Milano, 10 febbraio 2018 – Nel mondo del turf il 2014 resterà per sempre l’anno di Tréve, la piccola cavalla che ne ha riscritto la storia vincendo per due volte consecutive l’Arc de Triomphe, il monumento delle corse al galoppo in terra di Francia. E in quasi un secolo di storia (l’Arc si corre dal 1920) questa impresa era riuscita soltanto ad altri sei cavalli, uno dei quali era il nostro mitico Ribot.
E’ la seconda femmina ad ornarsi di questo doppio alloro e per di più francese DOC: immaginatevi quindi l’entusiasmo del suo entourage e di tutto il paese per questa vittoria ottenuta in una corsa alla quale non era nemmeno stata iscritta da puledra, il che la dice lunga sulla sua capacità di sorprendere anche gli stessi suoi allevatori.
Infatti la storia di Tréve non è quella di una campionessa predestinata, anzi: ma è una bellissima storia e siamo davvero felici di potervela raccontare.
Tréve è nata nel 2010 presso l’Haras du Quesnay di Deauville, un piccolo paradiso per purosangue creato all’inizio del XX secolo da William Vanderbilt ed acquistato dalla famiglia Head nel 1958.
Piccolina, baia scura, un fiocco di neve in fronte e balzana al posteriore sinistro – balzan da uno, non lo vuol nessuno. E infatti alle aste degli yearling Tréve passa del tutto inosservata: ad agosto nemmeno una mano alzata per lei ed altrettanto ad ottobre, quando la figlia di Motivator e Trévise viene ritirata da Alec Head, il suo allevatore, una volta che l’offerta del battitore era scesa all’offensiva quota di 22.000 € ed affidata alla figlia di lui, Christiane che tutti chiamano Criquette.
Criquette è non soltanto una allenatrice di cavalli da galoppo, ma discende anche da una dinastia di allenatori e allevatori e fantini. Se si guarda il suo pedigree ci si accorge che è fatto solamente di gente di cavalli dal bisnonno in giù, e gente di cavalli che ha successo. Lei stessa ha già vinto un Arc de Triomphe nel 1979 con Three Troikas: una puledra allevata dal padre, portata in pista coi colori di scuderia della mamma e montata dal fratello di Criquette, Ghislaine.
Una vittoria di famiglia, perché la famiglia è sempre importante ma nel mondo dei Purosangue ancora di più; e se andiamo a vedere anche la genealogia di Tréve abbiamo una conferma di questo assioma. Già, perché se guardi un Purosangue non vedi soltanto un cavallo, quattro gambe una criniera e fammi vedere il giro di cinghie se è abbastanza ampio per aver fiato. No, quando si guarda un Purosangue si devono vedere anche tutte le lineette nere che si allungano dal suo nome verso destra, e su ogni lineetta c’è scritto un nome: i genitori, i nonni, i bisnonni e via dicendo di quel cavallo, perché tanto di quello che può essere un cavallo da galoppo lo raccontano anche i suoi antenati.
E guardando quelli di Tréve salta agli occhi una cosa: che se anche i genitori erano due cavalli normali, non esattamente campioni conclamati grazie a loro nel pedigree è presente, per ben tre volte, Northern Dancer.
Ma chi era Northern Dancer? Nel 1987, quando fu ritirato dall’attività riproduttiva, era lo stallone più famoso ed importante del secolo: aveva 26 anni, era la prima volta che accusava problemi di fertilità ed aveva fino a quel momento generato 125 vincitori in corsa. Di questi 25 si sono classificati come campioni e 33 hanno vinto corse di gruppo 1, quelle più importanti di tutto il mondo. Eppure anche lui, esattamente come Tréve, al suo debutto in società passò inosservato.
I Purosangue Inglesi debuttano appena svezzati alle aste degli yearling, i puledri nati nell’anno: una passerella per i virgulti di una stirpe unica al mondo, nobilitata da secoli di corse maniacalmente registrate; ma lui, il puledrino Northern Dancer, era stato snobbato da tutti.
Nato in Canada nel 1961 era baio, piccolotto, poco più grande di un pony e con una testa inusualmente poco leggera: era stato messo in vendita per 25.000 $ ma nessuno pensò che valesse la pena di sborsare quella cifra per un robo del genere, con una lunga lista in fronte che scendeva un po’ storta verso la frogia sinistra e tre calzini bianchi, nonostante fosse nipote di Nearco, il grandissimo Nearco.
Ma i suoi allevatori credevano in lui: venne mandato in lavoro da un famoso allenatore e alla sua prima corsa Northern Dancer vinse per sei lunghezze e 3/4. Non ebbe una carriera lunghissima, si rovinò un tendine nel 1964 e venne ritirato e messo in razza. Ma aveva vinto 14 corse sulle diciotto disputate, ed era arrivato due volte secondo e due volte terzo in quelle peggio riuscite: tanto valse a dargli il diritto di dimostrare quanto valeva come stallone, e in questo fu il migliore di tutti tra i Purosangue moderni.
Da notare poi che in Tréve la genealogia riserva altre chicche di assoluta delizia allevatoriale: sua madre Trévise porta infatti in dote anche il DNA di Trillion, una cavalla che fu grande in corsa e anche come fattrice visto che produsse Tryptich (ancora meglio della madre in quanto a premi vinti): e dentro Trillion di nuovo troviamo tre volte Nearco e addirittura quattro volte Pharos, suo padre.
Ma adesso torniamo nel mondo reale, rimettiamo i piedi per terra e guardiamo ancora Tréve nel modo più bello e più vero, mentre galoppa. Guardatela mentre corre il suo secondo Arc de Triomphe, quasi nascosta accanto allo steccato dietro gli altri binomi. Il suo fantino di sempre, Thierry Jarnet, non le chiede altro che di star loro attaccata fino all’ultima curva di questa impressionante corsa di 2.400 metri: poi prende la mira per trovare spazio e lascia andare la sua piccola, nervosa baia che improvvisamente aumenta i giri e avanza, avanza, avanza in modo prepotente e leggero e sfacciato, finendo regalmente davanti a tutti con due lunghezze di margine. Ha corso col cuore Tréve, ci ha messo tutto il suo carattere di piccolina tosta e caparbia in questa giornata di gloria arrivata dopo tre corse perse anche a causa di qualche problemino – ma ha vinto quando era più importante farlo e questo è proprio dei campioni come lei.
Uno dei tanti motivi per i quali i cavalli non finiranno mai di affascinarci è che di storie come quella di Tréve e Northern Dancer ce ne sono tante: ve ne ricordiamo alcune, e visto che si sta avvicinando il nuovo anno per il 2015 auguriamo a tutti di riuscire a viverne simile in prima persona.
E non pensiate che sia poi così difficile: perché i cavalli sono in grado di stupirci, sempre, ogni giorno che abbiamo la fortuna e il buon senso di passare con loro.
Pretty Polly, la rossa irlandese
Era nata nel 1901 in Irlanda da Gallinule e Admiration. Gallinule era stato un puledro precoce ma incostante, delicato di salute che stupì tutti per il suo successo come stallone, Admiration era una cavalla da ostacoli con un paio di corse vinte al suo attivo, ma niente di più.
Pretty Polly era saura, stella in fronte e balzana all’anteriore sinistro, niente nel suo aspetto e comportamento attirava l’attenzione. Fu mandata ad allenarsi come è dovuto a qualsiasi puledro iscritto al Jockey Club che abbia l’uso di tutte e quattro le gambe ma per mesi Pretty Polly «mangiò biada a tradimento», come racconta efficacemente Luigi Gianoli.
Fino a quando il suo allenatore, Peter Purcell Gilpin, non la vide tornare pigramente verso il suo box accompagnata da un groom: Gilpin stava organizzando un trial importante per uno dei campioni della scuderia, Delaunay e urlò al ragazzo di sellare anche Pretty Polly e farla galoppare con gli altri per mezzo miglio «…che così si dava una svegliata». Gilpin non poteva vedere la partenza dal punto in cui aspettava i cavalli per cronometrarli, e rimase assolutamente stupito di vedere arrivare Pretty Polly davanti agli altri di dieci lunghezze, carica e sbuffante come una locomotiva: la ragazza aveva fatto vedere di che pasta era fatta umiliando due colleghi molto più quotati di lei. Vinse la prima gara che le era stata programmata in carriera, ma all’arrivo il pubblico la derise apertamente: aveva un mantello ispido e irsuto come un cavalluccio plebeo, che la faceva assomigliare più ad uno Shetland che ad un nobile Throughbred.
Gilpin per ovviare all’inestetismo le fece mettere due coperte addosso e provocare una bella sudata durante il viaggio di ritorno. Una volta a casa Jack Marney, il suo stalliere, diede mano a brusca e striglia: tutto il pelo vecchio venne va in una volta sola, lasciando apparire un sontuoso e serico mantello sauro di rara bellezza. Pretty Polly rivelò anche un carattere da perfetta prima donna: le piaceva correre, le piaceva vincere e le piaceva essere applaudita dopo la vittoria.
Perché vinse quasi sempre, non aveva rivali: su ventiquattro corse disputate ne vinse 22, ma il suo ritiro dalla corse fu triste: si trattava della Coppa d’oro di Ascot del 1906, Pretty Polly arrivò seconda nel silenzio glaciale dell’ippodromo, il pubblico non riusciva e non poteva gioire della vittoria di qualcun altro.
Ma che era successo alla saura volante? Probabilmente era triste, perché pochi giorni prima era morto il suo inseparabile amico Joey.
Si trattava di un piccolo cob che la seguiva ovunque sino alla partenza delle corse per poi aspettarla all’arrivo. Pretty Polly non si faceva togliere la sella se prima non aveva ritrovato il suo Joey, che aveva una coperta uguale identica a quella della campionessa ma fatta in miniatura e viveva nel box accanto al suo, così da poterle tenere compagnia anche nelle ore di riposo. La saura irlandese venne ritirata dalle corse e messa in razza, ma come tante femmine dalla grande carriera agonistica non fu una fattrice di altrettanto successo: lei era una rossa irlandese e guerriera, forte tanto e più di tutti i maschi suoi coetanei.
Aveva solo un debole, un lato tenero e dolce: quello che occupava un piccolo cob con la coperta uguale alla sua, che chissà dove era andato senza di lei.
Snowman, 80 $ di campione.
Harry de Layer aveva fatto tardi quel giorno del 1956: era arrivato quando le aste dei cavalli erano già quasi terminate ed i soli soggetti rimasti erano gli scarti degli altri compratori. Ma doveva trovare un cavallo per il suo maneggio, adatto agli allievi più inesperti e lo sguardo gli cadde su un grigio trotinato dai grandi occhi dolci. Si chiamava Snowman, aveva 8 anni e aveva tirato l’aratro fino a quando il suo proprietario non aveva deciso di disfarsene, e lo aveva messo in vendita. Snowman stava per essere mandato al macello visto che nessuno lo aveva preso per lavoro: ma a Harry era piaciuto per il suo aspetto tranquillo e se lo era portato a casa per 80 miseri dollari.
Aveva visto bene: il grigio si era dimostrato un fantastico cavallo per i bambini, non c’era nulla che lo spaventasse ed era totalmente incapace di fare scherzi pericolosi, sempre disponibile a giocare coi più piccoli qualunque cosa gli chiedessero.
La sua fama di cavallo buono gli procurò parecchi fan, tra cui un vicino dei de Layer che lo comprò per i suoi ragazzi. E qui si rivelò un altro talento segreto di Snowman: era un gran saltatore, tanto che evase dalla proprietà vicina e rientrò nella sua vecchia scuderia come se niente fosse, beffandosi di tutti gli steccati che aveva trovato nel mezzo. Harry a questo punto lo montò in salto ostacoli, dove Snowman fece scintille: non solo saltava tanto, ma era anche estremamente sicuro ed affidabile.
Non rifiutava, non scartava, non si fermava: semplicemente saltava qualsiasi cosa gli mettessero davanti (compreso un cavallo più grande di lui), con la stessa buona volontà con cui aveva tirato l’aratro in gioventù.
Visse sino a 26 anni, sempre con la sua famiglia: un cavallo da 80$ che vinse un sacco di gare, e aveva anche un cuore d’oro.
P.s.: l’articolo è tratto dalla Gold Edition 2014 di Cavallo Magazine