Bologna, 15 dicembre 2023 – Un romanzo contemporaneo, sì.
Il libro di Giulia Barberis, ‘Non serve che sia un capolavoro’, è esattamente questo: il racconto freschissimo, croccante, immediato anche quando parla di cose successe 20 anni fa scritto da una persona innamorata dei cavalli.
Anche il carattere di Giulia, per quello che si può giudicare conoscendola solo attraverso ciò che ha scritto, è diretto e implacabile, come sono implacabilmente oneste solamente le persone molto giovani – o che sono riuscite a rimanerlo, nonostante la vita.
Giulia è così: limpida, quasi tagliente. Come la verità, del resto.
Ma ad affilare la sua lama è l’amore per i cavalli, quindi a noi non può fare alcun male.
Anzi: è così bello correre una pagina dopo l’altra seguendo parole precise e chiare, ricordi che si intrecciano senza saperlo anche ai nostri, esperienze che riconosciamo perché tutti le abbiamo vissute con gli stessi compagni di viaggio.
I cavalli: tutti diversi uno dall’altro, ma tutti uguali nel metterci di fronte alla loro essenza.
E Giulia di cavalli ne racconta tanti: Jasmine, Ensueño, Flaga (con Sofia e i suoi ventitrè chili di fegato), Celestino…prima suoi spesso per acquisto oltre che investimento di affetto, che solo se rischi quel tipo di capitale lì ci metti sopra tanto lavoro, e che lavoro.
Quello capace di renderli felici: quello che cerca di farli essere sereni, equilibrati, sicuri.
Cavalli che tutti possano amare, che possano fare tante cose: che l’unico modo di dare buone possibilità di vita lunga e felice a un cavallo è sempre quello di addestrarlo in modo che sia facile, gentile, disponibile.
“A parte pochi casi fortunati, un cavallo ha tanto più possibilità di vivere dignitosamente quanto più è in grado di svolgere un’attività in maniera eccellente o più attività in maniera decente”.
Ci piace tanto (e non solo perché di mestiere scriviamo parole) la metafora che Giulia utilizza per rendere l’idea del lavoro di addestramento: ogni cavallo ha a disposizine nella sua testa un certo numero di pagine – alcuni 100, altri 200, altri ancora solo 60.
Ma non è importante il numero di pagine che lui ha a disposizione, quanto quello che l’uomo ci scrive sopra: cosa ci scrive di buono, cosa ci scrive di brutto.
Quello che è scritto non si cancella: si può solo cercare di rimediare nelle pagine che rimangono libere, e se sono poche il lavoro sarà più difficile.
Ci piace molto anche che Giulia continui il suo lavoro con Francesco Vedani, prima suo istruttore nell’Accademia Ars Equitandi, e poi suo socio nella scuderia dove addestrano cavalli giovani, ma anche soggetti problematici, con metodi non coercitivi.
Perché scriverà bene Giulia Barberis, ne siamo sicuri: qualunque pagina scelga di riempire con il suo lavoro, il suo coraggio, la sua sensibilità.
Non serve che sia un capolavoro, recita il titolo di questo suo primo libro: ma è molto, molto bello davvero. E profondo.
E poi è natalizio: perché Giulia, quando guarda un cavallo, pensa sempre ai mandarini…
‘Non serve che sia un capolavoro’ è autopubblicato ma lo trovate anche qui, da More Than a Horse: