Brescia, luglio 2015 – Cavalli, storia arte artigianato: una mostra storica, che ha messo a disposizione degli occhi del pubblico i pezzi più belli collezionati dal dottor Claudio Giannelli.
E’ quella che potrete ancora vedere a Travagliato, in provincia di Brescia, sino al 31 luglio 2015: inizialmente prevista la chiusura a fine giugno, ma visto il grande successo e l’interesse suscitato da questo insieme davvero unica un prolungamento straordinario era più che auspicabile.
Per noi è senza dubbio la mostra dell’anno: una collezione ricchissima non solo per numero e valore di mercato degli oggetti, ma anche per la ricerca consapevole che l’ha evidentemente costruita e per il chiaro trasparire dell’occhio di un uomo di cavalli dietro la presentazione di ogni pezzo. Ognuno inserito in una ricostruzione storica colta ma anche pratica, reale: una vera gioia da assaporare con gli occhi, di quelle che capitano così raramente a noi stregati da cavalli e storia.
Signor Giannelli, come mai ha cominciato a collezionare morsi?
«Perché ho sempre avuto una passione travolgente per i cavalli: mio padre era ufficiale di Savoia cavalleria, sono montato in sella a quattro anni e non ho ancora smesso. A 18 anni ero a Roma, al mercato di Porta Portese e per caso trovai un bel morso rinascimentale: l’ho comprato, è stato il primo di una lunga serie perché questa passione non mi ha più lasciato – purtroppo per le mie tasche!…ma a pensarci adesso ho fatto benissimo a comprarlo, oggi non si trovano più: paradossalmente è più facile trovare materiale archeologico, qualche imboccatura romana o etrusca. Ma i morsi medioevali o rinascimentali sono più unici che rari: perché erano oggetti d’uso, e allora tutto veniva riciclato quando non si utilizzava più, specialmente se fatto di materiale nobile come il metallo. E se non finivano fusi venivano magari smontati e impiegati – come decorazioni per mantelli, ad esempio».
Quale è il suo preferito?
«Sono innamorato di uno che mi è costato un sacrificio economico mostruoso: è del nono secolo avanti Cristo e proviene dal Luristan, una regione storica di quello che oggi è l’Iran sud-occidentale. Era un territorio ricco di miniere e la sua gente per 4 o 5 secoli ha prodotto le imboccature più belle mai fatte al mondo: erano realizzate in bronzo fuso con la tecnica della cera persa, le raffigurazioni che li decorano sono eccezionali, fantasiosamente complicate e accurate. Questo, quello che preferisco nelle placche laterali ha delle figure fantastiche con corna di stambecco e gambe umane: l’ho battuto ad un’asta contro il museo del Louvre e ho vinto io, per fortuna avevano un limite di budget e almeno quella volta ho evitato una frustrazione. E’ così interessante vedere come sono cambiati questi oggetti nei secoli: le prime guardie erano semplici ossa o corna che bloccavano lo scorrimento di una corda, redine e al tempo stesso imboccatura, impedendo così lo sfregamento e il ferimento della commessura delle labbra del cavallo. Risalgono al secondo millennio avanti Cristo, si trovano un po’ dappertutto nelle zone caucasiche, dalla Bulgaria e la Romania sino alle terramare emiliane nella pianura padana. Possiedo circa 500 pezzi che vanno dal 2000 avanti Cristo sino all’inizio del XIX secolo: qui a Travagliato ne ho esposti circa 250, ho scelto i più belli e abbiamo riempito come un uovo la bellissima Chiesa del Suffragio. E’ un allestimento bellissimo, irripetibile e di grande fascino. Ma non ho portato solo morsi, c’erano alcune cose che sarebbe stato un peccato non esporre come ad esempio 54 campanellini di bronzo mesopotamici portafortuna: venivano applicati ai finimenti contro il malocchio. E la collezione di fibbie, phalerae, ipposandali e speroni romani: lo sa che che i romani ne portavano solo uno? Lo applicavano al piede sinistro, è un dato che si può notare osservando bene statue e vasi decorati dell’epoca».
Non lo sapevo: ma come mai solo uno?
«Ci ho pensato su e credo che sia perché, non avendo le staffe, dovevano montare al volo: lo sperone del piede destro avrebbe corso il rischio di ferire il cavallo e quindi farlo scappare in avanti prima che il cavaliere fosse ben saldo in sella. Poi combattevano con la mano destra, quindi il cavallo avevano più che altro bisogno di contenerlo a sinistra. Osservando con un po’ di attenzione e senso pratico questi piccoli pezzi di storia si possono notare tanti particolari interessanti: ad esempio in tanti morsi antichi di bronzo ci sono punte acuminate dirette verso l’interno, che sembrerebbero dover colpire direttamente la cute dell’animale, delicatissima in quelle zone. Alcuni storici interpretavano queste punte come stimoli diretti al cavallo per farlo reagire a pressioni anche minime, ma personalmente sono di un altro parere. Credo fossero semplicemente il mezzo per fermare una imbottitura di feltro o cuoio frapposta tra metallo (spesso laminato in oro o argento) e pelle del cavallo per proteggere il primo dal sudore, che lo avrebbe ossidato e quindi rovinato in breve tempo».
Quante cose interessanti da raccontare.
Infatti sto preparando un libro: il primo al mondo sulla storia dei morsi che, indirettamente, racconterà anche la storia del cavallo. Servirà anche come catalogo per questa collezione, uscirà a novembre e lo presenterò al museo Bagatti-Valsecchi di Milano, stanno riattando una sala dove potrò di nuovo esporla: le vetrine sono divise cronologicamente, si comincia dal secondo millennio a.C. Sino al quinto secolo con cose etrusche, villanoviane poi i greci e il grande Luristan. Il Louvre di questi morsi ne espone 12, io ne ho 60; poi l’epoca romana, il medioevo e poi il ‘500, ‘600 e ‘700. In questi ultimi tre secoli si vede molto bene l’evoluzione dell’imboccatura, il braccio del morso si accorcia progressivamente e il cannone si semplifica sempre di più, le tipologie diventano sole 4 o 5 (ben poche, al confronto delle decine di epoca rinascimentale) e non potendo esibire bracci di leva erano abbelliti da falere laterali.
Come mai erano cambiati così tanto i morsi, in quel poco tempo?
«Era cambiato l’utilizzo che si faceva dei cavalli, i morsi si adattavano al lavoro che dovevano svolgere. Non è che mancassero di sangue o fossero tanto diversi, cambiava semplicemente l’impiego. I cavalli fini ci sono sempre stati, gli Sciti ad esempio ne avevano di magnifici. E anche presso quelle culture i cavalli erano dei veri e propri status-symbol: i Pazirik li ricoprivano d’oro, all’Hermitage ci sono finimenti di una ricchezza impressionante fatti da quei popoli della Siberia, e i loro cavalli erano longilinei, piccoli, non pesanti. Sono interessanti anche i morsi cinesi, ho dedicato loro un piccolo angolino: sono sempre uguali, i cinesi badavano molto alla funzionalità, erano buoni cavalieri, usavano un filettino di ferro e via».
Ultima domanda: quali sono le impressioni dei visitatori dopo aver visto questa mostra?
Molti sono davvero sbalorditi, esprimono la contentezza per aver scoperto qualcosa di bello che non conoscevano. Il commento più frequente è che non pensavano assolutamente esistesse tanta storia, tanta ricchezza dietro qualcosa di cui si parla così poco. E poi viene tantissima gente che non ha mai avuto a che fare coi cavalli: spero sia un bel modo per avvicinarli al nostro mondo».
La collezione Giannelli rimane esposta alla Chiesa del Suffragio di Travagliato (Bs) sino al 31 luglio 2015: resterà aperta il Sabato e la Domenica dalle ore 10 alle 12 e dalle 16 alle 20, nei giorni feriali la mostra sarà visitabile solo da gruppi organizzati.
Per informazioni: [email protected] Tel. 030 6864960
15 luglio 2015