Padova, 26 novembre 2018 – «Dai, è ora di andare a fare la nanna».
«Adesso papi?».
«Eh sì, adesso… è tardi e tu devi dormire».
«Però favoletta».
«Va bene, certo, favoletta, ma prima pipì, mani e denti, ok?».
«Sì papi».
Lei fa tutto per bene e poi ci ritroviamo nella sua cameretta.
«Papi?».
«Sì».
«Me ne racconti una lunga?».
«Va bene. Quale vuoi?».
«Quella del puledrino Almé».
«D’accordo, il puledrino Almé».
«Papi?».
«Sì».
«Ma davvero l’hai inventata tu?».
«Sì. L’ho raccontata anche ai tuoi fratelli quando erano piccoli».
«Davvero?».
«Sì, davvero».
«Allora raccontamela papi… ».
Lei si accoccola sotto il piumone con i suoi pupazzetti tenendo la mia mano stretta nella sua, nella penombra… È uno dei momenti più belli in assoluto: sta per cominciare qualcosa, e lei si abbandona al calore e alla morbidezza…
C’era una volta l’allevamento di cavalli sportivi più importante del mondo. Si chiamava Doppio Salto, e lì nascevano i cavalli che poi avrebbero vinto le Olimpiadi e tutte le gare più difficili montati dai cavalieri più bravi.
Un giorno di primavera a Doppio Salto nascono i nuovi puledri. È un giorno bellissimo e importantissimo: tutte le cavalle sono felici di vedere finalmente i loro bambini fuori dalla loro pancia. E tutti i puledrini sono così contenti di poter guardare la loro mamma e di poter succhiare da lei il latte buono e dolce…
Dopo qualche giorno il padrone della scuderia decide che è arrivato il momento di portare i puledrini insieme alle loro mamme nei prati, all’aria, al sole, sull’erba.
Quando i puledrini vedono per la prima volta nella loro vita tutte quelle cose stupende, il verde dell’erba, l’azzurro del cielo, il bianco delle nuvole… e sentono il calore del sole sul loro corpo… provano una gioia fortissima e si lanciano di corsa come pazzi tutti insieme seguiti dalle loro mamme che li sorvegliano con amore e attenzione. I puledrini galoppano veloci per la prima volta nella loro vita e non sono subito capaci di farlo molto bene, quindi qualcuno cade e si rotola per terra, ma tutti si divertono da morire.
Tutti tranne uno. Un puledrino rimane fermo fermo, e la sua mamma con lui. La mamma fa un passo e lui la segue. La mamma si ferma e lui si ferma. Il padrone della scuderia li vede ma pensa che quel puledrino forse non si sente ancora molto sicuro e che forse ha bisogno di un po’ di tempo in più rispetto ai suoi compagni prima di poter correre e giocare con loro.
Il giorno dopo il padrone della scuderia porta di nuovo tutti i puledri con le loro mamme nei prati. E tutti cominciano a correre e a saltare e a giocare divertendosi come matti. Tutti tranne uno. Il solito puledrino che rimane fermo immobile di fianco alla sua mamma. Il padrone della scuderia lo vede, ma pensa ancora che quel puledrino abbia bisogno di un po’ di tempo per abituarsi e fare amicizia con gli altri. Così non lo bada più di tanto.
Il terzo giorno però succede la stessa cosa. E anche il quarto, e anche il quinto, e anche tutti gli altri giorni. I puledri corrono, saltano e giocano: tutti tranne uno, sempre lui, sempre fermo immobile e sempre vicino alla sua mamma. Allora il padrone della scuderia pensa che forse quel puledrino stia male, così chiama il veterinario. Il veterinario visita il puledrino ma lo trova in perfetta salute. Allora il padrone della scuderia pensa che il puledrino abbia male ai piedi, così chiama il maniscalco anche se il puledrino ovviamente non aveva ancora i ferri sotto agli zoccoli. Ma il maniscalco dice che va tutto bene. Allora il padrone della scuderia pensa che il puledrino abbia bisogno di un amico che stia con lui non solo tutto il giorno ma anche tutta la notte, così mette una capretta nel suo box: ma il puledrino quando esce dal box per andare nei prati continua a rimanere fermo immobile vicino alla sua mamma.
Una sera il padrone della scuderia è in camera da letto con sua moglie. Si stanno mettendo il pigiama per andare a dormire, e intanto chiacchierano. Lui dice: sai, ho deciso di vendere il puledrino che sta sempre fermo, sai quello che non corre e non gioca e non fa niente di niente mentre tutti gli altri si divertono come matti… penso che non diventerà mai un cavallo importante e non possiamo permetterci di mantenere un puledro così, poveretto. Sua moglie gli dà ragione, dice anche lei che sì, non c’è altra soluzione che vendere quel puledrino che non corre, non salta, non gioca e che se ne sta sempre fermo immobile di fianco alla sua mamma.
Il bambino Enrico intanto è nella sua camera, sopra quella dei genitori. Ancora sveglio: perché non riesce ad addormentarsi. Così attraverso il vecchio e sconnesso pavimento di legno di quella vecchia e sconnessa casa riesce a seguire tutta la conversazione di mamma e papà. Il bambino Enrico ascolta le parole di suo padre con grandissima preoccupazione: perché lui e il puledrino Almé, il puledrino che se ne stava sempre fermo, lui e il puledrino Almé erano grandi amici. I migliori amici di tutta la scuderia. Allora il bambino Enrico aspetta che i suoi genitori si siano addormentati. Poi zitto zitto si alza dal letto, si veste ed esce dalla sua cameretta cercando di non far rumore. Scende le scale, apre la porta, esce nel cortile e va verso le scuderie. È notte fonda, c’è un silenzio grandissimo, in cielo si vedono le stelle. Enrico entra nella scuderia e sente subito quel bel caldino profumato. Anche i cavalli dormono e quindi il silenzio è grandissimo anche in scuderia. C’è la luce di notte accesa, quella azzurra che fa vedere tutte le cose in blu scuro. Enrico va verso il box del suo amico Almé. Bussa alla porta.
«Almé, Almé… dormi?».
Non si sente niente.
«Almé, Almé!».
Si sente un fruscio di paglia smossa…
«Eh… sì… chi è?».
«Io, sono io Almé, sono Enrico».
«Ah… ciao Enrico, ma… è notte, cosa ci fai qui?».
«Apri per favore, che ti devo dire delle cose».
«Adesso?».
«Sì, adesso, apri per favore».
Almé apre la porta del suo box.
«Ecco, ciao Enrico».
«Ciao Almé».
«Allora, cosa c’è, cosa devi dirmi?».
«Senti, devi rispondere dicendomi proprio la verità, capito?».
«Ma sì certo, figurati… Dimmi».
«Ma senti… tu per caso stai male?».
«Male? No, non direi, no, proprio no, sto benissimo».
«Allora hai male ai piedi?».
«No, direi di no, no… non ho male ai piedi».
«Allora per caso ti senti un po’ solo quando non stiamo insieme?».
«Ma no, figurati. C’è mia mamma sempre con me, e poi tuo papà mi ha anche messo una capretta qui nel box… anzi, parliamo piano che sta dormendo, poverina. Ma perché mi fai queste domande scusa?».
«Ma allora se non stai male, se non hai male ai piedi, se non ti senti solo… perché te ne stai sempre fermo immobile quando mio papà vi porta tutti nei prati per correre?».
«Ah… per questo mi stai chiedendo… ».
«Sì, certo, per questo: dimmi, allora, perché?».
«Ma non vedi le mie gambe?».
«Le tue… gambe?».
«Sì, certo, le mie gambe».
«E cosa c’è con le tue gambe?».
«Ma… le hai viste o no?».
«Certo che le ho viste, le vedo… e allora?».
«Ma non vedi come sono sottili?».
«Beh, sono come devono essere, direi».
«Appunto!».
«E quindi?».
«E quindi… se mi si spezzano? Se mi si rompono?».
«Ma perché dovrebbero… ».
«Perché sono troppo sottili!».
«Ah, ma allora è per questo che tu non corri e non salti e non giochi con tutti gli altri?».
«Ma certo! Se mi si rompono le gambe io come faccio poi?».
«Oddio Almé… ma cosa ti viene in mente… Le tue gambe non si rompono, figurati».
«Lo dici tu, che le hai più forti e più grosse delle mie… ».
«Lo dico perché lo so».
«E se succede?».
«Senti Almè… guarda, ho un’idea… senti, tu sei mai stato a vedere un concorso ippico?».
«Un… concorso ippico? No, non so nemmeno cosa sia, un concorso ippico».
«Ecco, benissimo. Allora, stammi a sentire: adesso dormiamo, ma tu domattina ti devi svegliare prestissimo, più presto del solito, va bene? Poi io ti vengo a prendere e andiamo a vedere un concorso ippico, ok?».
«Va bene Enrico, certo, se lo dici tu… ».
«Va bene, ok, adesso io torno a dormire di sopra in camera mia. Ci vediamo domattina. Presto, mi raccomando!».
«D’accordo Enrico, ciao, notte, a domani».
«Ciao».
Almé chiude la porta del suo box e riprende a dormire vicino alla sua amica capretta, che non si sveglia nemmeno con le cannonate…
Enrico torna in casa: per fortuna sente il papà russare e non vede nessuna luce accesa. Nessun pericolo, quindi! Su di corsa in camera a fare la nanna…
La mattina dopo Enrico si sveglia mentre il sole sta per nascere: si vede un po’ di luce rossa laggiù, sotto al buio della notte. Enrico si veste a tutta velocità, scivola giù dalle scale, va in cucina, prende un sacchettino con i biscotti, poi esce e va verso la scuderia. Con addosso ancora il tepore del letto sente il fresco dell’aria della mattina sulla faccia. Enrico entra in scuderia: ci sono i rumori del risveglio al mattino. Enrico va da Almé e lo trova già pronto, sveglio e arzillo.
«Ciao, sei già sveglio!».
«Eh sì, ti eri tanto raccomandato… ».
«Bene, andiamo, dai».
Enrico mette la capezza ad Almé, poi prende una longhina e i due insieme escono dalla scuderia sotto lo sguardo stupito di tutti gli altri cavalli: ma dove andate a quest’ora?
Enrico e Almé camminano e camminano e camminano, e alla fine arrivano al concorso ippico. Almé è stupefatto: non aveva mai visto niente del genere in tutta la sua vita, le bandiere, i fiori, la musica…
«Adesso andiamo a vedere il campo ostacoli», dice Enrico.
Enrico e Almé si sistemano in un posticino libero tra il campo ostacoli e il campo prova, proprio dove i cavalli passavano per entrare a fare la loro gara.
«Adesso guarda questi cavalli», dice Enrico ad Almé.
Almé ha gli occhi sgranati e non riesce quasi a parlare dall’impressione. Almé vede questi cavalli grandi, addirittura enormi, con i muscoli forti che guizzano sotto il pelo lucido e perfetto, vede le loro orecchie ritte e attente come i radar delle navi nel mare, vede le loro narici aperte e vibranti che pompano aria, sente il rumore degli zoccoli che percuotono il terreno, lo spostamento d’aria quando qualcuno di loro gli passa vicino al galoppo, li vede saltare quegli ostacoli enormi salendo in aria come giganteschi uccelli… Almé è incantato!
«Hai visto?», gli dice Enrico.
«Sì… », risponde quasi senza voce Almé.
«E hai visto le loro gambe?».
«Sì, che forti… ».
«Ecco: le tue gambe tra poco saranno così».
«Le mie?».
«Certo: le tue».
«Cosa dici Enrico… ».
«Ma è vero Almé: anche le tue gambe diventeranno grandi e forti, vedrai!».
«Ma se sono così sottili… ».
«Perché sei piccolo! Anche io sono piccolo, ma un giorno crescerò e diventerò grande come il mio papà… ».
«Siamo piccoli… ».
«Sì Almé, siamo piccoli. Ma guarda questi cavalli: tu diventerai così!».
Almé non dice più una sola parola e guarda… Un cavallo che aveva appena finito di saltare gli ostacoli gli passa vicino uscendo dal campo di gara e Almé sente il suo respiro veloce e potente, sente una forza pazzesca che gli passa di fianco…
«Dai, adesso torniamo a casa», dice Enrico.
L’indomani mattina il papà di Enrico, il padrone della scuderia, come ogni mattina libera tutti i puledri nei grandi prati. E tutti i puledri cominciano a correre, giocare e saltare pieni di energia e di gioia sotto il sole e il cielo azzurro, e con un venticello allegro, e su quell’erba fresca e dolce e verdissima. Il papà di Enrico li guarda, felice. Ma a un certo momento… sì, rimane sorpreso, perché… ma sì, non c’è più nessun puledrino fermo immobile! Il puledrino che se ne stava sempre fermo immobile vicino alla sua mamma adesso è lì con gli altri, sta correndo e giocando insieme a tutti i suoi compagni… ! Il papà di Enrico è davvero sorpreso e chiama subito sua moglie, la mamma di Enrico.
«Guarda!», le dice.
«I puledri… », dice lei, «è sempre bello vederli così!».
«Sì, ma guarda, c’è anche il puledrino che stava sempre fermo, lo vedi?».
«Ma sì, davvero, eccolo lì, è proprio lui!».
«Sì, e guarda come corre… ».
«Sì, guarda guarda… ma è velocissimo, è il più veloce di tutti, guarda!».
«E come salta poi. Caspita, lo dicevo io che bisognava aspettare un po’».
«No caro, tu avevi detto che lo volevi vendere!».
«Sì, l’avrò anche detto, ma era così per dire… vedi, con i puledri è sempre così, bisogna avere un po’ di pazienza e aspettare che capiscano… ».
Intanto arriva anche Enrico vicino alla mamma e al papà.
«Hai visto Enrico? Hai visto il tuo amico, il puledrino Almé? Guarda come galoppa veloce!».
«Sì papà, è bravissimo vero?».
«È il più bravo di tutti. Non vedi che nessuno riesce a stagli dietro?».
«Sì, hai ragione papà!».
«Te lo dicevo io, Enrico, con i puledri bisogna fare così, avere pazienza, aspettare che si rinforzino un po’ e poi tutto funziona per il meglio».
«Hai proprio ragione papà», dice Enrico sorridendo, «hai proprio ragione».
Il puledrino Almé da quel giorno ha cominciato a crescere e a diventare sempre più grande e sempre più forte. Oggi le sue gambe sono potenti e piene di energia. Almé è diventato un cavallo meraviglioso, il più bello di tutti e anche il più bravo di tutti. Il papà di Enrico non lo ha venduto, e adesso Enrico e Almé stanno sempre insieme. Anche Enrico è cresciuto, ed è diventato un bravissimo cavaliere. E chissà, forse un giorno Almé ed Enrico insieme faranno le gare più importanti del mondo e vinceranno le Olimpiadi… Oppure non le vinceranno: ma si vorranno bene da morire per il resto di tutta la loro vita.
«Come noi papi?».
«Noi molto ma molto ma molto di più, perché tu sei la mia bambina e sei il mio amore e sei il mio tesoro».
«Anche io ti voglio benissimo papi, come tutta questa casa, no, come tutto il mondo intero».
«Lo so. Però adesso chiudi gli occhietti e fai la nanna che è tardi, va bene?».
«Sì. Mi dai un bacino?».
«Certo! Te ne do cento, di bacini… ».
Sento il suo piccolo viso tra le mie mani, e la sua pelle così morbida e calda e dolce. Nel buio siamo lei e io: un mondo intero.