Padova, giovedì 30 gennaio 2020 – Il momento atteso e temuto in egual misura lo si viveva nel punto di incrocio tra le varie ali della scuderia, proprio davanti al portone del maneggio coperto. Ci facevamo trovare tutti lì, raggruppati: e il maestro – il maresciallo Giovanni Cinti – ci comunicava il nome del cavallo che avremmo montato. Chi mi sarebbe toccato? Ogni volta speravo che non fosse la Claruccia, una saurina tutto pepe piuttosto pericolosa: quando qualunque essere vivente le si faceva vicino lei tirava indietro le orecchie così tanto che sembrava non averle nemmeno più… e bisognava starle alla larga, sia davanti per via di quei denti veloci come fulmini sia dietro per evitare calcetti corti ma rapidissimi. Anche la Baietta non era tra le mie preferite: famosa perché durante le riprese faceva talvolta dei fulminei voltafaccia senza alcun preavviso quando entrava negli angoli, e non c’era verso di restarle in sella… Io volevo montare il mio amatissimo Irish Melody, un cavallone dal mantello dorato e talmente grasso da sembrare privo di ossa, come se tutto il suo corpo fosse fatto di materia morbida e soffice: era così buono, così dolce, così pacifico… Con lui avevo praticamente imparato tutto quello che sapevo fare, durante quei molti e lunghi mesi di scuola. E quello che sapevo fare era solo trottare… In ripresa, da solo, senza staffe, con le staffe, seduto, sull’inforcatura, senza redini, con le redini, con le mani ai fianchi, con le mani alle spalle, con le mani incrociate dietro la nuca, con le braccia in fuori, con un braccio sollevato e l’altro no, con la torsione del busto a destra e poi a sinistra, flesso all’inguine con le mani sulle spalle del mio cavallo, prima la mano destra sulla spalla destra e poi la sinistra sulla sinistra, e poi l’incrocio con la mano destra verso la spalla sinistra e la mano sinistra verso la spalla destra… trotto, trotto, trotto. E passo. Passo e trotto, trotto e passo. Mesi e mesi e mesi. Estate e inverno e poi ancora estate e poi ancora inverno… Quando avrei finalmente galoppato?
Io volevo galoppare. Gli allievi più grandi galoppavano. Quando io me ne stavo lassù, seduto nella tribuna del maneggio coperto a vedere le riprese che precedevano la mia, percepivo qualcosa di magico e misterioso quando tutti galoppavano: non si sentiva alcun rumore, eppure c’era un suono… speciale, un soffio quasi, un potente fruscio, una specie di vento che si alzava da sotto per arrivare fino a me, in alto, in tribuna, qualcosa che io inspiravo a fondo e che raggiungeva non solo i miei polmoni ma anche il mio cervello… Qualcosa che mi inebriava, pur spaventandomi: perché io quella cosa non la sapevo ancora fare, però desideravo farla con tutto me stesso. Ma i mesi passavano, e io continuavo a trottare: seduto, sollevato, sull’inforcatura, senza staffe… trotto e passo, passo e trotto.
Quel giorno eravamo tutti lì, raggruppati davanti al portone del maneggio coperto. Era inverno, fuori era buio già da tempo, faceva freddo. A un certo punto comparve il maestro Giovanni Cinti, con la sua giacca di montone chiaro e il collo di pelo e il cappello con la tesa di media grandezza: un uomo al tempo stesso austero e dolce, severo e gentile. Ci salutò, noi rispondemmo in coro per poi rimanere in rispettoso silenzio in attesa delle sue decisioni. Il maestro Giovanni Cinti ci guardò uno per uno negli occhi dicendo il nome del cavallo corrispondente: la Claruccia e la Baietta per fortuna non toccarono a me, poi nemmeno la Gioiosa, nemmeno la Zula, nemmeno Teseo, e… oh no, nemmeno Irish Melody… il mio Irish Melody! Io non avrei montato il mio amato Irish Melody… Infine arrivò il mio turno, ma il maestro Giovanni Cinti non disse niente: mise una mano sulla mia spalla e mi portò con sé verso la scuderia di Luigi, Gigi cioè.
«Gigi!», chiamò il maestro Giovanni Cinti.
«Comandi», rispose Gigi uscendo da un box.
«Prepara per lui Tre su Tre».
«Subito, pronti», rispose Gigi.
Poi il maestro Giovanni Cinti mi guardò e disse: «Oggi galoppiamo».
Io mi paralizzai… Oggi galoppiamo! Oggi… adesso, quindi. Oddio: perché non domani?
Mi sentii incapace di movimenti. Restai lì, fermo. Gigi con il suo camice grigio e il suo baschetto blu mi venne vicino e disse: «Vien co’ mì, ‘ndemo». Io lo seguii, verso il box di Tre su Tre.
Voglia e paura insieme. Ma quando Gigi pronunciò la fatidica frase la paura prese il sopravvento: «’Sto qua xe un purosangue!», disse Gigi guardandomi sorridendo, accarezzando quell’incollatura nera e lucida prima di mettere il capezzone e portare il cavallo fuori dal box per legarlo ai due venti.
Io rimasi immobile. Un purosangue. Non sapevo cosa fosse esattamente un purosangue. Un cavallo, certo, ma perché purosangue? Tutto quello che sapevo era che si poteva definire purosangue un cavallo bellissimo e molto veloce, quindi il concetto di purosangue secondo la mia consapevolezza di allora corrispondeva a una valutazione soggettiva, a un apprezzamento: proprio come definire una pietanza molto dolce se preparata con troppo zucchero o molto salata se con troppo sale… E se Gigi aveva detto che quello era un purosangue non poteva che essere così. Del resto lui conosceva meglio di chiunque altro i cavalli che stavano in quella parte di scuderia: era la sua parte. Proprio di fronte a quella di Leandro: speculari. Però Leandro teneva cavalli meno importanti di quelli di Gigi, i suoi erano tutti cavalli della scuola. A dire il vero erano importantissimi anche i cavalli di Leandro, tuttavia agli occhi di un ragazzino come me i cavalli di proprietà stavano su di un gradino più in alto – a volte molti gradini più in alto – nella gerarchia sociale dell’intera Scuola Padovana di Equitazione.
Luigi teneva cavalli di proprietà. Tranne uno: lui, il purosangue, che era della scuola. Ma era un purosangue, non un cavallo qualsiasi. Un purosangue: lo aveva detto Gigi. E quel giorno lo avrei montato io… Ero quindi posseduto da un’emozione fortissima, una sensazione che mescolava per l’appunto desiderio e paura allo stesso tempo… ma con maggiore propensione verso la paura. Avrei galoppato per la prima volta nella mia vita: e lo avrei fatto con un… purosangue, cioè un cavallo bellissimo e molto veloce.
Gigi portò quindi fuori dal box Tre su Tre per legarlo ai due venti in corridoio. Io me ne stavo lì impalato a guardare.
«Vardeo qua, ‘sto vecio Tre su Tre», disse poi Gigi togliendogli la coperta.
Io ero profondamente colpito. Tre su Tre era tutto nero. Poi altissimo. A dire il vero a essere molto piccolo ero io, in ogni caso le rispettive proporzioni me lo facevano considerare come altissimo. E poi era magro e ossuto, senza però dare assolutamente l’idea di essere macilento e scassato, anzi: la sua magrezza gli conferiva un aspetto quasi aristocratico, ascetico, perfino regale ai miei occhi, era un segno distintivo che lo caratterizzava in modo speciale rispetto a tutti i cavalli – pochi, ovviamente – che avevo montato fino a quel momento. Osservandolo mi sembrava di guardare qualcosa che non avevo mai visto prima: la Claruccia e la Baietta parevano due zitelle isteriche, piccole e nevrotiche, non sembravano nemmeno cavalli; la Zula era la nave scuola di tutti, la cavalla che faceva le corde per i principianti, stando in sella a lei ci si sentiva sicuri più ancora che a terra e a piedi; Teseo era un specie di grande cagnone un po’ rigido e duro ma sempre pronto a fare tutto; la Gioiosa era un po’ troppo energica per i miei gusti; Irish Melody… beh, lui era per me quanto di più distante da un cavallo si potesse immaginare: lo consideravo come una specie di fratello maggiore ciccione e affettuoso al quale affidarmi a occhi chiusi, con il quale avrei mangiato, dormito, giocato, fatto i compiti… E poi anche gli altri cavalli: nessuno pareva possedere nemmeno la più piccola analogia o somiglianza con Tre su Tre.
Mentre Gigi era indaffarato con il bruscone e poi con il nettapiedi e poi con tutto il resto, io azzardai una carezza piena di soggezione sul naso di Tre su Tre. Ma quando avvicinai la mano lui alzò la testa per evitarla, e fece una cosa che nessuno dei cavalli che avevo montato fino a quel momento aveva mai fatto: mi guardò. Tre su Tre mi guardò: alzò la testa, piegò leggermente la sua incollatura di lato in modo da mettersi quasi di tre quarti rispetto alla mia posizione, e mi stette a guardare. Fermo immobile. Io non avevo mai provato una sensazione del genere, prima: vedevo i suoi occhi grandi e neri e brillanti, ma più ancora vedevo il suo sguardo diretto su di me, diretto… dentro di me. Tre su Tre in effetti non mi stava guardando: mi stava scrutando. Improvvisamente lui smise di essere un cavallo: diventò invece l’autorità, la grandezza, l’importanza, qualcuno verso il quale sentirmi in massima soggezione, qualcuno al quale dare del lei nel chiedere il permesso…
«Ciò, sèto ti quanto xe vecio ‘sto vecio?», mi disse a un certo punto Gigi sorridendo.
«No Gigi», dissi io, «non lo so».
«El gà vinti ani tondi tondi, boia scheo… ma vardeo: ‘l stà ben che mai!», disse Gigi quasi con fierezza, quasi con orgoglio.
Intanto Tre su Tre continuava a tenere lo sguardo su di me: e io su di lui. Mi stava considerando, era evidente: Tre su Tre stava valutando che persona io fossi, che ragazzino si stava trovando davanti. Io capii immediatamente una cosa: non sarei stato io a montare lui, sarebbe stato lui a portare me.
Gigi terminò le operazioni di insellaggio, strinse il sottopancia, sganciò i moschettoni dei due venti, tolse il capezzone, mise la testiera, allacciò sottogola e capezzina e poi mi disse: «’Ndemo dai che xe ora».
Camminammo insieme lungo il corridoio e verso il portone del maneggio coperto: Gigi, Tre su Tre e io. Quel tipico rumore di zoccoli sul pavimento di pietra della scuderia. Lui, Tre su Tre, camminava in modo strano. Quanto meno a me così pareva: aveva una leggera flessione alle ginocchia, muoveva le quattro gambe con grande grazia, quasi danzando, e naturalmente in quel momento io non mi resi affatto conto che si trattava invece di un passo quasi anchilosato dovuto all’età… Quello che vedevo io era un movimento completamente diverso da quello di tutti gli altri cavalli: a ulteriore conferma del fatto che Tre su Tre era un cavallo speciale. E io quel giorno avrei imparato a galoppare con lui… Lui me lo avrebbe insegnato, come un vecchio e aristocratico professore che mette a disposizione dei giovani la sua esperienza e la sua sapienza. Quel giorno.
I cavalli hanno coscienza di loro stessi? Sanno chi sono? Sono consapevoli di aver fatto ciò che hanno fatto? Percepiscono le differenze tra di loro? Ebbene, i cavalli probabilmente no (o forse sì… ), ma Tre su Tre certamente sì. Lo sguardo che mi aveva rivolto quel giorno in scuderia, quello sguardo di autorevole superiorità, quello sguardo di accademica consapevolezza, quello sguardo che lì per lì mi aveva messo in grande soggezione, che mi aveva intimidito e fatto sentire ancora più piccolo di quanto non fossi effettivamente, ecco, di quello sguardo ho compreso il senso completo e profondo solo qualche anno più tardi, quando ho scoperto… la verità.
Treasure Trail era un purosangue nato in Irlanda nel 1953 da Cisco Kid e Cillacon. Cisco Kid (1940) aveva come bisnonno Phalaris il quale tra i suoi figli ha avuto Pharos, padre del prodigioso Nearco. Treasure Trail nel 1958 è stato acquistato dalla Federazione Italiana Sport Equestri durante una delle annuali rimonte (si definivano così le operazioni di acquisto di un cospicuo numero di cavalli compiute solitamente all’estero) che la Fise stessa effettuava prevalentemente in Irlanda grazie ai contributi erogati dal Coni per tale specifico scopo. Gli acquisti servivano per rifornire alcuni dei migliori cavalieri italiani di cavalli da destinare al lavoro e alla preparazione per le Olimpiadi sia per il salto ostacoli sia per il completo. Nel 1958 in Italia è arrivato dall’Irlanda un lotto di cavalli molto consistente, nel quale tre soggetti davvero formidabili: The Scholar, poi vincitore della medaglia di bronzo a squadre alle Olimpiadi di Roma con Antonio Oppes; Rahin, portato da Lalla Novo a vittorie favolose; Pioneer, difficile e complicato, con il quale tuttavia Piero d’Inzeo avrebbe conquistato la medaglia d’argento nel Campionato d’Europa del 1961. Oltre a loro altri ottimi cavalli: Thomas, Roderick, Mullinavat, Ballynool, Clogheen, Waterford, Sonna Bridge, Another Delight, Mount Royal, Silver Tip, Snip, Saddle Moore, Kilmak, Jack Spot, Ballilunegan, Dublin. E naturalmente Tre su Tre: Treasure Trail. Lui.
Treasure Trail è stato inserito nel gruppo dei cavalli in preparazione per i Giochi Olimpici di completo, con l’obiettivo puntato sul 1964 più che sul 1960: tutti scuderizzati negli impianti del centro ippico militare di Montelibretti. Poi si sarebbero aggiunti anche Winston, Tuft of Heather, Quiz Master, Celtoi, May Morning, Plus Possible, Fiorella. Tra i vari cavalieri che l’hanno montato, Giuseppe Ravano (oro a squadre in completo a Tokyo 1964, ma cavaliere di successo anche in salto ostacoli con la medaglia d’oro individuale nel Campionato d’Europa juniores proprio nel 1958) è quello con il quale Treasure Trail ha condiviso più gare e periodi di lavoro, pur non arrivando a partecipare alle Olimpiadi. Raggiunto il suo limite agonistico, Treasure Trail è stato poi affidato dalla Fise alla Scuola Padovana di Equitazione che l’ha impegnato come cavallo di punta per le gare riservate agli allievi: dopo alcuni ottimi risultati sotto la sella di Giorgio Masiero, l’ultimo successo di Treasure Trail è stata la medaglia d’argento nel Campionato d’Italia juniores di addestramento nel 1968 a Montelibretti montato da Barbara Carlon, dietro il vincitore Giorgio Nuti su Baronette (Nuti oro individuale anche in completo e salto ostacoli: un tris che costituisce un record tuttora imbattuto) e davanti a Micaela Bossi su Samarkand.
Poi con la vecchiaia Treasure Trail si è dedicato alla scuola. All’insegnamento. Ad accompagnare i bambini nelle loro prime esperienze importanti, dall’alto della sua sapienza di campione dello sport: purosangue di nobile genealogia, dopo essere stato cercato e voluto dai tecnici della nostra federazione nazionale, dopo essere stato pagato una consistente somma di denaro, dopo aver vissuto da protagonista gli anni gloriosi dello sport equestre azzurro, dopo aver galoppato e saltato nei completi internazionali tra i più importanti d’Europa, dopo essere stato atleta in preparazione per le Olimpiadi, dopo aver difeso in campo i colori di una delle scuole di equitazione di maggior successo in Italia nel corso degli anni Sessanta, dopo tutto questo Treasure Trail – forte e vigoroso come la terra che l’ha generato – si è dedicato ai bambini. Severo ed esigente, ma comprensivo e disponibile come solo chi ha davvero vissuto sa essere.
Quel giorno di tanti anni fa Treasure Trail mi ha guardato, prima di insegnarmi a galoppare, prima di farmi galoppare per la prima volta nella mia vita: mi ha guardato con uno sguardo che io non avrei mai più dimenticato, ma del cui valore mi sono reso pienamente conto solo dopo aver conosciuto per intero la sua storia. La storia del purosangue Tre su Tre.