Bologna, mercoledì 22 dicembre 2021 – Per anni ho aspettato che mi si presentasse l’occasione giusta per scrivere quello che adesso scriverò qui, ma invano. Che ne so: un’intervista, un commento, un servizio su una manifestazione… ma niente, non è mai successo. Allora ho deciso di scrivere ora, qui, questa cosa su Fabio Magni perché il tempo passa ma talvolta non bisogna lasciarlo passare, talvolta bisogna fermare le cose che sono accadute e starle a guardare per un po’ con calma e con la corretta prospettiva poiché altrimenti si rischia di perderne il giusto significato e valore. È una responsabilità anche questa: prendere l’attimo e isolarlo dal flusso di ciò che gli scorre intorno. Quindi adesso scrivo questa cosa senza un motivo per farlo che non sia farlo: non per un’intervista, non per un ritratto, non per una cronaca. Solo per dirlo.
È successo al Lido di Venezia nel 1982 o 1983, non ricordo con esattezza. Potrei verificare ma farlo non è importante quindi non lo faccio. Campionato d’Italia juniores di dressage. Fabio montava un cavallo sauro che mi pare si chiamasse Gigolo (o forse no… ) più una sfilza di numeri romani a seguire, ventitreesimo o ventottesimo… una cosa del genere. Un cavallo che in qualche modo aveva a che fare con Georg Theodorescu. Anche qui: potrei verificare ma non è importante, quindi non lo faccio. Quello che è importante è che Fabio vinse la medaglia d’oro. Ma soprattutto che lo fece per il secondo anno consecutivo.
Io allora ero un pivellino e qualunque cosa accadesse intorno a me la vivevo con lo stupore e la fascinazione di chi assiste a qualcosa di miracoloso. Che Fabio avesse vinto per la seconda volta consecutiva mi sembrava quindi un evento sensazionale. Poi lui era così bravo… sembrava un predestinato (tanto che quando anni più tardi abbandonò il dressage per darsi al completo ne rimasi quasi sconcertato… ). Quindi lo intervistai subito dopo la sua vittoria dato che mi trovavo lì appunto per scrivere di quel campionato per il mio giornale. A pensarci oggi mi viene quasi tenerezza: eravamo due ragazzini, lui solo poco più giovane di me, ma comunque due ragazzini; però lui era il cavaliere e io ero il giornalista. Due ragazzini. Naturalmente gli feci la domanda più ovvia del mondo, primo premio per originalità giornalistica: che significato ha per te questa seconda vittoria. Ecco: la cosa che voglio dire di Fabio Magni è proprio raccontare questa sua risposta. Fabio mi ha risposto così: «Forse vuol dire che non sono peggiorato». Così. Forse vuol dire che non sono peggiorato…
Ebbene, io questa risposta l’ho trovata lì per lì meravigliosa, ma non sapevo quello che sarebbe successo dopo, con il trascorrere degli anni e del tempo e delle cose accadute… È successo infatti che più il tempo passava allontanandomi da quel momento, e più la grandezza del significato di quella risposta di Fabio cresceva dentro di me. Quella sua risposta è rimasta dentro i miei pensieri anno dopo anno per tutti gli anni trascorsi da allora a oggi, diventando sempre più grande e importante e piena di significati: come se le cose che nel frattempo mi accadevano nel lavoro e nella vita fossero acqua utilizzata per innaffiare quella pianta in continua crescita. Credo davvero l’unico caso nella mia vita in cui il tempo trascorso non ha appannato il ricordo ma anzi lo ha vivificato in un procedimento inversamente proporzionale.
Non credo sia necessario spiegare perché quella risposta di Fabio Magni mi sia rimasta nel cuore e nel cervello con perfetta nitidezza ed evidenza: senso delle proporzioni, autocritica, rispetto per gli avversari, modestia e umiltà, discrezione, eleganza, serenità d’animo, amore per lo sport e per i cavalli, equilibrio, umanità, educazione… incredibile come così poche parole pronunciate in quella circostanza abbiano avuto il potere di racchiudere significati enormi, giganteschi… più tutti quelli che ognuno è liberissimo di intravvedervi, naturalmente. Per me è stato così.
Quella risposta di Fabio mi ha accompagnato giorno dopo giorno fino qui, fino a oggi, fino al momento in cui ho deciso di scrivere quello che ho scritto adesso con l’unico intento di valorizzare agli occhi di chiunque legga questa nota un gioiello che non deve essere offuscato dal tempo che passa, un gioiello che deve brillare esattamente tanto quanto ha sempre fatto – e continuerà a farlo – dentro di me.
Eravamo due ragazzini, allora: io ho fatto una domanda sciocca e Fabio mi ha risposto di getto, senza pensarci troppo, come si fa tra due ragazzi che chiacchierano per il piacere di farlo. Oggi siamo due uomini e il valore di quella risposta è cresciuto con noi.