Bologna, agosto 2016 – Gli dei dello sport hanno le loro leggi e non guardano in faccia a nessuno. Lo sappiamo tutti che le cose stanno così (salvo quando gli uomini hanno la pretesa di sostituirsi alle divinità dello sport… ma questa è un’altra faccenda) e quindi quando iniziamo a giocare siamo anche consapevoli delle regole del gioco: le accettiamo e quindi le dobbiamo rispettare, sia nel bene sia nel male. Detto ciò, ora è il momento di dire anche un’altra cosa: l’Olimpiade di Stefano Brecciaroli non doveva finire così. Questa è una grande ingiustizia. Non è un’ingiustizia rispetto alle regole e non è un’ingiustizia nemmeno rispetto allo sport: è un’ingiustizia nei confronti della persona di Stefano Brecciaroli, della sua storia, del suo essere cavaliere e uomo. Più che un’ingiustizia: una cosa non giusta. Una cosa sbagliata, ecco. Profondamente sbagliata, anche se le regole sono state applicate perfettamente. E sarebbe stata sbagliata anche nel caso in cui Stefano Brecciaroli avesse commesso degli errori, cosa che gli dei dello sport avrebbero giustamente sanzionato proprio perché loro le leggi le applicano senza guardare in faccia a nessuno. Infatti qui si parla di un’ingiustizia perpetrata dal destino: un destino che non doveva far commettere errori e non doveva far infrangere regole: non adesso, non oggi, non a Rio de Janeiro, non in queste Olimpiadi. Olimpiadi che Brecciaroli doveva portare a termine da protagonista. Come avrebbe meritato, come la sua storia avrebbe reso legittimo, come il suo essere cavaliere avrebbe giustificato. Stefano Brecciaroli (nato nel 1974) doveva essere il nostro numero uno e il risultato finale – quello che verrà stilato dopo la prova di salto ostacoli – avrebbe dovuto confermarlo. Stefano Brecciaroli avrebbe meritato tutto questo perché è un grande cavaliere ma ancor più perché è una grande persona. Un uomo di cavalli tecnicamente completo: quello che nella sua carriera ha fatto in… completo appunto non deve essere nemmeno ricordato; in salto ostacoli ha montato fino ad arrivare in Coppa delle Nazioni; in rettangolo ha suscitato l’ammirazione perfino di una addetta ai lavori competente come Valentina Truppa; è stato uno degli allievi prediletti di un maestro come Adriano Capuzzo, al quale lui sempre si riferisce con una ammirazione e un rispetto e una riconoscenza e una devozione commoventi; quando intrattiene una conversazione fa sentire il suo interlocutore come la persona più importante e interessante del mondo, anche se si tratta di qualcuno che all’uomo e al cavaliere Brecciaroli non arriva nemmeno all’ombelico; dentro di lui c’è praticamente tutta la storia dell’equitazione italiana moderna, quella che va dai grandi campioni del dopoguerra fino ai migliori fuoriclasse odierni. Certo, lo sport ha le sue leggi e i risultati si fanno sul campo: chi sbaglia di meno vince, chi sbaglia di più perde. Non basta essere ottimi cavalieri e ottime persone. Infatti qui non si sta parlando di risultati e di classifiche, no: si sta parlando di qualcosa di diverso e forse addirittura di qualcosa di più. Un qualcosa che avrebbe dovuto di certo impedire ciò che oggi è accaduto a Stefano Brecciaroli.
8 agosto 2016