Trapani, 24 settembre 2021 – A volte ritornano.
In questo caso a riavvolgere il nastro della storia è stato l’asino Pantesco, che nel giugno scorso ha ripreso domicilio a Pantelleria, la sua isola natale, dopo 36 anni di esilio.
Un esilio fatto per salvarlo, a dire la verità: una volta unico e indispensabile mezzo di trasporto su quel pezzo di Sicilia più vicina alla Tunisia che all’Italia, dagli anni ’50 in poi aveva subito la fine di uno strumento obsoleto.
Tanto che nel 1985 era stato dichiarato estinto.
Ora sono tornate a casa tre femmine, provenienti dall’ex Azienda regionale Foreste “San Matteo” di Erice, che hanno preso domicilio al Centro visita del Parco nazionale Isola di Pantelleria a Punta Spadillo.
Sono le eredi degli asini originari dell’isola, il cui patrimonio genetico è stato almeno in parte recuperato.
Spiega Andrea Biddittu, biologo del Parco. “L’impegno di allevatori e scienziati è stato straordinario, ha permesso di ottenere un animale con caratteristiche simili per circa l’80 per cento all’originale”.
Le raggiungerà nei prossimi mesi uno stallone e passato il tempo canonico (circa 12 mesi, per gli asini) nasceranno finalmente i primi puledrini panteschi Doc millennials.
Ma come mai a Pantelleria non c’erano più asini?
Perché non c’era più nessuno che avesse bisogno di loro. E in un microambiente come quello di questo vulcano spento in mezzo al mare le dinamiche comuni a tutto il resto del mondo hanno avuto un effetto molto più radicale.
Si abbandonavano l’agricoltura, le vigne ad alberello (oggi patrimonio Unesco) e Pantelleria stessa per cercare fortuna altrove. E asini non ne facevano nascere più, tanto c’erano i motori ormai.
La Sicilia è da sempre terra di asini, muli e bardotti: gli unici in grado di portare persone e cose dove non c’erano strade.
L’asino di Pantelleria, di grande mole e prevalentemente baio oscuro o morello, era molto apprezzato per la velocità della sua andatura.
E per la sicurezza del piede sui percorsi più dissestati e sassosi, la comodità del suo ambio che lo rendeva una monta piacevolissima.
In più era resistente, rustico e pieno di brio.
Dal temperamento sanguigno e, sentieri permettendo, anche molto competitivo visto che nei vecchi manuali di ippologia si dà per sua abitudine quella di voler stare davanti a qualsiasi collega si trovi a condividere il suo tragitto. Ancora discretamente numerosi sino a pochi decenni fa, ora di asini con una buona percentuale di sangue Pantesco ne sono rimasti forse una cinquantina.
L’asino Ragusano è stato in parte studiato a tavolino per le esigenze mulattiere dell’Esercito tra le due guerre mondiali: partendo dalla popolazione asinina autoctona esistente in regione e individuata nella zona di Ragusa negli anni ’30 la località ideale, si impiantò una stazione selezionata asinina nella quale venne mandato a operare l’asino siciliano più bello del Deposito Stalloni di Catania, Pacifico.
Dal giugno scorso gli asini panteschi sono tornati a casa: saranno compagni di escursioni per visitatori e turisti e un pezzo di storia che rivive e torna a trottare spedita per viottoli e sentieri, e sarà come se non li avesse mai abbandonati.
“Nelle prime fasi di reintroduzione gli asini avranno bisogno di un periodo di adattamento che sarà monitorato dal personale del Parco Nazionale. Si valuterà così la loro capacità di adattamento e gli si darà il tempo di diventare confidenti. Successivamente di sperimenterà il loro progressivo inserimento nell’attività lavorative sia nelle attività agricole che nel turismo. Gli obiettivi, infatti, sono anche quelli di creare un circuito di trekking a dorso l’asino, una fattoria didattica e un centro di pet therapy”.
Ma saranno anche, come sempre sanno fare gli asini, cuori silenziosi e comprensivi pronti a stare vicino a chi li vorrà con sé.
Filosofi scettici che non concedono facilmente la loro fiducia: e noi uomini dovremmo avere l’onestà di ammettere le loro sacrosante ragioni.
Qui la notizia che ci ha fatto venire voglia di parlarvi di questa meraviglia con le orecchie lunghe, dal Corriere della Sera