Viterbo, 29 marzo 2023 – Ecco, come il diavolo e l’acqua santa: perché nell’immaginario collettivo etologia e monta maremmana sono due cose che non possono andare d’accordo.
E’ quello che ci viene in mente, sorridendo, ogni volta che pensiamo a Lisa Mabilia e Nicolò Lenarda: dolce e delicata e gentile lei, che addestra asini dopo essersi formata etologicamente secondo le più affermate scuole di horsemanship.
Tempestoso e apparentemente brusco lui, cresciuto e allevato in mezzo a cavalli e butteri e bardelle, maniscalco e giudice e istruttore di monta tradizionale maremmana – però a dire il vero è sempre sorridente anche lui, quando lo incontriamo.
Ma è davvero così, sono veramente così lontani questi due mondi?
Noi personalmente sosteniamo di no, ne abbiamo avute tante prove e guardando lavorare la vera gente di cavalli ti rendi conto che i cavalli hanno saputo insegnare, a tutti quelli che li hanno veramente frequentati, gli stessi principi base.
Così non siamo per niente sorpresi di aver visto Lisa e Nicolò unire le loro strade: anzi, si può dire che la loro storia è una conferma ai sentimenti che abbiamo sempre sentito muoverci dentro.
Che si può crescere distanti ma in modo parallelo, verso la stessa direzione.
E siccome ci piace ascoltare le belle storie, facciamo parlare loro: per prima Lisa, ovviamente.
Che vive a Villareggia, in Piemonte, ed è istruttrice presso il centro SIFE – Asino Felice – Scuola Italiana Formazione Equidi.
“Mi piace questa cosa della crescita e del percorso in parallelo” ci dice subito Lisa, “perché effettivamente io andavo per la mia strada, lui per la sua ma continuavamo a sentirci. E’ stato veramente un percorso in parallelo. Ma non ci saremmo mai aspettati di ri-incontrarci”.
Una delle tante belle sorprese della vita.
“Sì, perché ci sentivamo spesso: lui che parlava di cavalli, io che parlavo di asini e viceversa, ci scambiavamo esperienze. Ma nonostante una ‘provenienza equestre’ molto diversa ero comunque affascinata da quello che mi diceva della della Maremma e dei suoi cavalli. Ho anche montato il suo primo Tolfetano che era Pandemonio: ma a modo mio, in capezza Parelli e a pelo. In più in quel periodo Pandemonio era anche sferrato: me l’ha servito su un piatto d’argento, stallone Tolfetano di 4 anni. E me ne sono innamorata follemente, da allora i Tolfetani sono sempre stati i miei preferiti, anche se io vado matta per gli asini”.
Cosale piace degli asini?
“Che sono sempre stati il migliore amico dell’uomo: Anzi del contadino, il miglior amico del contadino e dall’allevatore. Proprio un’altra cosa rispetto ai cavalli”.
Dal Piemonte adesso si è trasferita almeno per metà anno in Maremma, da Nicolò.
“Quando ci siamo incontrati 10 anni fa lui era in Veneto, quindi era fuori dal suo habitat naturale: la zona intorno a Blera dove io non l’avevo mai visto. Quando sono scesa giù da lui mi sono sentita subito a casa: perché lì è normale passare le giornate in mezzo agli animali, alla natura, prendere due o tre asini o cavalli e farsi un giro a spasso per la macchia. Se lo faccio a casa mia mi prendono per matta: qui è la quotidianità, è un posto ancora a misura di cavalcante o quasi. Perché alla fine è veramente un mondo dove continuano a stare vicino agli animali, uno dei pochi posti che ancora può dire questo”.
Cosa è cambiato da 10 anni a questa parte?
“Ho occhi diversi da allora, quando magari ci scannavamo vivi difendendo ognuno il proprio modo di lavorare con i cavalli. Ora ho percorso tante scuole, visto tanti metodi, pensati su e con i cavalli che poi io adatto agli asini. E mi sono resa conto che caspita, spesso quello che fa Nicolò nel suo modo ‘buttero’ in realtà non è così diverso da quello che faccio io nel modo ‘etologico’, diciamo così. In più c’è stato un po’ un processo di osmosi, io ho passato qualcosa a lui del mio metodo di lavoro, e lui ha passato qualcosa a me del suo”.
Punti evidenti di contatto?
“La necessità di avere il tatto giusto, cioè il sentire quando chiedere e sapere aspettare le risposte”.
La prova provata di questa convergenza?
“Che quando ho montato i suoi cavalli alla sua maniera, con gli speroni e la bardatura tradizionale maremmana mi sono trovata benissimo: e soprattutto ho sentito i suoi cavalli estremamente sereni, e alla fine è da lì che si giudica il metodo con cui sono stati lavorati e addestrati. E sono piuttosto esigente da questo punto di vista: io non posso passare sopra al fatto che magari un cavallo faccia le cose come automa. Deve essere lì per me, ci deve essere proprio una relazione tra me e il cavallo che monto. E con i cavalli di Nicolò questa relazione c’era: funzionava tutto perfettamente, loro tranquilli e mi son trovata veramente bene anche con il tipo di sella, imboccatura e via dicendo”.
Scoperto qualcosa di nuovo?
“Ovviamente ci vuole un attimino per ingranare, ma Nicolò mi ha detto ‘sai che hai una buona mano?’. Ma montando in questo modo, secondo la scuola della monta da lavoro tradizionale maremmana non ti stanchi: posso stare fuori tutto il giorno, e alla sera non ho male nemmeno a un muscolo. E anche il cavallo, allo stesso modo. Ma poi alla fine la cosa più bella è accorgersi proprio delle cose che si fanno in modo così simile: come l’uso dello staccione, ad esempio, la palizzata del tondino. E l’uso estremamente rispettoso che ho visto fare del morso, una imboccatura che può sembrare (ed essere, se usata male) così dura”.
Ma a proposito di cose in comune e differenze: cosa cambia con gli asini rispetto ai cavalli?
“Che gli asini montati vanno praticamente al 99% con gli aiuti di gambe del cavaliere, quasi niente con le mani”.
E voi, vi date aiuti?
“Adesso sì: osserviamo uno il lavoro dell’altro ed è normale fare osservazioni, scambiarci opinioni e consigli, in pratica trasferire le nostre esperienze specifiche su quel determinato problema all’altro. Poi magari scopriamo che i miei esercizi di propriocezione vanno esattamente nella direzione di quello che lui farebbe o fa seguendo la scuola maremmana. Che magari segue un’altra strada, ma arriva allo stesso risultato e risolve quella determinata problematica. Due modi per arrivare allo stesso risultato, quindi è affascinante per me, è affascinante per lui ci scambiamo esperienze. L’importante è non avere preconcetti. I cavalli alla fine capiscono e gli puoi parlare in tutte le lingue se le tue intenzioni sono buone, corrette”.
La cosa in cui vi somigliate di più?
“Che piace a entrambi passare il nostro tempo con loro, i cavalli e gli asini. E ci divertiamo a fare le stesse cose. Ad esempio: stiamo pulendo i recinti, magari ci blocchiamo perché vediamo due animali che stanno comunicando in una determinata maniera e rimaniamo affascinati da una cosa magari stupidissima. Però siamo così tutti e due, uguali, ci saremmo bloccati a fare lo stesso entrambi anche se fossimo stati da soli”.
Una cosa che non immaginava di Nicolò e ha scoperto solo ora.
“Che anche lui ha un debole per gli asini. Sì, lui, quello che sembra tanto un duro e che durante il giorno è un cavallo via l’altro alla sera finito tutto prende le spazzole, va dal suo asinello e se lo pulisce tutto perché lo rilassa. E’ un puffo grigio, piccolissimo: ogni tanto li trovo che si sono addormentati insieme nel tondino, uno appoggiato sopra l’altro”.
Come dicevamo all’inizio? Il diavolo e l’acqua santa…
Ma questa è solo la versione di Lisa: a domani per quella di Nicolò.
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