpico, seppure uscente: ma la resa è immediata con un incredibile errore sul primo ostacolo. Lo sceicco Al Thani su First Devision ha avuto il grande merito di chiudere le due manches a zero; ma in un barrage di finale olimpica bisogna avere quel qualcosa in più che a lui ancora manca, pur essendosi dimostrato davvero bravo nel fare tutto quello che si doveva fare nella maniera più giusta durante le due frazioni di gara precedenti: è questa la sua medaglia, per il momento. Kent Farrington ha fama meritata di cavaliere super veloce: lo è davvero, ovviamente; ma anche per lui il destino prevede un inopinato errore di Voyeur al numero uno che gli manda a monte tutti i piani, tanto da commetterne poi un altro. Quindi è la volta della grande rivelazione di questa Olimpiade: Peder Fredricson su All In. Oddio, rivelazione per modo di dire: gli addetti ai lavori bene conoscono la sua bravura; ma a Rio lo svedese si è superato, montando con una finezza e allo stesso tempo con una efficacia davvero ammirevoli, incantevoli. Quando entra in campo è matematicamente sul podio facendo zero; ma in realtà va a cercare anche l’attacco al primato di Skelton senza peraltro riuscirci, ma dimostrandosi molto sportivo e temerario nel rischiare di perdere tutto: chiude a zero e solo poco meno veloce del britannico. L’ultima parola spetta a Eric Lamaze su Fine Lady. Quello che si sa quasi per certo (quasi… ) è che se fa zero ha ottime probabilità di essere più veloce di Skelton. Ha l’occasione per dimostrare di non essere il cavaliere di un solo cavallo (Hickstead), cosa peraltro già ampiamente certificata. Ha l’occasione di diventare il secondo cavaliere della storia capace di vincere l’oro olimpico dopo il francese Pierre Jonqueres d’Oriola. E’ l’ultimo a entrare. Dopo di lui finisce la vita di questa Olimpiade. Campo prova paralizzato: non si muove nemmeno la coda di un solo cavallo. Spalti ammutoliti: gli spettatori non agitano più nemmeno i ventagli per farsi aria sotto il sole brasiliano. Tutto fermo. Si muove solo Fine Lady sotto la sella e sotto i comandi di Eric Lamaze: uomo e cavalla fanno tutto quello che devono fare al meglio di come lo possono fare. Campana. Galoppo. Lui e lei divorano terreno: entrambi e insieme cercano lo spazio, la traiettoria, l’elevazione, la distensione. E’ un duello meraviglioso, da respiro che si ferma e pulsazioni che rallentano. Alla fine il cronometro dice 42.09 contro i 42.82 del rivale: ma una barriera cade, quella barriera che senza cadere avrebbe cambiato il corso di questa storia. Invece il corso di questa storia non cambia e procede nella direzione in cui è giusto che proceda: Nick Skelton campione olimpico è la ragione della storia, di questa storia ma anche di quella più grande, quella nata il 30 dicembre 1957 quando in Gran Bretagna vede la luce un bambino che per gran parte della sua vita d’infanzia sognerà di essere come il fantino Lester Piggott, senza sapere di essere destinato invece a diventare uno dei più grandi cavalieri della storia del salto ostacoli mondiale. E oggi i bambini sognano di diventare come lui.
19 agosto 2016
LA CLASSIFICA FINALE