MIlano, 13 agosto 2018 – Federico di Hohenzollern (1712-1786), detto anche Federico il Grande, divenne re di Prussia quasi suo malgrado: di animo delicato, colto e raffinato da giovane principe cercò addirittura di scappare in Inghilterra per sfuggire al doloroso rapporto con il padre, che lo schiacciava sotto una istruzione severa e dai modi crudeli.
Ma una volta ereditata la corona («Soltanto un cappello che lascia passare la pioggia», diceva lui) Federico affrontò le sue responabilità al meglio, riservando all’ambito personale il suo amore per la filosofia e rivelandosi uno dei più grandi capi militari dei suoi tempi.
Era ovviamente un ottimo cavaliere – l’equitazione era stata uno dei cardini della sua educazione sportiva e militare – e montò sino a tarda età: nelle sue scuderie ospitò sino a 4.000 cavalli, e l’ultimo dei suoi preferiti fu Condé, un castrone grigio pomellato nato nel 1766 in Inghilterra.
Federico era già anziano quando gli fu presentato il grigio codimozzo, che scelse senza esitazioni dopo una breve passeggiata di prova: lo battezzò con il nome di un nobile condottiero e non sbagliò affatto.
Condé infatti, nonostante il grado elevato di sangue, si rilevò un ottimo compagno per Federico: imperturbabile nel fragore dei cannoni, vivace e interessante in passeggiata e affettuoso nei momenti di libertà.
Condé aveva il vizio di trottare sul posto quando il re si fermava a salutare qualcuno durante le sue passeggiate in sella con tutto il settecentesco amore per le formalità sociali, sventolii di cappello inclusi: Federico tranquillissimo lo conteneva per tutto il tempo che gli serviva, senza farsi impressionare dallo scalpitìo del grigio.
Da notare che il re di Prussia era noto per montare sempre senza staffe né frustino e una volta smontato di sella lasciava giocare Condé che gli cercava zuccherini e fichi nelle tasche, infilandoci dentro tutto il naso.
Nel testamento del re a Condé viene assegnata una pensione a vita: finirà i suoi giorni tranquillamente al pascolo, morendo alla notevole età di 38 anni.
Dal suo scheletro, conservato al Museo del Cavallo di Berlino, si desume che non soffrì mai di nessun affaticamento particolare e fu evidentemente ben nutrito e curato: unica particolarità una lesione all’osso nasale, dove passava il capezzone. Evidentemente la sua voglia di andare in avanti doveva essere contenuta in qualche modo, e il capezzone permetteva di non rovinargli la bocca con il morso: ma niente che compromise mai lo stretto rapporto di fiducia e affetto che ebbe col suo re.