Perugia, 29 ottobre 2020 – Cannara è un paesino di 4500 anime che se ne sta buono buono nella Valle Umbra, in provincia di Perugia.
Se ci arrivi dal nord passi accanto ad Assisi, che rimane lì a splendere alta sulla sinistra e poi traversando verso ovest incontri Cannara, appoggiata proprio sui piedi delle prime colline al centro della grande Valle.
Colline che qui rimangono dolci, morbide, le coltivazioni salgono su dal piano e riquadrano la terra grigia di argilla.
Questa è zona di vivai, aziende agricole grandi e piccole e vigne, come quelle dei Di Filippo.
I proprietari sono i fratelli Emma e Roberto, che hanno dato alla loro azienda l’indirizzo della coltivazione biodinamica.
Emma si occupa della comunicazione e delle vendite, Roberto è il responsabile export: e quando dice di essere solo un agricoltore non lo fa per vezzo, è che ancora vive dal vero tutti gli aspetti della sua azienda, a partire dalla coltivazione della vigna che conduce con un obiettivo particolare: riuscire a lavorare la maggior parte possibile dei terreni grazie alla forza motrice dei cavalli.
Arriviamo in azienda un bel sabato mattina di novembre e Daniele Cardullo, il responsabile dei cavalli e del loro lavoro sta attaccando due pariglie: un paio di Lipizzani per la carrozza che ci porterà in giro tra le vigne e i due Trait Comtois Diamante e Bebé allo scavallatore interfilare, che serve per rincalzare la terra ai piedi delle viti.
“Noi qui abbiamo 30 ettari di terreno” ci spiega Roberto, “e crediamo che coltivarli senza la pretesa di rese altissime, gestendo nel modo più naturale e corretto le risorse della terra ci permetta di ottenere uve migliori, che riescono ad esaltare le qualità di questo terroir. In questo ci facciamo aiutare anche dagli animali: abbiamo una collaborazione sulla agroforestry con le Università di Perugia e Siena, dal 2010 utilizziamo le oche per la pulizia delle vigne dalle erbe infestanti e la concimazione del terreno e i cavalli per alcune delle lavorazioni colturali. Al momento per il lavoro agricolo abbiamo una pariglia di Trait Comtois e ne siamo addestrando un’altra di Murgesi, Elliott e Eddy, ma vorrei arrivare ad averne almeno tre a disposizione. Quest’anno con una pariglia siamo riusciti a lavorare 12 ettari: ieri Diamante e Bebé hanno arato 4 ettari e altrettanti faranno domani. Quando avremo addestrati a puntino anche i Murgesi arriveremo a controllare la maggior parte della vigna con loro: ed è una cosa cui tengo, perché sono convinto che pur richiedendo una maggior quantità di tempo rispetto alla lavorazione con i trattori ci sia una buona compensazione di fattori positivi. Perché i cavalli possono entrare nella vigna senza costipare il terreno anche quando sarebbe impossibile farlo con un trattore, ad esempio quando è molto bagnato per la pioggia. Poi ci siamo accorti che con i cavalli roviniamo molti meno tralci, con relativo risparmio di tempo e manodopera. Non ho ancora i dati sufficienti a stilare un bilancio reale di confronto tra i costi relativi alle lavorazioni meccaniche versus lavorazioni con i cavalli, sarebbe del tutto azzardato ipotizzare un minor costo della forza motrice equina: ma certamente ci sono abbastanza lati positivi da farmi insistere in questa direzione. Anche perché credo che siano perfettamente inseribili a vari livelli nell’economia generale della zona: grazie ai cavalli sono coinvolte persone specializzate ed esperte nel settore degli attacchi, che oltre al lavoro in vigna escono con le carrozze in svariate occasioni fornendo un servizio trasporti molto ricercato in particolari occasioni (come i matrimoni, abbiamo un bel legno Milord per queste occasioni eleganti) e accompagnando i turisti in giro per le colline qui attorno. I cavalli per noi non sono un vezzo ma una vera risorsa, su cui puntiamo e che contiamo di implementare”.
Come è stato accolto il ritorno dei cavalli nei campi dalla gente di qui?
“Agli anziani specialmente brillano gli occhi, si fermano per farci i complimenti. I cavalli al lavoro piacciono a tutti, perché in qualche modo cambiano il luogo attorno a loro: il paese è diverso quando risuona del suono dei loro zoccoli la domenica mattina, quando non c’è traffico e allora sembra di fare un tuffo nel passato più bello. E poi i cavalli attaccati sono dei veri e propri animatori: per la festa di Sant’Antonio passo il tempo a portare su e giù in carrozza grandi e piccoli, rispetto ai cavalli montati hanno il vantaggio di coinvolgere più persone, fanno condividere emozioni”.
Qualcuno ha seguito il vostro esempio?
“Qualcuno ci sta provando, ma non è così semplice: bisogna essere molto motivati per non fermarsi alle prime difficoltà. Si fa molto prima ad accendere un trattore che a vestire due cavalli per attaccarli all’aratro, dobbiamo un po’ inventarci le attrezzature e lavorare coi cavalli implica qualche rischio in più: sia io che Daniele abbiamo un paio di chiodi nelle ossa a causa di qualche imprevisto, occorre certamente avere una forma mentis particolare e una grande passione per i cavalli, altrimenti non cominci nemmeno. Poi qui da noi si è persa la consuetudine alla vicinanza coi cavalli da lavoro, dobbiamo ricominciare tutto da capo al contrario di altri paesi come la Romania, dove ancora questa catena con il passato non si è interrotta. Noi nella valle del Danubio abbiamo un’altra azienda con cantina e anche là usiamo i cavalli, una razza agricola locale piccola ma robusta: sembrano nascere addestrati, perché seguono la madre sin da puledri e imparano con calma per imitazione, diventando di facile conduzione ed estremamente affidabili. Qui dobbiamo addestrarli da zero, ma poi quando sono capaci di lavorare “in vigna non hanno più problemi a fare qualsiasi altra cosa, perché la finezza dell’addestramento necessario al lavoro davvero molto alta».
Mentre parliamo Daniele e Chiara hanno finito di attaccare.
Bebé e Diamante sono serissimi, attenti e tranquilli: girano alla voce nello spazio di un fazzoletto, si fermano pazienti con precisione millimetrica quando necessario.
Ed è vero che cambiano il mondo in cui lavorano e si muovono: c’è qualcosa di gentile nel loro modo di muoversi, di così meno violento e prepotente rispetto a quello che sarebbe un mezzo meccanico nello stesso posto, a fare lo stesso servizio. Qualcosa di più pulito, che non urta e non passa cieco e rombante e ti fa sentire ancora più dentro l’aria buona di queste colline: hanno ragione Emma e Roberto, vale la pena di provare per sentirlo.
La Vernaccia di Cannara
Il Montefalco Sagrantino Etnico DOCG e il Grechetto Doc sono certamente tra le etichette di punta della cantina Di Filippo, quelle che l’hanno portata ad avere successo e ad esportare le proprie bottiglie sui mercati di mezzo mondo. Ma il prodotto del cuore sembra prorpio essere la Vernaccia di Cannara: «Siamo l’ultima cantina a produrre la Vernaccia di Cannara» spiega Roberto Di Filippo, «un vino ottenuto da uve raccolte a settembre e lasciate appassire per un paio di mesi. Così arrivano a fermentare in inverno (il nome deriva dal latino vernum), e ne risulta un vino rosso dolce, fruttato e che si beve giovane. Era quello che veniva stappato tradizionalmente per la ricchissima colazione della mattina di Pasqua, con torta al formaggio, uova e salumi assortiti: un brunch, diremmo adesso». Ma con la Vernaccia in più, perbacco.
Scarrozzando tra le vigne
Volete fare anche voi una trottata tra vigne e filari? Allora prenotatevi, che Bebé, Diamante e i loro colleghi della cantina Di Filippo sono disponibilissimi alla bisogna.
Si può optare per il tour più breve, adatto a gruppi sino a 6/7 persone: si parte dalla cantina in carrozza per arrivare in vigna, dove vengono illustrate le pratiche colturali biodinamiche dell’azienda e poi si prosegue per un bel giro sulle colline attorno, passando da Santa Croce, Collemancio e Conversino. Fascinoso il passaggio attraverso Villa Tommassetti e il suo viale alberato per poi tornare in cantina dove attenderà una merenda di salumi e formaggi artigianali con degustazione dei vini di casa.
Oppure per quello più prolungato, di mezza giornata che prevede un pic-nic in vigna a base di salumi d’oca e la gita in carrozza sino a Piandarca, dove San Francesco predicò agli uccelli e al Parco delle Sculture, con le sue opere d’arte moderne che si annidano nel bosco.
Le cipolle di Cannara
Sono una produzione tipica: varietà originarie di altre regioni ma che qui grazie ad ambiente, terreno, clima e pratica agronomica acquisiscono caratteristiche organolettiche del tutto particolari risultando particolarmente dolci e digeribili. Per San Matteo, patrono di Cannara che viene festeggiato il 21 settembre, c’è la Festa della cipolla.
Qui il sito ufficiale delle Cantine Di Filippo, avevamo parlato di loro nel Cavallo Magazine di gennaio 2017