Bologna, 7 settembre 2020 – A volte capita di perdere il contatto con persone che si apprezzano: e a chi scrive per voi è successo con Bartolo Messina.
Artista equestre e addestratore che è nato e vive a Isola d’Ischia, ma gira tutto il mondo con i suoi spettacoli in libertà dove i protagonisti sono cavalli e pony: Bartolo Messina è diventato una delle stelle di Cavalluna, il celebre show tedesco erede dei fasti di Apassionata (più di 500.000 spettatori a ogni edizione).
Come tanti altri anche lui ha mosso i suoi primi passi in Fieracavalli a Verona.
Ricordiamo bene quando lo abbiamo visto la prima volta, diversi anni fa.
Era con Abadaar, stavano galoppando in circolo in un un piccolo campo prova e ci avevano fulminato con il loro incantevole modo di essere insieme, così morbidi e sicuri e sereni – Abadaar era uno stallone arabo già considerato impossibile da montare.
Bartolo Messina lo faceva a pelo, senza testiera e attorno avevano altri binomi che facevano il loro riscaldamento.
Poi sono passati gli anni e il caso non ci ha fatti incrociare nemmeno per lavoro: ma dove non ha funzionato il destino, sono riuscite le capre.
Per la precisione quelle che un amico di Capri cercava per il suo giardino: ho pensato di chiedere informazioni a lui, Bartolo, che sta lì a poca distanza. E grazie a questi benedetti ovini è stato un attimo ritrovare quella persona bella che è Messina.
E riempirlo di domande ovviamente, perché le storie belle vanno conosciute bene sin da dove sono nate.
Bartolo, come sei finito in mezzo ai cavalli?
“A dire la verità ci sono sempre stato. Mio nonno ci lavorava d’estate portava in giro i turisti con la carrozzella tipica di qua (una Castellammare, n.d.a.) e d’inverno con cavalli e muli commerciava vino e uve, mio padre ha sempre tenuto cavalli e quando sono nato aveva il classico maneggio per turisti. Non ricordo il primo approccio con loro proprio perché è stato così precoce, mio padre dice sempre che prima ho imparato a stare in sella e poi a camminare. Poi mia nonna è sarda, mio papà è nato in Sardegna: da bambino i miei amici pensavano solo al pallone, io ero già innamorato dei cavalli e il mio sogno era avere dei pony”.
E poi?
“Da ragazzo sono andato in Australia e dopo cento altri lavori ho fatto anche un periodo in un centro di escursioni a cavallo, portavo i clienti nell’outback. Ma poi sono tornato a Ischia e ho deciso di aprire il cento equestre Aragonas Arabians. Addestravo qualche cavallo, scozzonavo per alcuni allevatori di Purosangue Arabi e uno di loro a Travagliato mi ha detto “Dai, presentalo tu il cavallo visto che lo hai addestrato”. Ci avevo messo del mio, faceva anche il passo spagnolo che ai tempi era una cosa nuova per i PSA. La sera mancava un numero del galá e mi chiesero di partecipare: mi prestò la camicia Pierangelo dei Giona, usavo una sella western, non avevo le musiche, non sapevo niente dei tempi dello spettacolo e di tante altre cose perché mai avevo pensato di fare una cosa del genere. Ma mi è piaciuto subito, e da subito ho cominciato a cercare di migliorarmi”.
Hai cambiato tante cose da allora nel tuo modo di lavorare con i cavalli?
“Sì, perché mi sono innamorato del lavoro in libertà, a un certo punto ho rigettato l’alta scuola e tutto quel modo di montare a cavallo che facevano male già in troppi. Volevo fare altro, e Abadaar me ne diede l’occasione: quando l’ho portato a Verona lo avevo in lavoro da 60 giorni, prima era cavallo ingestibile e lì andavo in giro dappertutto col cavallo nudo, lui rispondeva perfettamente alla voce e alle gambe, non ho mai più visto un cavallo così. Lì intuii il potenziale del montare il cavallo in libertà e mi sono appassionato al rapporto che c’è tra uomo e cavallo libero”.
Abadaar quindi è stato un ponte verso il tuo futuro.
“Sì. Penso che niente succeda per caso e che quel cavallo lì me lo abbia mandato qualcuno, perché è stato lui a farmi capire cosa volevo fare. Dopo per curiosità sono andato come auditore a uno stage con Frédéric Pignon: mi stravolse, in due giorni mi ha dato tutte le risposte che stagvo cercando, mi ha aperto il vaso di Pandora. Non avendo cavalli miei da montare potevo osservare ogni suo più piccolo movimento, Pignon spiega le cose in modo speciale e posso dire che lui ha veramente ispirato il mio sogno di oggi, cioè fare alta scuola in libertà”.
Come sei arrivato ad Apassionata?
“Devo dire grazie a tutti quelli che mi hanno dato modo di crescere, come ad esempio gli amici del Carnevale Romano. Importantissimo è stato anche Antonio Giarola, che curò il mio numero per il Circus Festival di Liana Orfei a Latina che vinse il premio Golden. Ma per Apassionata è stato Eric degli Hasta Luego: mi telefonò e disse che sarebbe venuto qualcuno a vedermi ad Ischia, pensavo fosse uno scherzo. Avevo un numero con soli 5 cavalli, mi diedero i compiti da fare a casa per aggiungerne qualcuno. Temevo che il fatto che fossero tutti diversi per razza, taglia e mantello fosse un handicap: e invece si è rivelato un asso nella manica, perché così siamo diversi da tutti gli altri. Ed è incredibile sapere di essere partiti da un posto a casa del diavolo, dove sì e no ti vedono 50 persone e arrivare a fare il numero più importante a Cavalluna: uno choc. E ti rendi conto che la gente vuole semplicemente vedere un cavallo felice, che lavora con te in simbiosi: specialmente pensando che i miei sono tutti ex-cavalli problematici. É questo il messaggio più bello, quello che conta”.
E infatti non fai solo spettacoli.
“Mi piace molto anche il lavoro di rieducazione: qualche anno fa sono andato in Dubai, per due cavalli di uno sceicco che erano molto difficili da gestire. Lì come in tanti altri casi il problema non era tanto dei cavalli quanto delle persone che non sapevano come trattarli: lavorando sia con gli uomini che coi cavalli coinvolti due ore al giorno ho risolto il problema, è stata una esperienza che mi ha fatto crescere tanto. Amo avere l’occasione di fare stare bene più cavalli possibile: curo la rieducazione di soggetti problematici, insegnando a proprietari e cavalieri il comportamento del cavallo e la sua gestione di base, l’abc del rapporto partendo dal lavoro in libertà, da terra. Il 90% delle persone non sa gestire un cavallo alla longe: bisogna avere voglia di mettersi in discussione, capire che bisogna investirci del tempo e non accontentarsi delle scorciatoie, sempre illusorie con i cavalli”.
La cosa che ami di più dei cavalli?
“La tranquillità e la pace che mi danno: se ho un problema vado in scuderia e mi passa tutto. Per me il cavallo è un amico, nel vero senso della parola: io faccio la mia routine e lui mi dà tutto anche prima che io glielo chieda”.
Il tuo cavallo del cuore?
“Gorgorito, uno stallone palomino preso in Spagna. Ingestibile, carattere fortissimo, pericoloso in box, quando lo montavi si metteva in piedi e ti mordeva le gambe. Nei primi sei mesi ci ho lavorato tanto, oggi è il miglior cavallo che abbia mai avuto: mi accompagna dappertutto, totalmente libero. Quando lo monto in libertà non gli metto nemmeno il collare, con lui ho fatto l’ apertura della fiera a Città di Castello: avevamo i tamburi appena dietro per le strade della città e lui masticava tranquillo come se niente fosse. Gorgorito è un esempio: se hai pazienza e sai aspettarlo, seguire i suoi tempi senza forzarlo nulla è impossibile. Con i cavalli si fa tutto, non c’è un cavallo che non s i possa domare, addestrare o correggere sempre, fino a 20 anni. Tutti si riequilibrano e trovano il loro posto nel mondo. E Gorgorito adesso è il mio drago volante, sempre educato e perfetto: e alla fine per me, professionalmente, è lui la cosa più bella”.
Bartolo Messina vive e addestra i suoi cavalli a Isola d’Ischia – Ischia, Napoli, Italia