Salerno, 27 luglio 2023 – Allevare cavalli nel segno del loro benessere: un argomento che potrebbe interessare tanti di noi, ricco di aspetti da approfondire alla luce delle più moderne consapevolezze ma senza perdere il patrimonio di cultura specifica accumulato da chi questo mestiere lo fa da anni.
O addirittura da generazioni: come Paolo Pastorino, dell’allevamento delle Fiocche.
Medico veterinario, cavaliere, istruttore ma sopra ogni cosa allevatore orgogliosissimo di portare avanti la storia dei Salernitani delle Fiocche. In più parla sempre con entusiasmo dei suoi cavalli, rendendo la nostra chiacchierata estremamente piacevole.
Come si comporta chi alleva pensando al benessere del cavallo?
“Se si vuole iniziare questa attività la prima cosa importante è dare la giusta rilevanza alle strutture. Che devono avere determinate particolarità: bene aerate e molto alte, è fondamentale per i cavalli avere ricambio d’aria in quanto le deiezioni delle lettiere possono provocare danni a livello delle mucose bronchiali, con insorgenze di bronchiti croniche e sintomatologie allergiche oggi molto diffuse. Quindi evitare la polvere, possibilmente una finestra per ogni box. Ma l’altezza della scuderia è importante: tetto ovviamente coibentato, dimensione dei box cavalli almeno 3,50 x 3,50 m mentre per le fattrici che devono partorire occorrono almeno di 4 x 4 m, ma se si può 4,5 x 4,5 è meglio ancora. Fondamentali paddock spaziosi, ampi con una capannina coperta chiusa su tre lati per proteggere i cavalli dal vento predominante che per loro è più fastidioso della pioggia. Mai far crescere i puledri da soli, vanno tenuti sempre insieme ad altri: è una educazione sociale indispensabile. In branco imparano il funzionamento delle gerarchie, possono galoppare e giocare insieme, ad avere un rapporto con gli altri. Poi a un anno e mezzo si separano i maschi dalle femmine, quindi lo spazio che occorre è davvero tanto“.
E quando finiscono di giocare?
“Ci vuole un campo per lavorarli, è fondamentale: non uno piccolo, ma almeno 40×60 m per non farli girare nello stretto. Poi ci vuole qualcuno che li monti: addestrare i puledri non è un lavoro per tutti, ci vuole esperienza e tatto. Personalmente preferisco le donne, da almeno 10 anni i miei cavalli sono tutti addestrati da mani femminili. Perché sono sicuramente molto più pazienti di noi uomini. E per la maggior parte si tratta di ragazze del nord Europa: lì c’è una formazione più completa in questo senso. E specialmente con gli stalloni le donne sono perfette. Per i miei puledri amo un lavoro dove non ci sia coercizione: il timbro della voce è fondamentale, basta cambiare tono e il cavallo ti capisce, raramente mi trovo in circostanze in cui si deve usare la frusta. La coercizione deve essere abbandonata perché i frutti arrivano sino a un certo punto, se si vuole andare oltre si deve avere complicità con il soggetto cavallo, se no ci si ferma“.
L’hanno capito quasi tutti, ma purtroppo incide anche la velocità con cui si vogliono ottenere i primi risultati utili…
“La velocità, un bel problema: per esempio, i Salernitani sono soggetti un po’ tardivi, e io il circuito dei 4 anni non lo faccio. Mio nonno quando si faceva il Premio Nazionale Allevamento a 4 anni diceva ‘mettiamo i bambini a fare i lavori forzati’…adesso lo stesso tipo di lavoro si fa a 3 anni“.
Sono cambiati i tempi: ma sono cambiati anche i cavalli?
“I cavalli sono sempre gli stessi, la genealogia sempre quella: ho solo scelto qualche stallone di linea europea. Ci hanno dato grandi soddisfazioni i Salernitani: Adone nelle Fiocche doveva fare le Olimpiadi con Raimondo d’Inzeo ma il proprietario, Rizzi, non trovò l’accordo con la federazione. Poi c’è stata Dolly che ha vinto 3 campionati nazionali assoluti con Stefano Carli, Medea delle Fiocche con Stefano Angioni, Refosco che è stato sotto la sella di Roberto Arioldi ed è ancora in attività. Continuiamo a lavorare nel rispetto del regolamento del recupero delle razze in via di estinzione: pensi, dal 2006 per inserire un cavallo in razza e chiamarlo Salernitano basta un bisnonno che sia tale. Ma le mie fattrici sono sempre state tutte Salernitane almeno al 50%, adesso sono arrivato ad avere anche il 75%, Quindi più di quello che c’era in Posillipo e Merano, i due rappresentanti più famosi della razza, che erano figli di mamme Salernitane ma avevano padri PSI“.
Come sceglie gli stalloni?
“In loro cerco l’attitudine al salto, la correttezza degli appiombi e una bella morfologia. Per me i cavalli devono essere belli, eleganti, armoniosi, devono avere le giuste proporzioni. Fondamentali gli appiombi, un consiglio che do sempre è di andarseli a vedere dal vivo questi padri: anche se quando ho iniziato a coprire con Acobat I, che mi ha dato degli ottimi cavalli, io non l’ho fatto. Quando poi in seguito l’ho visto aveva un piede rampino e mi sono arrabbiato tantissimo, ma sono stato fortunato perché a nessuno dei miei cavalli, femmine o stalloni avuti da lui, ha il difetto quindi sono contento di aver fatto questo ‘sbaglio’. Ma se l’avessi visto prima sicuramente non l’avrei utilizzato: sono stato fortunato, a me ha dato soggetti fantastici ma dal punto di vista allevatoriale non è un comportamento da copiare. Anche se non è facile trovare appiombi perfetti, ottima attitudine al salto e buona indole tutto insieme e quindi si devono fare delle scelte“.
Ma di cosa è fatta la fortuna per un allevatore?
“Ci vuole più di tanta passione, ci vuole dedizione: e allora magari la fortuna ti viene incontro. Coi cavalli non bisogna avere fretta e sopratutto non esiste la vacanza: da un certo punto di vista io sono sempre in vacanza perché il mio lavoro mi piace. Sono contento così e vivo come voglio vivere, all’aria aperta e in mezzo ai cavalli“.
Suo nonno è stato fortunato, la sua passione è continuata in famiglia.
“In famiglia in verità solo io, anche attraverso mia madre, ho sviluppato la passione. Ma devo per forza lavorare in modo diverso da lui: il nonno a suo tempo i cavalli se li vedeva tutti quanti almeno due volte al giorno, la mattina alle 5 e poi alla sera prima di ritirarsi. Io faccio anche il veterinario, qui ho anche la mia clinica e questo tempo non ce l’ho e allora ho costruito un allevamento dove per portare i cavalli in lavoro giù al campo devono per forza passarmi davanti, così io posso buttare l’occhio e guardarli alleno due volte al giorno, all’andata e al ritorno. La mia amica Ita Marzotto guardando il progetto disse ‘ma così è scomodo, metti il campo più vicino alle scuderie, senza dover fare tutta la strada attraverso i paddock!’: ma io così me li posso guardare tutti, quindi va bene. Magari con gli stalloni qualche volta è scomodo passare in mezzo ai paddock con fattrici e puledri: ma creandoci questo problema a casa poi quando andiamo in concorso siamo pronti a tutto, quindi ci sono due grandi aspetti positivi in questa apparente scomodità“.
Si alleva per vendere: ma è così facile staccarsi da un cavallo che hai visto nascere?
“Una volta era meno traumatico, vendevi a tre anni, c’era sempre il rapporto ma diverso. Ora li domi, li porti almeno fino alle gare dei 5 anni: ovviamente si crea un attaccamento superiore. Cerco sempre di darli in mano a persone che li tengano bene, ovviamente. Vendemmo Renzo della Fiocche ad Arioldi sotto la mamma, diversi anni fa: lo vide con lei portata a mano, voleva portarsela a casa subito dopo lo svezzamento ma il nonno disse no, lo vieni a prendere quando ha tre anni. Eppure Arioldi è anche un allevatore, sapeva che sarebbe stato bene: ma il nonno diceva che se un cavallo non cresceva qui, con il nostro sistema, non era un cavallo delle Fiocche. Perché li lasciamo nei paddock con i loro coetanei sono ai tre anni, perché sui nostri terreni (argillosi al punto giusto, per creare una zona di fango mio nonno li irrigava appositamente) i cavalli sviluppano un bel piede largo, con l’elaterio sempre nelle migliori condizioni: e questo per un soggetto da salto è fondamentale. Fanno la doma scalzi, li ferro solo prima che escano dall’allevamento per le prime gare“.
Il suo cavallo del cuore?
“Sono veramente tanti, non ce n’è uno solo: chi in un modo chi in un altro, ma si instaura sempre un rapporto speciale. Sono tutti cavalli che ti seguono alla voce, nitriscono quando arrivi in scuderia e veramente tutti mi hanno dato tanto che mi rimane dentro, e che mi tocca. Ho una abitudine: l’ultimo dell’anno faccio sempre il giro della scuderia per fare gli auguri a tutti i miei cavalli. Mi fermo un po’ con ognuno di loro, gli parlo, penso a quello che faranno nei successivi 12 mesi: per me è il modo migliore di cominciare ogni nuovo anno“.
I desideri di un allevatore
“Oggi non si può fare solo l’allevatore, occorre addestrare i puledri per venderli: e purtroppo non c’è un centro di addestramento puledri federale che possa aiutarci, quindi gli allevatori oggi si devono arrangiare. Ai tempi di mio nonno a tre anni i puledri erano già tutti venduti, oggi non te lo viene a vedere nessuno fino ai 5 anni. A meno che non fai il circuito del salto in libertà: ma io non sono d’accordo su come viene fatto in Italia, perché se non ‘istruisci’ i cavalli in un certo modo non sei competitivo. Io non sono d’accordo su questa modalità quindi non li porto. Il corridoio ce l’ho ma ci è cresciuta l’erba dentro. Ho smesso di farlo perché, nonostante il regolamento sia ben studiato e in teoria penalizzi i salti innaturali, nessun giudice poi lo applica e sanziona chi lo viola“.
La storia delle Fiocche
L’allevamento delle Fiocche è probabilmente più antico d’Italia ancora in attività, tra quelli che producono soggetti da salto ostacoli ed è stato fondato dal nonno materno di Paolo Pastorino, Renzo Braggio. Era figlio di un maresciallo dell’Arma, Andrea, che aveva arrestato e salvato dal linciaggio Gaetano Bresci, l’attentatore del re Umberto I. Braggio lavorava in agricoltura ed era un grande appassionato di cavalli. Veronese di origine, nel 1961 scese nella piana di Eboli e prese in gestione più di 300 ettari di terreni demaniali vicino a Persano, non lontano dalla attuale sede dell’allevamento delle Fiocche. Braggio cominciò nel modo migliore, con fattrici che venivano dal prestigioso allevamento del barone Morese e prendendo in affitto anche il famoso allevamento de signor Farina. Divenne uno dei più importanti allevatori italiani degli anni ‘80, e i cavalli delle Fiocche hanno vinto sotto le selle dei fratelli d’Inzeo, di Graziano Mancinelli, di Stefano Angioni.
Paolo Pastorino tramite la madre Letizia Braggio ha raccolto l’eredità del nonno, e continua a produrre cavalli Salernitani.
A giusta ragione è considerato un paladino della razza, di cui sicuramente custodisce il nucleo più numeroso e prestigioso.
Sta crescendo la figlia di Paolo, Chiara: la quarta generazione delle Fiocche c’è.