E’ uno degli artisti equestri più conosciuti d’Europa, una delle star degli spettacoli di Cavalluna, il format tedesco capace di attirare 500.000 spettatori ad ogni tourné di cui Gorgorito è stato protagonista.
Nato nel 1977 a Isola d’Ischia e da sempre in mezzo ai cavalli, Bartolo Messina ha conservato il tratto gentile e pacato che gli abbiamo riconosciuto la prima volta che l’avevamo visto in Fieracavalli a Verona, tanto tempo fa.
Eppure da quella volta è cresciuto tanto: anche grazie ai suoi cavalli.
«Sicuramente Abadaar è stato il mio primo, vero maestro: era un cavallo ingestibile con sella e testiera, quindi lo montavo senza, nemmeno il frustino tenevo in mano. Lui mi ha fatto capire la bellezza del lavoro in libertà: e da lui ho imparato tanto perché ti permetteva degli errori. È il classico cavallo che non te le faceva pagare, quindi con lui ero tranquillo. Poi c’è stato Soul: sicuramente è stato il più importante dei miei cavalli. Quello che mi ha dato la vita in questo mondo: io ho iniziato con lui, l’ho preso che aveva 7, 8 mesi».
Di che razza era?
«Anche lui un Purosangue Arabo, figlio di Bengali; genelaogia da show ma scartato, perché non aveva una testa molto tipica. Ma è diventato il mio miglior cavallo di sempre: è stato con me quasi vent’anni e tutto quello che ho imparato, l’ho imparato con lui. Alla fine lui è stato un insegnante, è stato paziente ma mi ha fatto pagare tanti errori perché gli Arabi hanno grandissima testa ma sono anche molto nevrili, quindi bisogna stare molto attenti nelle richieste. Se sbagliavi qualcosina, lui te lo faceva notare: sempre. Poi c’è stato Gorgorito: forse la scommessa vinta più grande di sempre. Veniva dalla riproduzione, era molto scontroso e anche molto difficile nella gestione in box, poi si è trasformato e ho imparato tanto da lui, soprattutto nella fase montata».
Grandi maestri. Ma dicevi che ne hai avuto uno anche molto…piccolo!
«Charlie, era il Mini Shetland stallone più piccolo al mondo: ma come maestro un drago, io con con i pony ho imparato veramente tantissimo. Perché sono più difficili dei cavalli, molto più difficili: Charlie poi era un leader forte, con lui era sempre una sfida continua a chi avesse la supremazia del branco. Con gli stalloni bisogna mettere in preventivo sia sempre così, ma Charlie davvero era implacabile: per questo lavorare con loro è così affascinante, perché non ti annoi mai».
Tanti cavalli, tanti maestri: e non solo di tecnica equestre o sport, come abbiamo visto.
Perché stando con loro impari l’inutilità delle scorciatoie, la bellezza del rispetto, la delicatezza della comunicazione anche senza parole, la sensibilità e l’assenza di malizia.
Un cavallo ti insegna che le bugie non servono, e a chiedere con gentilezza. E’ capace di farti percepire come devi muoverti per entrare in empatia con l’altro, rispettando i suoi spazi e i suoi tempi.
Insegnamenti così preziosi che la pratica dell’equitazione era di prammatica per i giovani delle famiglie nobili e potenti di un tempo.
Nati e cresciuti in mezzo ai cortigiani, gente che viveva all’ombra dei troni e grazie alle regalie che i più potenti distribuivano a loro piacere e capriccio: non avevano praticamente la possibilità di instaurare rapporti umani equilibrati.
Gli unici esseri viventi che venivano in contatto con loro e non avrebbero mai pensato di adularli erano gli animali, e il rapporto con loro era probabilmente l’unico veramente indenne da ogni falsità.
L’equitazione era anche considerata una perfetta metafora dell’arte di governare, dove dominando corpo ed emozioni si raggiungeva l’obiettivo di controllare la propria postura e convincere l’altro (il cavallo, in questo caso) a fare quel che si voleva.
Per questo non si finisce mai di imparare con i cavalli: maestri nati, ognuno di loro.
