Mantova, 30 marzo 2018 – La notizia della caduta da cavallo di Cristel Pinardi aveva commosso e interessato tantissimi di noi: giovane, spensierata e allegra come tutti i ragazzi della sua età, vittima di un incidente durante una passeggiata in notturna che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche.
Ma Cristel ce l’ha fatta: è rinata, letteralmente, perché quando vai così vicina alla morte e poi torni indietro vuol dire che ti hanno ridato un’altra vita.
Questa la sua storia, ringraziamo di cuore Cristel di aver scelto Cavallo Magazine per raccontarsi.
“Non ho mai avuto una famiglia particolarmente attratta dal mondo equestre, fatta eccezione per mia sorella Michela”, spiega Cristel. “Infatti è stata proprio lei a farmi avvicinare ai cavalli e, all’età di 7 anni, mi mette in sella alla sua prima cavalla: Joy! Siamo cresciute in una casa un po’ isolata dal paese e questo ci ha permesso di tenere Joy a casa nostra e vivercela quotidianamente.
Le cose iniziano a cambiare quando mia sorella rimane incinta di sua figlia, Grace, e trasferendosi porta con sé anche Joy. Nella nuova casa, crea un piccolo maneggio e ben presto si circonda di 5 cavalli: Joy, Mael, Pablo, Bimba e Dominante. Questo ovviamente non ci impedisce di vederci, anzi spesso la stresso perché voglio che mi faccia lezione e così all’età di 11/12 anni inizio a saltare gli ostacoli.
Siamo nel 2012 e io inizio a frequentare le superiori. Mi trasferisco a Castiglione delle Stiviere per frequentare la scuola da estetista alla quale mi ero iscritta. Inutile dire che questa scelta di vita mi allontana molto dal mondo equestre: le passeggiate diventano molto sporadiche, nel 2013 i cavalli di mia sorella vengono tutti venduti e per placare la sua voglia di avventura decide di salire su altri cavalli, quelli delle moto. Per 4 lunghi anni i nostri interessi diventano inevitabilmente altri, avevamo abbandonato il mondo equestre, ma dopo poco accade una serie di eventi che cambiano tutto: mia sorella fa un incidente importante che la fa allontanare dalla moto, io mi diplomo e torno a casa e nostra madre apre un’attività, un bar, in cui io e mia sorella lavoriamo tutt’ora.
Qualche mese prima di finire la scuola decido di tornare a casa: dovevo prendere la patente e così inizio anche a riprendere qualche lezione a cavallo in un maneggio vicino a casa. Cavalcare mi piace ma ben presto capisco che la cosa non può andare avanti a causa dei troppi impegni e il poco tempo a disposizione. Nel frattempo, mia sorella, che ha ormai abbandonato le moto, decide di riavvicinarsi all’equitazione e compra un cavallo Frisone intero di 6 anni degno di nota: Hotse, 8 quintali di pura forza. Hotse permette anche a me di riavvicinarmi a questo mondo.
A giugno mia sorella mi parla di una passeggiata a cavallo organizzata vicino a Soave, un paese in provincia di Mantova. La cosa mi interessa e decido di partecipare, l’unico problema che ho è trovare un cavallo. Qui facciamo un passo indietro.
Mia sorella trasmise la passione per i cavalli anche al papà di Grace, di conseguenza Grace aveva un suo cavallo e visti i buoni rapporti tra suo papà e mia sorella: quale cavallo migliore se non quello di mia nipote?! Perfetto! Ho un cavallo! Si chiama Mario ed è il cavallo di una bambina di 8 anni; negli ultimi mesi ho montato un frisone gigantesco cavandomela anche abbastanza bene, quali problemi avrebbe mai potuto darmi questo ora? Qui arriviamo al giorno che mi cambierà la vita.
Arriva la sera dell’8 luglio. Saluto i miei genitori, che si stavano preparando per passare un week-end fuori, vado da mia sorella, ci prepariamo e poi insieme ci rechiamo al maneggio dal quale era prevista la partenza con i cavalli. Lì vedo Mario per la prima volta: un cavallino bianco che correva qua e là per il recinto. Dopo aver aiutato mia sorella a preparare Hotse, andiamo a preparare Mario. Io ricordo solamente di avergli fatto le treccine, dopodiché per me inizia il buio totale perché non ricordo più nulla.
Non ricordo il mio incidente, non so cosa sia successo veramente e probabilmente non lo saprò mai, quindi ti racconterò quello che è stato raccontato a me, quello che ha visto e vissuto una persona in particolare: mia sorella.
Eravamo partiti da soli 10 minuti con una trentina di cavalli, io e mia sorella eravamo in fondo alla coda: lei davanti a me con un’amica a parlare e io dietro di lei. Mario era molto lento, lo incitai ad andare avanti ma non feci neanche in tempo ad alzare il frustino che in pochi secondi Michela vide Mario impennarsi e rovesciarsi all’indietro, disarcionandomi e schiacciandomi.
Mia sorella scorse il mio corpo a terra non alzarsi più e così mollò Hotse in mezzo a tutti per correre da me.
Mentre mi raggiungeva sentiva forti grida piene di dolore uscire dalla mia bocca, vedeva i miei polsi girarsi come fossero rotti, mi guardò il viso e vide i miei lunghi capelli biondi impregnarsi di sangue così come le sue mani e ad un tratto vide i miei enormi occhioni azzurri guardarla fisso negli occhi per poi chiudersi all’improvviso.
Mi urlò, quasi fosse un ordine, di rimanere lì con lei, perché se fossi morta io, lei sarebbe morta lì con me.
In quel momento non capiva più nulla, chiese subito a qualcuno di chiamare i soccorsi e si sentì dire che doveva chiamarli lei.
Lei, che aveva il corpo di sua sorella pieno di sangue tra le braccia; tese le mani piene di sangue verso gli altri e con un urlo pieno di rabbia chiese in che modo avrebbe potuto chiamare i soccorsi.
Così una ragazza prese il telefono e compose il numero, ma c’era un problema: dov’eravamo?
Era notte, eravamo in mezzo alle campagne e non si sapeva che posizione dare se non quella del paese dal quale eravamo partiti.
Intanto il tempo passava e mia sorella, non si sa come, si accorse che stavo soffocando, d’istinto mi prese il volto, lo girò e cercò di pulirmi da tutto il sangue che avevo in gola tirandomi fuori la lingua.
Sai? Mi ha salvato la vita!
I soccorsi non arrivavano, dalle campagne si vedevano le sirene girare per il paese ma l’ambulanza non arrivava.
Mia sorella disse subito a chi aveva attorno di andare a prenderla e portarla lì ma i cavalli non si muovevano, ci credi? Io ancora oggi faccio fatica a crederlo, ma i cavalli non si muovevano.
All’improvviso un uomo riuscì a far partire il suo cavallo al galoppo ad una velocità impressionante in mezzo al nero della campagna.
Ancora oggi mia sorella ricorda quella come la scena di un film, dicendo di non aver mai visto un cavallo fidarsi così tanto del suo padrone e sfrecciare nel nulla più totale a quella velocità.
Ho ringraziato molto quell’uomo perché penso che lui, insieme ai tanti dottori, abbia contribuito a salvarmi la vita; probabilmente senza di lui le ambulanze sarebbero arrivate troppo tardi e io non sarei qui a raccontarti la mia storia.
Fa impressione sapere che si è vivi per una serie di circostanze del tutto casuali, vero?
Quella sera in molti hanno rischiato qualcosa a causa del mio incidente, mia sorella aveva lasciato Hotse libero cercando di raggiungermi, ma Hotse non era un cavallo tranquillo, era uno stallone in mezzo a delle cavalle, per non parlare dell’uomo che è volato con il suo cavallo in paese senza poter nemmeno vedere dove stesse andando.
L’ambulanza e le auto mediche arrivarono finalmente da me, erano già al corrente della gravità del mio incidente.
Mi intubarono sul posto e mi portarono all’ospedale d’urgenza.
Mia sorella insistette per salire con me sull’ambulanza e alla fine i soccorritori glielo concessero dopo aver capito che quella avrebbe potuto essere l’ultima opportunità per salutarmi.
Arrivai all’ospedale di Mantova in condizioni veramente pessime, Michela arrivò sfinita e dopo aver tenuto duro per tutti quei minuti iniziò ad avere dei mancamenti. Arrivarono subito anche il papà di Grace e sua moglie Sara.
Mia sorella chiamò i miei genitori e chiese dove fossero e se potessero tornare, spiegando solamente che ero caduta da cavallo.
Cercava in tutti i modi di stare tranquilla e di non trasmettere loro nulla di quello che mi era realmente successo senza prima averli davanti a sé, ma mia mamma aveva già capito tutto, continuava a chiedere dove fossi, cosa mi fossi fatta e come stessi.
Mia sorella non riuscì a rispondere e passò il telefono a Sara, la quale le disse solo dell’abbondante perdita di sangue che avevo avuto, quando ad un tratto mia mamma sotto la voce di Sara sentì le grida di mia sorella e le prese il panico. In men che non si dica in ospedale erano arrivati tutti: i miei genitori, i nonni, gli zii, il mio ragazzo, ma i medici non avevano molto da dire se non che ero estremamente grave e alla domanda di mia mamma: “Quante possibilità ha mia figlia di farcela!?” la risposta fu: “Ad essere positivi un 30%, preparatevi al peggio”.
I medici chiesero a tutti di tornare a casa, i miei genitori provarono ma non ci riuscirono e una volta tornati in ospedale ad un tratto la collana di mia madre si spezzò. Era una collana importante per i miei genitori: mio padre la regalò a mia madre 20 anni fa quando lei gli disse di essere in attesa di una bambina. Quella bambina ero io, e il fatto che quella collana si fosse spezzata proprio in quell’occasione li pietrificò.
16 ore dopo i dottori decisero di trasferirmi in elicottero a Pavia per cercare di salvarmi la vita.
Rimasi in coma per 14 giorni prima di svegliarmi, e in quei 14 giorni successe di tutto. Quando mia mamma chiese quando mi sarei risvegliata le dissero che non escludevano l’ipotesi di un coma vegetativo.
Mi rasarono i capelli e mi inserirono un sondino in testa per misurare la pressione intracranica. Mi portarono in sala operatoria e subii un’operazione che durò 15 ore, dalle 8.00 del mattino fino alle 23.00 di sera. Era tutto in bilico, e se mi fossi risvegliata nessuno sapeva in quale stato.
La verità però, è che il 22 luglio mi sono svegliata chiedendo della mia mamma. Non voglio e non posso dirvi che è stata una passeggiata, ma è passata! Il mio racconto durerebbe ancora per molto ma preferisco finirlo raccontandovi di quello che ho percepito e imparato io in prima persona.
Voglio dirvi che quando si è in coma non si è “spenti”, in un modo o nell’altro qualcosa dentro di noi lavora! Non so cosa sia veramente successo, si potrebbe dire che sia stato tutto quanto frutto della mia immaginazione ma la verità è che penso ci sia altro in noi al di là di un corpo o una mente.
Tutt’ora ricordo di aver vissuto in prima persona situazioni frutto dell’elaborazione di informazioni e input che percepivo dall’esterno. Ho visto la fatidica luce bianca, un enorme bagliore bianco che sembrava quasi chiamarmi a sé. E mentre lo seguivo affascinata, una voce mi disse di non andare là. E così feci, non ci andai. Permettetemi una battuta: diffidate dalla luce bianca!
Cos’altro dirvi? Sicuramente, senza entrare in merito alle specifiche motivazioni, vorrei soltanto far presente che il mondo equestre è bellissimo, ma purtroppo non ancora abbastanza tutelato dalla legge e spero che in un futuro questa situazione cambi.
Per quanto riguarda i danni fisici: mi sono rotta il bacino, l’osso sacro, le ultime vertebre coccigee, l’intera gabbia toracica (che per fortuna non perforò gli organi sottostanti), lo sterno, la clavicola destra e le rocche petrose; mi si è distorta la colonna vertebrale, sono collassati e lacerati i polmoni, ho avuto un importante trauma cranico (che tutt’ora persiste 😉) e questo tralasciando le ferite minori.
Ho perso 3 litri di sangue durante l’incidente e quello che circolava (2,5 litri) era concentrato nella zona toracica. Mi si è spostato il cuore a causa di tutto questo schiacciamento e questo ha permesso al il mio cervello di continuare a ricevere informazioni.
Ho avuto un gran rianimatore che ha creduto in me e non mi ha lasciata andare, lavorando sul mio corpo per molto tempo. Più del normale, in realtà.
Ho avuto persone grandiose attorno a me, in tutto il mio percorso! E purtroppo so che non sarò mai veramente in grado di ringraziarle per avermi riportata alla vita.
Sono però sicura di essere motivo d’orgoglio per loro: questa è stata un’esperienza che non dimenticherò mai, principalmente perché non voglio proprio dimenticarla.
Nel lungo viaggio che è la vita spesso capita di inciampare ed io sono inciampata, rialzandomi con una forza che neanche sapevo di avere.
La vita è un bene così grande eppure a volte così sottovalutato che non si è in grado di ringraziarla per le “piccole” cose che ha da offrirci: la semplice capacità di parlare, sentire, correre, pensare e così via.
Non sono capacità che ci sono dovute: la vita ce le ha offerte e non tutti possono goderne; io le persone che questa opportunità l’hanno sopravvalutata e persa le ho incontrate.
Il 6 gennaio 2018 sono salita su Hotse, ho impugnato le briglie e sono partita, principalmente per una sfida con me stessa.
Alla fine di questo lungo racconto l’unica cosa che vorrei veramente dirti è che a darmi la forza di riprendermi così velocemente è stata la lunga competizione con me stessa, il non voler accettare la possibilità di vivere una vita ostacolata da limiti che normalmente gli altri non hanno e la voglia di essere un punto di riferimento in chi, come me, in pochi secondi ha rischiato di perdere tutto quello che la vita ha da offrirci. Io oggi l’apprezzo molto più di ieri e vorrei che fosse così per tutti senza il bisogno di vivere quello che ho vissuto io”.
Buona Pasqua a Cristel, buona Pasqua a tutti: perché è la festa della rinascita.
Il che non esclude che una corretta gestione delle emergenze, resa possibile da una accurata preparazione e da opportuno addestramento anche teorico ed organizzativo, unitamente al costante utilizzo dei dispositivi di protezione possa aiutare a diminuire la necessità di ricorrere allo Spirito Santo…non sottovalutate mai nulla, non date niente per scontato. Né la vita, né la sicurezza.