Bologna, 3 agosto 2023 – Se chiedi di lui tutti ti rispondono allo stesso modo: è il migliore, un mago assoluto, l’unico artista capace di fare certe cose con i cavalli e l’unico ad avere quel talento, quella propensione particolare per realizzarle.
É questa la prima cosa che ci colpisce di Lorenzo.
La seconda è che nel suo percorso artistico ha raggiunto un punto di equilibrio incredibile tra natura e applicazione: lui in piedi sulle groppe di due cavalli di una falange compatta che galoppa in libertà su una spiaggia è l’immagine che viene immediatamente agli occhi pensando a Lorenzo.
Ma è una libertà che è resa possibile solo dalla sua incredibile cura per i dettagli e l’accuratezza di ogni attimo di comunicazione tra lui e loro, una magia fatta di lavoro costante e indeflettibile.
Laurent Serre è nato nel 1977 in un mas, le case sperse nella Camargue, terra di piccoli ma tenaci cavalli grigi capaci di vivere in mezzo alle paludi, e delle erbe che nascono sotto il pelo dell’acqua.
E già da subito Laurent era in mezzo ai cavalli: padre maniscalco e una mamma, Babeth, che lo ha lasciato giocare con fiducia sin dai suoi primissimi anni con Niasque, un cavallo Camargue che aveva ricevuto come regalo di nozze.
E’ cominciato tutto con Niasque: Laurent gioca e cresce con lui, sino a fare insieme il loro primo spettacolo nell’arena di Saintes Marie de la Mer. Presto si aggiungono ai loro giochi Tarzan, e poi Le Cid, Carasco, Albert, Jason.
E’ in quegli anni che Laurent diventa Lorenzo: nel mas dove abitavano Babeth aveva un piccolo agriturismo frequentato da tanti italiani: e ‘Lorenzo’ era il beniamino di tutti. Per cui Babeth un giorno disse ‘Ma sai che tutto sommato suona bene, è un bel nome’: e Lorenzo fu.
Un nome d’arte per un ragazzo che era già un artista, anche se in divenire: non si spiega altrimenti come un couturier geniale del calibro di Christian Lacroix (nato ad Arles, quindi Provenzale anche lui) abbia deciso di disegnare per lui la camicia per i suoi spettacoli.
La sensibilità di un artista riconosce sempre i suoi simili, anche se si esprimono in un campo diverso.
E l’Arte, in molte forme, è intrecciata alla storia di Lorenzo: basti pensare alla musica.
Quella dei Gipsy King, per cominciare: il celebre gruppo di rom francesi di origine spagnola che sbancò le classifiche di tutto il mondo con la rumba gitana Baila Me, nel cui video compariva un Lorenzo ragazzino che volteggiava sulla spiaggia di Saint Marie de la Mer.
O nel 2017 al Salon di Cheval di Parigi con Le Tambours du Bronx, una band francese che danzando trasforma la potenza in ritmo e base musicale.
Eppure non c’è Arte senza studio e disciplina: e Laurent lo sa bene.
Infatti è uno studente modello: diplomato a pieni voti alla scuola superiore, interrompe gli studi universitari per dedicarsi al lavoro con i cavalli ma nel 2003 consegue il Diploma di Educatore Sportivo in Attività Equestri di 1° grado.
E con una idea ben precisa in testa: la Lorenzo Voltige Academy.
Che è cresciuta nel tempo sino a diventare un centro di eccellenza, dotato di tutte le più moderne soluzioni per allenarsi anche senza cavallo, con simulatori iper-tecnologici; alcuni sono ancora gli unici in Francia, paese che al contrario dell’Italia ha tanti praticanti e tante scuole di questa disciplina.
Lì, ospitando spesso campioni del Volteggio come docenti agli stages dedicati ai suoi allievi, Lorenzo contribuisce alla crescita di tanti giovani atleti.
Una iniziativa che ha molto successo ovviamente: e chi non vorrebbe avere l’occasione di imparare qualcosa da Lorenzo, o per lo meno sotto i suoi occhi?
E a proposito di cose che si possono imparare, quale sarà il segreto della comunicazione così speciale che Lorenzo riesce a instaurare con i suoi cavalli?
Riccardo Di Giovanni glielo ha chiesto per noi, quando lo ha incontrato ad Avignone in occasione di Cheval Passion 2023: “Credo che sia perché ho lavorato tanto in questo senso con loro», ha risposto Lorenzo, «perché è un aspetto che mi appassiona del rapporto tra uomo e cavallo. Ho cominciato a farlo da bambino e mi è riuscito bene. Così sono andato avanti su questa strada”.
Potrebbe sembrare una risposta apparentemente superficiale: ma solo apparentemente, crediamo noi.
Perché per chi ha un talento spesso è difficile spiegare come ricrearlo, come riprodurlo.
Chissà, forse si chiamano talenti proprio perché te li ritrovi lì, senza sapere come e chi ha nascosto quei tesori dentro di te, come quelli della parabola.
Sono tanti i casi di grandi uomini di cavalli che però non riuscivano a trasmettere le loro abilità agli allievi che comunque, sempre, circondano i campioni.
E parlando con alcuni di loro abbiamo avuto l’impressione di capire il perché.
Piero d’Inzeo una volta, rispondendo a una domanda molto simile, rispose che sin da piccolo aveva imparato a rubare con gli occhi dai cavalieri più bravi.
Si metteva un po’ nascosto a bordo del campo dove suo padre o i suoi allievi migliori lavoravano e non si perdeva nulla di quelle lezioni dal vero.
Perché puoi insegnare una azione, un meccanismo di risposta, un trucco, un movimento: ma come fai ad insegnare la capacità di cogliere le cose importanti e significative lasciando scorrere via quelle non utili?
Se hai imparato certe cose basandoti sulla tua capacità di sentire, sul tuo tatto equestre sarà molto difficile tradurre in didattica la tua esperienza.
Per questo tanti grandi professionisti, in ogni campo, sono convinti del fatto che chi ha talento debba saper imparare guardando fare i più esperti, i più bravi.
“Un atteggiamento molto camarguese in effetti, a pensarci bene” ha ricordato Riccardo Di Giovanni mentre affondavamo in questa piacevole discussione filosofico-equestre: “mi ricordo quando ero giovane e sbrancavo i tori con i gardian, io gli chiedevo di spiegarmi le cose e loro mi rispondevano che ‘se devi imparare è inutile che te lo dico, se non devi imparare posso dirti quello che voglio che tanto non serve a niente'”.
In conclusione: per imparare così occorre sensibilità, per questo l’Equitazione è un’Arte.
E come tutte le Arti richiede tanto, tantissimo lavoro, tanta disciplina e impegno.
Georges Braque (1882-1963), pittore francese, diceva che c’è una sola cosa che valga in arte: ed è quella che non si può spiegare.
Chissà, magari era stato anche lui a sbrancare i tori con i gardian e i cavalli della Camargue…
Riccardo Di Giovanni: il lato nascosto del genio
Una voce da crooner prestata all’equitazione: questo è Riccardo Di Giovanni, personaggio tra i più interessanti tra quanti hanno nutrito la consapevolezza equestre di buona parte degli appassionati di cavalli italiani. Lui non scrive, parla: ma quando parla bisogna starlo ad ascoltare, perché ha una cultura (non solo equestre) di rara profondità. Dopo gli studi (liceo al Chateaubriand di Roma, Università alla Università Statale di Milano) Riccardo si è innamorato della Camargue, dove ha trascorso parecchi anni imparando la monta da lavoro direttamente dai gardians, i butteri locali. E in quel microcosmo provenzale ha conosciuto Laurent quando era ancora molto giovane: e lo ringraziamo di cuore per aver girato alcune nostre domande a Lorenzo mentre erano ad Avignone, nel week-end dal 20 al 22 gennaio appena trascorso.
“Amo e conosco bene la Camargue, e Laurent ce l’ho sotto gli occhi da quando era piccolino. E già aveva cominciato a giocare con i cavalli: ha debuttato con il suo primo spettacolo a 8 anni, era veramente un bambino prodigio. Ma per capire chi è il grande uomo di cavalli che è diventato, bisogna sapere che lui è una creatura che pretende moltissimo: da se stesso prima di tutto, poi come conseguenza anche dai suoi cavalli. La libertà che lui trasmette con il suo spettacolo è una libertà che si suda ogni giorno, lavorando con una meticolosità infinita. Laurent è di nazionalità francese, ma veramente teutonico per quanto riguarda la precisione che mette in ogni aspetto e momento del suo lavoro. Ha un talento innato e capacità indiscusse: ma il suo segreto, la cosa che ammiro di più in lui è la costanza. E questa sua voglia assoluta di raggiungere il risultato migliore si sposa ad una connessione di grado altissimo che è capace di instaurare con i cavalli: tu lo guardi quando è con loro e capisci che parla, si muove e ragiona come un cavallo. In più è intransigente e caparbio, di una precisione ormai leggendaria in tutto quello che fa: e questo atteggiamento, alla lunga, paga sulla qualità di ogni esibizione. Questa sua capacità di applicazione è il lato meno visibile del suo lavoro: e per arrivare a quei livelli bisogna essere così, altrimenti non diventi Lorenzo”.
Nico Belloni: ‘Quella volta che Lorenzo…’
La voce ufficiale dell’Associazione Italiana Allevatori, ma non solo: Nico Belloni da San Sepolcro, in provincia di Arezzo in realtà ha cominciato a frequentare i cavalli come cavaliere appassionato della Monta da Lavoro. Ma Nico faceva anche il vocalist per passione, e passare dall’altra parte del microfono anche quando si trattava di cavalli è stato un attimo. Continua a montare e allevare cavalli Anglo-Arabi, la sua voce e i suoi testi, sempre emotivamente coinvolgenti, accompagnano tante manifestazioni in tutta Italia: compreso il gale d’oro di Fieracavalli a verona.
“La la prima sensazione che ho quando lavoro con Lorenzo è la sensazione della sua grande umiltà e della grande, tranquillità data dalla determinazione di ottenere sempre il meglio. E mi stupisce questa cosa, perché lui è sempre, sempre così, in ogni occasione.
Un vero pignolo del suo lavoro e questa cosa mi piace tanto, di lui ho una stima incredibile perché non deve dimostrar nulla, si potrebbe permettere tranquillamente di sedersi sul suo trono e starci comodamente appollaiato.
Invece no, ogni volta che esce sotto i riflettori si mette in gioco, ogni volta trova una chiave di lettura diversa su una sfera entropica, quella del lavoro con il cavallo.
Ha già fatto tutto, eppure ogni volta riesci a trovare qualcosa di diverso. Poi il suo equilibrio: quel ragazzo non è solo ‘il Francese Volante’, è un extraterrestre che tiene la scena con una percezione di spazio, di movimenti e di equilibrio fuori dal comune. C’è solo un altro artista a cui ho visto fare delle cose del genere, però con molti meno cavalli: un italiano, e si chiama Salvatore Improta, in arte Sasà, nato nel gruppo di Bartolo Messina e ora nella scuderia degli Hasta Luego.
La stessa padronanza dello spazio, e li accomuna anche l’aver cominciato questo lavoro in età giovanissima.
E’ capitato ormai diverse volte che dovessi preparare un testo per presentare Lorenzo a qualche spettacolo, come il Gala d’Oro di Fieracavalli ad esempio: e anche quest’anno io e Antonio Giarola ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto ‘Ma davvero c’è bisogno di presentarlo, Lorenzo?’. Perché tu puoi pensare a qualsiasi testo, poetico emotivo spettacolare…ma cosa dici di uno che ti guarda negli occhi e che abbia due cavalli, dieci, venti o ventidue sembra sempre con loro un corpo solo, un movimento solo?
L’emozione più forte da quando lo conosco me l’ha fatta provare forse il venerdì dell’ultima edizione del Galà d’Oro a Verona: vi era un cavallo non inquadrato, che non teneva il passo degli altri.
Succede, sono esseri viventi.
La cosa che mi ha colpito è che lui se n’è accorto subito, nonostante fosse uno degli ultimi , quelli più lontani da lui. Tra Lorenzo e questo cavallo c’erano almeno almeno 10 metri.
E lui non so come ha fatto: l’ha visto con la coda dell’occhio, ha avuto una sensazione, o si saranno parlati in qualche loro modo, o se c’è un signore dei cavalli che glielo ha suggerito. Ma lui se ne è accorto: e ha iniziato a lavorare per quel cavallo, stravolgendo il suo programma. E chi conosce l’etologia, il lavoro dei cavalli, soprattutto in libertà sa che cambiare anche di poco qualcosa in una routine ha un effetto moltiplicato su di loro. Eppure nonostante la complessità della situazione lui ha subito sopperito e aiutato quel cavallo: a non rimanere indietro, non chiedendogli cose che in quel momento non poteva dare.
C’erano altre soluzioni per salvare comunque lo spettacolo: ma lui ha scelto di non mettere in difficoltà quel cavallo.
Improvvisare una nuova sequenza del numero davanti al pubblico, in mezzo agli applausi e ai suoni e alle luci di uno spettacolo del genere è una cosa che può permettersi di fare soltanto chi, come Lorenzo, ha una tecnica sopraffina. Come un suonatore di jazz, che può improvvisare veramente in modo geniale solo dopo una vita di applicazione allo studio della musica. Perché lui sorprende sempre, sempre: ti aspetti che faccia quel salto e invece no, cambia il programma e sempre sorridendo, sempre guardando il pubblico negli occhi, sempre insieme a tutti i suoi cavalli, come se fossero un corpo unico”.
Giulio Longobardi
Il suo nome forse non è ancora molto noto al di fuori dell’ambiente dello spettacolo equestre, eppure Giulio per noi è stato fondamentale. Perché è sentendo il suo entusiasmo mentre ci parlava del suo mito, Lorenzo, che abbiamo capito quale fosse la chiave di lettura per raccontare il ‘Francese Volante’: non male, per quello che Bartolo Messina chiama ‘the Silent Arrow’. Giulio Lombardi è di Nocera Inferiore, è nato in una famiglia dove la passione per il cavallo è endemica ed è riuscito a diventare uno dei trick-rider della Ecurie Hasta Luego, vera fucina di talenti dello spettacolo equestre.
“Per noi che lavoriamo nello spettacolo Lorenzo è un idolo, universalmente noto come ‘l’Alieno’. Perché ciò che fa è un qualcosa di unico: un mix di posta ungherese e lavoro in libertà, volteggio e trick-riding. Ma la sua è vera arte e il suo nome una garanzia. Se tu lo guardi capisci veramente cosa vuol dire ‘spettacolo’: anche per noi che ci siamo dentro è sempre affascinante, anche se lo conosciamo già da anni. Personalmente trovo speciale il modo in cui conosce ogni suo cavallo: sa sempre esattamente cosa può fare e cosa no, e se c’è un problema riesce sempre ad anticiparlo, disinnescandolo. Ha un tocco speciale nel capire quale è il momento giusto per fare – o non fare – qualcosa, lui sta sempre un passo davanti al cavallo per risolvere ogni possibile e anche piccola incomprensione.
E credo che questo sia una conseguenza della quantità di tempo che lui passa con i suoi cavalli: si sveglia la mattina e sta con loro, li lavora molto e gli piace farlo in tranquillità, senza la presenza di altre persone. Penso che i cavalli siano qualcuno di molto vicino alla sua intimità, al suo modo di essere e di esprimersi. Certo è molto molto pignolo nel lavoro, ma il suo asso nella manica è un feeling unico e indescrivibile con i cavalli, una cosa estremamente personale”.