Bologna, 21 dicembre 2020 – La società potrebbe essere migliore se i cavalli e l’equitazione avessero uno spazio maggiore nel nostro sistema educativo e nella nostra quotidianità.
Questa non è solo una sensazione diffusa nel mondo equestre ma il risultato di studi scientifici e testi di professionisti della psicologia e della sociologia.
Questo è un concetto che nella società stenta a farsi largo, sempre sopraffatto dallo stereotipo dell’equitazione come sport elitario.
Ma gli studi in materia così come la diversa percezione dello sport (suggerita anche dalla pandemia di Covid-19 che ha portato un boom di nuovi iscritti alle scuole ed ai centri di equitazione) stanno allargando gli orizzonti e disegnando attorno alle discipline equestri una realtà di sempre maggiore interesse in ambito sociale.
Tra gli studi avviati recentemente e di particolare interesse, che sarà pubblicato nel prossimo mese di gennaio, c’è senz’altro Equitazione per educare – Viaggio dentro l’equitazione per esplorare il suo contributo allo sviluppo della persona, di Rita Andruetto, psicologa, psicologa dello sport e giudice nazionale di salto ostacoli della FISE.
Un testo che ha avuto il patrocinio della FISE e che affronta in modo sistematico la relazione tra educazione, società ed equitazione.
Dottoressa Andruetto, come è nata l’idea di scrivere questo libro?
“L’idea è nata dalla mia esperienza come speaker nelle gare di equitazione in alcune discipline ludiche, come i pony games e le gimkane: durante le gare commentavo l’andamento delle prestazioni dei ponisti introducendo anche spunti, solitamente apprezzati dai genitori, che potessero aiutare a capire l’utilità del particolare esercizio, a incoraggiare il piccolo atleta o a premiarne la perseveranza nei momenti di difficoltà. Da qui l’idea di presentare un quadro strutturato a 360 gradi sull’utilità dell’equitazione anche a livello educativo e sociale”.
Come misurarla?
“Indubbiamente l’equitazione, per la sua caratteristica di collaborazione tra un animale e una persona, di qualsiasi età, contribuisce ad allenare e sviluppare capacità di relazione, di comunicazione, di empatia, il senso di responsabilità, il coordinamento motorio, capacità di problem solving, di gestione delle emozioni, di rispetto per l’altro e di ascolto, capacità di affrontare le difficoltà e la leadership, attraverso la vita di scuderia, l’allenamento in maneggio, il grooming, e le competizioni nelle diverse discipline, a livello del singolo binomio e di squadra”.
Come psicologa lei lavora nelle aziende e nella scuola: qual è la relazione che vede tra questi due mondi e l’equitazione?
“Molti degli ambiti nel quali l’equitazione può contribuire allo sviluppo della persona sono gli stessi poi premiati a livello scolastico e lavorativo. Oltre alle capacità emotive, relazionali, di comunicazione e gestione della responsabilità cito ad esempio l’allenamento alla concentrazione, per la quale l’equitazione può essere più funzionale rispetto agli sport di squadra classici come il calcio o la pallavolo, che potrebbero presentare una complessità maggiore nelle prime fasi dell’età evolutiva. Nel contesto lavorativo sono sempre più richieste capacità di problem solving e creatività, di collaborazione, di leadership, di negoziazione per un obiettivo comune. Il mio libro parte da due quadri di riferimento”.
Quali?
“Il primo è quello suggerito dall’OMS che individua il contesto sportivo come uno di quelli che più contribuiscono a costruire nella persona un sé solido, a preparare alle sfide della quotidianità e alla gestione delle difficoltà, a fornire cioè a bambini e adolescenti opportunità di sviluppo delle life skills, cioè competenze utili nella vita, per prevenire problematiche sociali. Lo sport sviluppa la comunicazione interpersonale, la capacità di negoziazione e di porre rifiuti quando opportuno, il problem solving, il rispetto dell’altro, la disponibilità a mettersi in discussione. Per esempio, negli sport equestri, se il cavallo non risponde alle richieste del cavaliere è necessario che il cavaliere migliori la sua capacità di trasmettere messaggi efficaci e che rispetti i tempi del cavallo”.
Il secondo quadro di riferimento?
“E’ il modello delle intelligenze multiple, l’evoluzione del concetto di intelligenza che prende in considerazione tutte le capacità che possono essere utili nella società attuale e futura, e non solo quelle classicamente misurate dai test. I concetti di intelligenza emotiva, relazionale, creativa, etica, corporeo-cinestesica, spaziale, logico-matematica, naturalistica, creativa, musicale, linguistica e anche agonistica rappresentano un quadro strutturato di riferimento all’interno del quale raccontare cosa l’equitazione fa per potenziarle, in modo da ampliare le possibilità di scelta del futuro lavoro, per realizzarsi e stare bene con se stessi e con gli altri, e per contribuire in modo costruttivo alla società moderna e complessa di oggi”.
Ci dia uno spunto ottimistico per capire come tutto questo possa tradursi in realtà.
“Esiste un terzo quadro di riferimento citato nel libro, che riguarda lo sviluppo di competenze sollecitato anche nei nuovi programmi della scuola. Lo sport e i percorsi scolastici si muovono nella stessa direzione e l’equitazione si inserisce in questo quadro con le sue numerose potenzialità: ed è importante che sappia farle conoscere a 360 gradi. È necessario poi aiutare gli allievi a trasferire le competenze sviluppate in ambito sportivo e scolastico nella quotidianità del contesto sociale, anche coinvolgendo i genitori in questa filosofia: i genitori sono troppo spesso visti soltanto come un problema, ma in realtà quando sono coinvolti ed “educati” possono contribuire in modo costruttivo. Orientarli per esempio sull’importanza del loro ruolo in situazioni delicate come la gestione di un insuccesso e nella costruzione della fiducia in se stessi può essere una scelta vincente per qualsiasi scuola di sport e per la vita di ogni allievo”.
Qui un bell’esempio da Philadelphia