Asgabat, dicembre 2015 – Il Presidente del Turkmenistan, Gurbanguly Berdymukhammedov, è solitamente preso di mira per certi suoi atteggiamenti un po’ sopra le righe: il monumento equestre dorato che si è fatto erigere nella capitale, tanto per dirne una, non si può prendere esattamente come un esempio di understatement ma, ogni tanto, l’accanirsi del mondo mediatico verso ogni suo gesto può essere altrettanto esagerato.
Prendete il suo decreto del 21 novembre scorso, che proibisce di cambiare nome ai cavalli Akhal-Teké (sua passione personale oltre che vanto nazionale) e ne regolamenta la sepoltura: è stato interpretato come l’ennesima boutade dell’ex medico dentista di Barabab, mentre secondo noi ha un suo senso ben preciso.
Primo: cambiare nome ai cavalli faciliterebbe il commercio fraudolento o l’esportazione incontrollata dei soggetti più pregevoli, non sapendo se in Turkmenistan usano il micro-chip indentificativo interpretiamo la regola come un tentativo di mantenere integro il patrimonio allevatoriale turkmeno evitando inutili fumosità burocratiche e inghippi genelogici.
Secondo: anche l’obbligo di seppellire con tanto di funerale e in terreni destinati ufficialmente a tale scopo gli Akhal-Teké che furono può avere una funzione di monitoraggio ben precisa. Dovendo seppellire la carcassa, infatti, è possibile verificarne l’identità oltre che con il nome dichiarato, anche con i segni particolari del soggetto deceduto: e anche questo è un modo per evitare che una super-fattrice o un nobilissimo stallone vengano spediti all’estero per far dané, seppellendo al posto loro un ronzino qualsiasi.
Terzo: cambiare nome ai cavalli ha sempre portato jella, quindi in questi frangente ci troviamo d’accordo, a prescindere, con il Presidente Turkmeno.
23 dicembre 2015