Firenze, 3 settembre 2020 – Fa sempre bene poter confrontare il nostro presente con le esperienze di chi è venuto prima di noi.
Ad esempio il recente lockdown causato dal Coronavirus che abbiamo dovuto passare lontano dai nostri cavalli: se pensiamo che in Toscana durante la peste del ‘600 addirittura li sequestravano insieme a carrozze e carri non ci è poi andata così male, no?
La notizia è riportata in un saggio sulla “Quarantena universale” voluta da Ferdinando II de’ Medici, Granduca di Toscana.
Una misura del tutto eccezionale e molto razionale nei suoi contenuti: era prevista anche una “bolletta” che certificava la persona intestataria come non appestata.
Tra le regole che ancora oggi appaiono utili ed efficaci – in pratica Ferdinando II inventò il lockdown – l’obbligo per i fiorentini di starsene a casa e il censimento della popolazione.
Scuole e botteghe chiuse (tranne quelle della lana e della seta, vai a sapere perché: forse un mercato commerciale troppo importante per essere fermato), città divisa in sestieri per facilitare la distribuzione dei viveri.
Ma anche l’individuazione degli eventuali malati e, questo a noi interessa, il sequestro di cavalli e relativi carriaggi d’ogni genere. Così la gente non poteva muoversi tanto lontano e si impediva di fatto la propagazione del morbo.
Altro che malinconia da cavalli lontani durante il lockdown: quindi, in fondo in fondo, siamo stati anche fortunati.
Da notare che mentre a Firenze si applicavano un metodo tanto moderno, a Milano era diffusa la credenza sugli untori: ma anche questo è un ricorso storico, ahinoi…
Il saggio dal quale abbiano estrapolato questo aspetto squisitamente equestre di una epidemia a piacere è quello che ha pubblicato lo storico Pier Paolo Benucci per i tipi di Mauro Pagliai Editore, “La grande peste del 1630 a Firenze“.