Bologna, 6 marzo 2017 – Salvatore Oppes è uomo che ha dedicato tutta la vita ai cavalli: da bambino, da ragazzo, da adulto, e sarà così per sempre. Lui dei cavalli sa tutto, ha visto tutto, conosce tutto. Come suo padre e suo nonno prima di lui. Poi un giorno accade che lui, Salvatore Oppes, si trovi per necessità all’interno di un gigantesco centro commerciale a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria. Pare sia il più grande outlet d’Europa. Un luogo dove trionfa il materiale, il consumistico, il commercio, le cose che si toccano, che si prendono, che si pagano. Non esattamente un luogo dove esaltare i sensi e l’immaginazione e lo spirito, insomma. Ma Salvatore Oppes a un certo momento si trova davanti a qualcosa che certamente non si sarebbe aspettato di vedere lì: una enorme testa di cavallo che beve in una pozza d’acqua. Una scultura gigantesca al centro di una vasca circolare. Un cavallo che beve. Un gigantesco cavallo che beve. Improvvisamente sparisce tutto il resto: vetrine, registratori di cassa che trillano, uomini e donne che maneggiano scarpe e vestiti e oggetti di elettronica con l’aria di chi si convince o non si convince, commesse imbellettate che impacchettano e che sorridono per dovere immerse nell’aria satura e densa di profumi di profumeria e di essenze di firme famose… sparisce tutto e tutto diventa silenzio di fronte a questo enorme cavallo che beve calmo e silente e immobile come la forza e la bellezza della natura. Salvatore Oppes rimane colpito. Forse anche altre persone rimangono colpite ma nell’urgente impellenza dell’acquisto e nel richiamo della carta di credito non fanno più di tanto caso a questa meraviglia che pur essendo lì in bella vista in realtà è nascosta agli occhi di chi i cavalli non li conosce, di chi i cavalli non li ha pensati e sognati ogni notte della sua vita, di chi non ha mai provato sul palmo della mano la morbidezza di due narici vellutate, o l’umidore di un collo sudato durante un galoppo vorticoso… Molti avranno pensato oh, guarda, che strana scultura, però, bella… Salvatore Oppes invece rimane folgorato, perché quella scultura agita nel suo profondo i motivi per cui la sua vita è andata come è andata e andrà come andrà. Così fa una cosa normale che però risulta straordinaria. La cosa normale è prendere il telefono (altresì detto smartphone… ) e fare una fotografia. La cosa straordinaria è l’effetto che ne risulta. Salvatore Oppes non è un fotografo, non un fotografo professionista cioè: eppure nella sua forse inconsapevole inquadratura sceglie la prospettiva migliore. Quella per cui l’incollatura del cavallo che beve pare provenire direttamente dal cielo, da un cielo calmo e terso e azzurrino della sera. Come se di questo cavallo celestiale noi potessimo vedere solo quella parte, quella parte di incollatura e la testa. E tutto il resto fosse nascosto agli occhi di noi piccoli umani terrestri nell’immensità dello spazio infinito. Come se per un attimo questa divinità equina fosse scesa tra noi per poi scomparire una volta dissetata. La scena è suggestiva: perché ovviamente si tratta di una scultura immobile ed eterna, eppure la si ammira con l’emozione di chi sta osservando un fenomeno transitorio e temporaneo, la magia di un istante, il privilegio di essere stati casualmente scelti dal destino come testimoni di questo miracolo divino. Il cavallo celestiale che è sceso tra noi. Per un attimo. Perché poi, finito di bere, il cavallo celestiale tornerà nelle immensità della sua natura e noi potremo solo sapere che lui esiste, senza però mai più vederlo. Forse.
La scultura è indubbiamente meravigliosa ma se in quel luogo fosse stata fotografata da una qualunque posizione diversa da questa non avrebbe ottenuto tale effetto. Invece Salvatore Oppes – che dei cavalli sa tutto perché i cavalli stanno dentro di lui – ha scelto di fotografarla forse inconsapevolmente o forse consapevolmente proprio nell’unica posizione possibile per fare in modo che la magia si manifestasse ai nostri occhi, noi che la stiamo a guardare. L’opera e la fotografia dell’opera riescono a trasmettere questa suggestione profonda: impossibile rimanere inerti e passivi di fronte a questa immagine. E’ una sensazione che abbiamo provato noi per primi, e che ancora adesso ci colpisce: difficile distogliere lo sguardo da uno spettacolo del genere. Difficile per noi e difficile anche per tutti i lettori della pagina Facebook di Cavallo Magazine: le statistiche a sole poche ore della pubblicazione della foto fatta da Salvatore Oppes parlano di più di 600 mila persone raggiunte, più di tremila ‘mi piace’ e – ancora – più di tremila condivisioni. Non è una contabilità feticistica: perché dietro questi numeri ci sono persone, persone che certamente hanno provato le stesse emozioni che ancora adesso proviamo noi mentre ne scriviamo.
Il britannico Nic Fiddian-Green, nato nel 1963, è un uomo che ha dedicato quasi esclusivamente – pur se non solo – la sua arte al cavallo. Le sue ‘teste’ sono magnifiche e potenti, e sono state collocate nei luoghi più vari: in pieno centro delle città come pure in aperta campagna. Il cavallo celestiale in realtà è la sua scultura più famosa e si intitola Still Water, disposta a Marble Arch a Londra. C’è una storia forte dietro questa meravigliosa opera. Il lavoro viene commissionato nel 2006 a Fiddian-Green da sir Anthony e lady Carole Bamford; ma poco dopo aver cominciato a pensare all’idea da sviluppare Nic Fiddian-Green viene assalito dal cancro: trascorre sei mesi in chemioterapia, pensa di non riuscire a portare a termine l’opera dubitando di sopravvivere. Henrietta, la moglie di Nic, scrive ai committenti suggerendo loro di cercare un altro artista. La risposta è meravigliosa: noi aspettiamo la guarigione di Nic. E Nic guarisce: e porta a termine questo capolavoro, il capolavoro della sua rinascita, del suo ritorno alla vita, della sua resurrezione, un capolavoro che inizialmente si intitola Horse at Water e che viene in un primo momento disposto appunto a Marble Arch, nel pieno centro di Londra. In seguito i Bamford lo trasferiscono nella loro proprietà di Daylesford e Nic produce una scultura pressoché identica per rimpiazzare la prima a Marble Arch: più alta, misura dieci metri e si intitola appunto Still Water. Le reazioni del pubblico di fronte a questo capolavoro toccano Fiddian-Green nel profondo: “Dopo circa trent’anni di esperimenti ho cominciato a pensare che quello che stavo facendo in effetti trasmette qualcosa alla gente”, dirà l’artista britannico al The Telegraph nel 2013. Certo: eccome se trasmette… Ma non solo ‘qualcosa’: quello che trasmette è ciò di cui ora noi stiamo scrivendo qui, quello che ha sentito e visto e provato dentro sé stesso Salvatore Oppes, quello che provano tutte le persone che si trovano fisicamente di fronte a Still Water, quello che stanno ancora adesso – proprio in questo momento cioè – sentendo e provando tutte le persone che ammirano il cavallo celestiale di Nic Fiddian-Green nella fotografia di Salvatore Oppes mediante una teoricamente fredda e statica pagina elettronica di Facebook. Un flusso di emozioni, un flusso di suggestione: l’opera di un artista, il suo sentire e il suo vedere. Alla fine però è tutto lì: nella meravigliosa bellezza dei cavalli. Del cavallo. Il cavallo, i cavalli: la nostra vita, quindi.