Bologna, sabato 26 dicembre 2020 – Emilio Froncillo, nato a Cusano Mutrio in provincia di Benevento il 17 maggio 1930, per cinquantasei anni groom dell’amazzone azzurra Giulia Serventi. Quello che segue è il suo racconto, trascritto fedelmente al termine di una conversazione avvenuta nel 2011
Ho cominciato con Piero d’Inzeo a Tor di Quinto nel ‘51, lui era sottotenente. Io sono andato a fare il soldato regolarmente e lui mi ha domandato che mestiere facevo. Io gli ho risposto che al paese mio io guidavo il cavallo con il carretto in campagna, facevo il contadino, e allora Piero mi ha detto va bene, fai comodo a me, resti qua a Tor di Quinto, e mi ha insegnato a montare a cavallo. Io sapevo montare a casa mia, senza sella, ma di equitazione e di salto ostacoli non sapevo proprio niente. Dopo quattro anni è uscita una legge per cui tutti i sottufficiali di complemento si dovevano congedare per forza: e io mi sono congedato. Il padre di Piero d’Inzeo, Costante, sapendo che io ero stato quattro anni con il figlio, a un certo punto mi scrive una lettera e mi dice di venire a lavorare a Roma con la signorina. Lui era il maestro della signorina, e io lei già la conoscevo perché ogni tanto era venuta a Tor di Quinto quando io ero militare. Così arrivo a Villa Tutina, sulla via Cassia, e Costante d’Inzeo mi dà in consegna tre cavalli della signorina e di sua sorella. Dopo una settimana eravamo già all’estero, a Monaco di Baviera.
Ho lavorato per la signorina cinquantasei anni: abbiamo girato tutta l’Europa. Dall’aprile del 1954 fino al 2009 la signorina non ha mai fatto un solo concorso senza di me. Ai concorsi si andava in treno. Io prendevo tre cavalli, uno montato, uno a mano destra, l’altro a mano sinistra, e andavo alla stazione Termini a cavallo, salivo sul vagone con i cavalli e con tutta la roba e partivo. La signorina spesso mi lasciava fuori: non so, se ero a Berlino lei mi diceva Emilio io torno a Roma, tu vai a casa di Winkler e resti lì venti giorni e poi andiamo a Dortmund… Io montavo i cavalli, li tenevo in forma, poi partivo e la signorina mi raggiungeva dove si faceva il concorso. I viaggi in treno li facevo nel vagone con i tre cavalli da una parte, i bauli, il fieno e la biada dall’altra, la mia brandina in mezzo. Tra me e i cavalli mettevo un telo da tenda giusto perché non me la facessero addosso. Mattino, mezzogiorno e sera davo da bere e da mangiare ai cavalli, e per me portavo tutto l’occorrente: fiaschetta di vino, pane, prosciutto e formaggio. Perché da Roma a Berlino ci si mettevano sei giorni e sei notti. Per fortuna ogni tanto il treno si fermava in qualche stazione perché lo smistavano, lo ricostruivano, e allora io mi informavo dal capostazione e se stavamo fermi per un po’ andavo alla mensa ferroviera a mangiare qualcosa di caldo. I cavalli, invece, se ne stavano sempre fermi nel vagone giorno e notte.
Una volta per tornare in Italia da Bucarest mi hanno fatto una spedizione sbagliata: invece di farmi fare Bucarest Austria Italia mi hanno fatto fare Bucarest Ungheria Austria Italia. Io, mannaggia la miseria, me ne stavo a mezza porta del vagone, seduto, il treno camminava, io guardavo le stazioni, leggevo e pensavo ma di qua non siamo passati, questa strada non l’abbiamo fatta, mi cominciavo a preoccupare… A un certo momento il treno si ferma, io vado dal capostazione e lui mi dice che ero completamente fuori strada, che eravamo a trenta chilometri dal confine con l’Ungheria e che di là i russi stavano mitragliando a tutto spiano. Mi viene una paura… Guardo il mio passaporto e… io non ce l’avevo il visto per passare di là… allora vado dal capostazione e dal poliziotto ferroviario e dico per favore, mettetemi in contatto con l’ambasciata italiana a Bucarest perché ‘sta cosa si deve risolvere, se passo dall’Ungheria ammazzano me e tutti i cavalli… Alla fine alle due di notte mi rimandano indietro con un altro treno, faccio circa 250 chilometri indietro, arrivo a un binario di deposito in attesa dell’arrivo di un treno diretto verso l’Austria e verso l’Italia, quando ‘sto treno finalmente arriva mi attaccano lì. Finalmente dopo otto giorni e otto notti arrivo a Trieste. Vado a un telefono in stazione, chiamo la signorina, mi risponde sua mamma, mi dice Emilio, che fine hai fatto, ti stanno cercando dappertutto…
Un’avventura proprio grossa è quella volta di Hannover. La signorina mi dice: visto che ci siamo, dopo Hannover andiamo a Berlino, stiamo qua, continuiamo no? Così me ne rimango quindici giorni a Hannover. Però durante questi quindici giorni succede che cambiano le regole tra Italia e Germania e per arrivare a Berlino ci vuole un nuovo visto sul passaporto. E io non ce l’avevo. Carico i cavalli per andare a Berlino. A un certo punto il treno si ferma e sento bussare alla porta del vagone: mister passaporto, mister passaporto. Io scendo e vedo la polizia: il poliziotto mi dice mi dispiace questo passaporto non è valido. Chiamano il colonnello di frontiera e il colonnello dice fermatelo là che domani mattina lo voglio vedere. Io dico almeno accompagnatemi al vagone che chiudo la porta e prendo il cappotto, faceva meno diciotto… No, non ti muovi di qui, mi dicono con il mitra spianato e puntato addosso a me. Mi tengono lì… e intanto il treno se ne riparte con tutti i vagoni e con i cavalli dentro il mio vagone! Ottanta vagoni che se ne vanno a Berlino, e i miei cavalli pure… Finalmente all’una del giorno dopo arriva il colonnello: io gli faccio vedere il mio passaporto e gli dico guarda, io due anni fa sono passato da qui e questo timbro lo avete messo voi, l’anno scorso sono passato da qui e questo timbro lo avete messo voi… Alla fine lui capisce la situazione e mi dice va bene, vai pure a Berlino. Io salto sul primo treno che va a Berlino, senza cappotto, senza niente in testa, faceva un freddo… e i cavalli avevano viaggiato con la porta del vagone aperta… Arrivo a Berlino, vado allo scalo merci, vado dal capostazione e lui dice no, qui è stato scaricato tutto e di cavalli nemmeno l’ombra. Allora io corro dove si faceva il concorso e a un certo punto incontro la signorina e sua sorella: ah Emilio, allora, tutto bene, i cavalli come stanno, dove sono? E io: boooh, non lo so per niente! E racconto tutto: n’altro po’ e svengono tutte e due… Alla fine i cavalli li abbiamo ritrovati lì, al concorso sani e salvi, con tutte le cose, i bauli, il fieno, la biada, tutto accatastato vicino a loro. E il giorno dopo hanno fatto regolarmente le gare!