Bologna, domenica 21 giugno 2020 – Era un uomo dalla vitalità inesauribile. Fino all’ultimo giorno dei suoi 93 anni. Franco Triossi ci ha lasciato ieri sera: è spirato all’ospedale di Pisa dove era ricoverato a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute. Nato nel 1927 a Bologna, figlio di un uomo che è stato tra i più grandi dirigenti dell’ippica italiana, Franco aveva cominciato a montare a cavallo da piccolissimo, innamorandosi immediatamente sia dello sport sia dei cavalli. E’ stato molto precocemente tra i protagonisti di quell’equitazione che prima dello scoppio della seconda guerra mondiale riuniva i ragazzi nelle gare riservate alle varie fasce d’età inquadrate militarmente dal fascismo nelle categorie di Balilla e Avanguardisti. Insieme a lui i due fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo (più grandi: 1923 e 1925 gli anni di nascita rispettivamente), Adriano Capuzzo, Giulia Serventi, Giulietta Dal Fiume, i fratelli Giannino e Riccardo Storti, solo per dirne alcuni di quel grande gruppo che si spostava da un concorso all’altro per esorcizzare nel divertimento dello sport gli incubi di una guerra che si stava facendo sempre più vicina e minacciosa. In seguito – dopo la guerra – Franco Triossi ha vissuto una carriera agonistica abbastanza intensa non solo in salto ostacoli ma anche in pista, così come negli anni Cinquanta era comune e usuale per molti dei cavalieri impegnati nello sport equestre. Una volta smesso di montare in gara, Triossi è divenuto istruttore, lavorando in varie zone d’Italia per infine fermarsi in Toscana, a Migliarino Pisano, dove potersi godere il ritiro dell’età anziana. Ma sempre seguendo le vicende dello sport, spesso recandosi a Roma per assistere allo Csio in Piazza di Siena, mantenendo poi – anche negli ultimi tempi – contatti telefonici continui e affettuosi con le persone a lui care che lo potessero aggiornare sugli eventi dello sport e anche della politica federale. Era un uomo intelligente e arguto, amante delle cose belle della vita, dell’intensità delle emozioni che lo sport equestre sapeva regalare in abbondanza, per nulla legato come mentalità e pensiero alle consuetudini dell’epoca in cui lui stesso si era formato come cavaliere. Raccontando del periodo giovanile in cui lui e i suoi compagni di sport si divertivano in concorso sia prima sia dopo la guerra diceva con una certa malizia: “Certo, Piero e Raimondo fin da ragazzini erano già dei veri professionisti, concentrati sull’attività agonistica come poi lo sarebbero stati per tutta la loro vita. Noi invece ci divertivamo da morire: si partiva, si andava, concorsi in bellissimi posti, belle donne, bei premi, belle gare, belle amicizie… Noi ci divertivamo: e loro vincevano!”.