Milano, aprile 2015 – La domanda che è stata rivolta ad un campione di più di 1000 mamme dalla redazione di DotSport.it era: “Quale sport pensi sia più educativo per un bambino, e quale pensi sia più educativo per una bambina?”
Al di là della prima, banale considerazione (per i maschi si ritiene più utile uno sport individuale come il nuoto, per le femmine uno di gruppo come la pallavolo) ci spiace ovviamente vedere l’equitazione relegata al nono posto – senza nessuna differenza di genere stavolta, occupa la stessa posizione sia nella classifica azzurra che in quella rosa.
Ci permettiamo di spezzare una lancia a favore delle nostre discipline (evidentemente) preferite, e vorremmo che tutte le mamme la conoscessero un po’ di più e quindi fossero in grado di apprezzarle meglio, valutandone tutte le sfumature possibili.
Perché una volta assodato che come sport a livello base non è poi molto più dispendioso di altri, rimangono i tanti vantaggi positivi del tutto esclusivi e derivanti dal rapporto con il cavallo: un compagno e non uno strumento, che oltre a diventare spesso un amico insegna implacabilmente a toccare con mano i nostri limiti, ridimensiona ego ipertrofici e fa capire quanto sia importante capire l’altro per ottenere insieme buoni risultati.
In passato l’importanza educativa dell’equitazione era cosa ben conosciuta: la figura del maestro di equitazione diventava molto spesso fondamentale nella vita dei regnanti, o dei loro eredi.
Robert Dudley divenne il Maestro dei Cavalli di Elisabetta I e condivise con lei per anni lunghissime e piacevoli galoppate (oltre ad altri, meno sportivi, passatempi); Pluvinel vegliò sui progressi equestri di Luigi XIII; qualche anno più tardi il magnifico William Cavendish fece lo stesso con il piccolo re inglese esiliato in Francia, il futuro Carlo II e venne ripagato della sua abilità e fedeltà con un ducato tutto per lui, nuovo di zecca.
Probabilmente quindi c’era un altro valore aggiunto che veniva considerato fondamentale nell’educazione dei futuri potenti e che solo l’equitazione poteva dare: era il cavallo.
Proprio lui, il cavallo, l’altra metà di ogni cavaliere: che specialmente nel caso dei piccoli gentiluomini doveva essere ovviamente docilissimo, facile e perfettamente addestrato (la mortalità infantile anche tra le famiglie regnanti era altissima, c’era da giocarsi la testa a spalmare un erede al trono qualsiasi sulla sabbia del maneggio) dal cavallerizzo, scudiero o maestro dei cavalli che dir si voglia: poca importanza ha il nome che gli veniva dato nei diversi paesi, doveva comunque sempre fornire soggetti adatti e saper istruire in modo impeccabile i cavalieri a lui affidati. Che potevano, così, profittare del meraviglioso rapporto che si instaura con il cavallo.
E ne avevano davvero bisogno, quei piccoli monarchi in potenza: nati e cresciuti in mezzo ai cortigiani, gente che viveva all’ombra dei troni e grazie alle regalie che questi distribuivano a loro piacere e capriccio non avevano praticamente la possibilità di instaurare rapporti umani equilibrati. Gli unici esseri viventi che venivano in contatto con loro e non avrebbero mai pensato di adularli erano gli animali, e il rapporto con loro era probabilmente l’unico veramente indenne da ogni falsità. Un cane per la caccia, un cavallo per montare: e l’equitazione era anche considerata una perfetta metafora dell’arte di governare, dove dominando corpo ed emozioni si raggiungeva l’obiettivo di controllare la propria postura (ottenendo equilibrio, fuori e dentro) e convincere l’altro (il cavallo, in questo caso) a fare quel che si voleva.
Dovremmo portare tutte le mille mamme in maneggio per un po’, e poi rifare la domanda: secondo noi il risultato cambierebbe.
8 aprile 2015