Roma, 10 aprile 2024 – Ci sono persone che sussurrano ai cavalli, ed emozioni che sussurrano alle persone: perché la voce ce l’hanno, ma è delicata e bisogna prestare attenzione per sentirle.
Federico Massimiliano Mozzano sente con gli occhi e racconta con la luce: quella delle fotografie che ha scattato per il suo reportage che per tre mesi lo ha fatto diventare parte della Onlus L’emozione Non Ha Voce di Roma.
Il 2 aprile scorso è stata la Giornata Mondiale per la consapevolezza sull’Autismo: a noi piace ascoltare queste storie e queste emozioni, grazie a Federico e a tutti gli amici di ‘L’emozione Non Ha Voce’ che ce le hanno fatte conoscere.
Il testo che segue è stato scritto da Federico Mozzano.
Andrea mi chiede se con la bandiera rossa ci si può fare il bagno nel mare e poi se gli scogli sono duri, duri come le rocce delle montagne, e che suono fa l’acqua quando sbatte contro di loro .
Cecilia cerca di salire in sella a Laila , la cavalla che tutti chiamano ‘Bionda’ perché ha la criniera di colore giallo: è il suo turno , cerca di salire ma non è convinta di farlo, rimane in piedi per qualche secondo sulla scaletta e poi rinuncia.
Dopo qualche minuto prova nuovamente e rinuncia ancora una volta.
Giulia non la vedo neanche avvicinarsi , e subito mi tocca ripetutamente la barba.
Non parla, o semplicemente non sono capace di comprendere il suo linguaggio ma sorride, e di gusto.
Parlo con Clemente, gli faccio un po’ di domande per capire le sue emozioni quando sta a contato con i cavalli: mi risponde che è molto contento di stare con i cavalli, gli piace pulirli e accarezzarli.
Poi mi racconta che a casa ha tre galline e gli piace tanto vedere Alice nel paese delle Meraviglie e Dumbo.
Sono alcuni dei ragazzi che frequentano la Onlus “L’Emozione non ha voce”.
Siamo in una via dei Parioli, centro di Roma, accanto a villa Glori, all’interno di una scuola di equitazione che da anni
ospita l’associazione.
I primi utenti arrivano poco prima delle 9 di mattina accolti dagli operatori: attraversano lo spiazzo, chiuso tutto intorno dalle scuderie, e si avviano verso il maneggio dove trascorreranno le successive ore ad accudire e a montare.
Perché in questa struttura si pratica l’ippoterapia, processo terapeutico riabilitativo che si pone l’obiettivo di aiutare persone gravate da problematiche psicofisiche.
Gli utenti che frequentano l’Associazione sono ragazze e ragazzi di venti, trenta, qualcuno di cinquanta anni affetti da disturbi dello spettro autistico.
Ogni giorno, per cinque giorni a settimana, sono coinvolti in diverse attività che va dalla cura dell’orto alla vendita di prodotti alla comunicazione aumentativa con l’aiuto delle immagini.
Ma tra tutte, quella centrale è l’ippoterapia.
Gli autistici sono persone che vivono all’interno di una bolla, chiuse verso l’esterno, con serie difficoltà di comunicazione che generano frustrazione e a volte aggressività.
Laura e Roberta, le due ippoterapiste che lavorano nell’associazione spiegano che l’ippoterapia è una pratica utile per stimolarli e farli uscire da quel
mondo in cui sono rinchiusi, una pratica che permette ai ragazzi e alle ragazze di rilassarsi e che, stimolando le endorfine, genera uno stato di benessere psicofisico.
Per Laura accudire un animale così maestoso e anche temuto, come il cavallo, raggiungere l’autonomia nel montarli, permette ai ragazzi di accrescere il
senso di autostima e la fiducia in se stessi.
Riuscire ad arrivare a prendersi cura di un cavallo permetterà ai ragazzi di prendersi cura di se stessi.
“Anche il solo farlo passeggiare e mangiare crea una relazione con l’animale e sviluppa nei ragazzi un senso di responsabilità. Il cavallo in questo lavoro diventa un collega, ci è molto di aiuto nel nostro approccio con i ragazzi, il cavallo è la chiave del nostro lavoro”.
Roberta spiega che l’andatura stessa del cavallo è terapeutica in quanto il suo movimento tridimensionale permette a chi non deambula, a chi non usa braccia e gambe di assumere posizioni per lui inconcepibili a terra.
Il beneficio è evidente anche a livello neuromotorio, anche in casi neuromotori gravi come paralisi cerebrali infantili.
Per tre mesi ho trascorso diverso tempo con le ragazze e i ragazzi che frequentano il centro, le immagini che ho scattato restituiscono quello che sono riuscito a vedere e comprendere in
questo periodo.
Relazionarsi con loro senza farne parte non è facile, e non lo è stato.
Ognuno di questi ragazzi ha una personalità che difende e che lo porta a selezionare il modo di confrontarsi con gli altri.
Quando non sono in grado di esprimere le proprie emozioni con la parola può bastare un gesto o uno sguardo, si avvicinano, ti osservano e quando hanno capito di potersi fidare aprono uno spiraglio, in quel momento ti stanno lasciando entrare nella loro bolla.
Qui terminano le parole di Mozzano: ma continuano a parlare le emozioni, con le sue fotografie.