Bologna, 20 novembre 2019 – L’India può sembrare così lontana, anche ai nostri giorni: figuriamoci poi se pensiamo a quella del XVI secolo quando l’Europa era in pieno Rinascimento.
Ma per avvicinarla a noi e annullare distanze temporali e geografiche basta trovare un minimo comun denominatore.
Quale? Ma un cavallo ovviamente, anzi: un cavallo e il suo cavaliere, che non c’è niente come trovare qualcosa di comune e forte come il legame che unisce le due metà di un vero binomio per farci sentire partecipi anche di storie così esotiche come quella di Chetak, per l’appunto.
Chetak era un cavallo Kathiawari dal manto grigio ferro testa di moro: la sua ascendenza non è certissima, secondo alcune fonti poteva anche essere un Marwari ma fu sicuramente scelto dal Maharana Pratap (1540-1597) come suo personale cavallo da guerra.
Pratap Singh era un principe del Mewar, paese del Rajasthan in costante conflitto con i Mogul.
In una delle tante battaglie che li vide affrontati, quella di Haldighati del 1576, Chetak diede prova di tutto il coraggio e la forza dei cavalli della sua razza: lanciato all’assalto da Pratap affrontò impennandosi l’elefante bianco sul quale stava assiso il Raja Man Singh e gli piantò in fronte i suoi zoccoli anteriori, mentre Pratap con la sua lancia centrava il mahout dell’elefante.
Nella confusione che seguì all’azione una delle gambe di Chetak fu ferita dal pachiderma: un dramma per Pratap che, colpito a sua volta, senza cavallo non avrebbe avuto scampo nella furia della battaglia.
Ma Chetak raccolse tutte le sue forze e anche su tre gambe riuscì a riportare il suo cavaliere al campo amico, crollando poi a terra subito dopo e morendo letteralmente tra le braccia di Pratap.
Che per ricordare il gesto eroico del suo cavallo gli dedicò un cenotafio, proprio lì dove il suo destriero cadde.
L’impresa di Chetak è poi diventata oggetto di tanti canti ed epiche popolari, tale e quali da noi le gesta del Brigliadoro di Orlando: ma quella del cavallo grigio ferro testa di moro è una storia vera, anche se così lontana nel tempo e nei luoghi.
Un dettaglio: nell’iconografia popolare Chetak, nonostante tutto, è raffigurato con il mantello candido.
Licenza poetica.