Bologna, 7 luglio 2021 – Insieme a quello di Siena, il Rifugio Nibbio Alato è il pensionario più famoso d’Italia. Fu creato sette anni fa da Samanta Catastini. E se quello di Radicondoli si occupa dei cavalli infortunati in Piazza del campo, il Rifugio che attualmente si trova nei boschi de Le Cerbaie, in Toscana, accoglie in gran parte trottatori, ma non fa distinzioni.
E infatti degli attuali tredici ospiti, dieci sono trottatori, ma ci sono anche un Purosangue, un mezzosangue e una Maremmana. Le differenze fra le due strutture però non si fermano qui.
Quella senese è pubblica in ogni sua componente, nata da un accordo tra il comune di Siena e il Corpo Forestale, il Nibbio Alato vive esclusivamente dell’amore di Samanta Catastini e si regge sulle offerte dei donatori.
E l’impegno di Samanta, laurea in lingue e autrice di alcuni romanzi, non è solo quello di ospitare cavalli usciti dal circuito delle corse, ma anche di trovare un’adozione. Centinaia i cavalli dati in affidamento “vero”.
«Perchè ci sono alcuni – spiega Samanta – cercano solo una scorciatoia per prendere un cavallo gratis e riadattarlo per qualcosa».
Ma non è questa la filosofia che ispira Samanta. «Chi prende un cavallo anziano, o reduce da un infortunio – dice – lo deve fare per avere un animale da compagnia. Il cavallo è da sempre l’animale più sfruttato dall’uomo, in agricoltura, in guerra, negli ippodromi, negli allevamenti o nell’equitazione. Quando arrivano da me sono vecchi e logori. Si sono meritati la pensione. È giusto che stiano in un prato a godersi gli ultimi anni della loro vita».
Quei tredici che si trovano a Le Cerbaie, sono cavalli problematici con acciacchi o con un vissuto che ne sconsiglia l’adozione. Ci sono trottatori che hanno scritto pagine importanti nella storia del trotto come Costa Gavras, Lex Wise, Geresto Dei o Pinerolo, gigantesco figlio di Pine Chip.
Cavalli che hanno entusiasmato il pubblico del Sesana, ma anche illustri sconosciuti, come Procuratore o Vento Barocco.
Inutile dire che per Samanta sono tutti uguali, ognuno è un “figlio”. Come in ogni comunità, ci sono le dinamiche interne, le amicizie, i gruppi. Così Costa ha in Dickson il fedele attendente, mentre Le Mans se ne sta tutto il giorno con quattro femmine, subendone spesso il carattere… Come si diceva il Rifugio e Samanta sono un punto di riferimento per l’ippica, quando si parla di dare un giusto riconoscimento a cavalli che hanno dato tutto nella loro carriera in pista. E che nonostante l’impegno, non hanno raggiunto traguardi tali da meritarsi un ruolo di stallone o fattrice.
In alcuni stati è lo Stato o l’ente che organizza l’ippica a occuparsi di loro. Tramite appunto sovvenzioni alle strutture che si occupano del loro benessere. In Italia se ne parla ogni volta che spunta fuori qualche caso clamoroso, come un campione che si scopre indirizzato alle corse clandestine o destinato al macello.
L’argomento viene dibattuto per un po’ sulla stampa ippica e nei social. Ma poi, alla fine, tutto resta uguale.
E molti cavalli devono la loro esistenza, proprio a persone come Samanta che si occupano a tempo pieno di questa vera e propria missione. Sempre più difficile da portare avanti. Specialmente dopo il covid, come spiega la stessa Samanta.
«La crisi economica naturalmente si è fatta sentire anche al Rifugio, con un sensibile calo delle donazioni».
I costi invece, non sono certo diminuiti, c’è l’affitto della struttura, l’alimentazione e le spese veterinarie. Tanto che Samanta sta cercando alternative per salvare il Rifugio, pensando di trasferirsi. Magari in Valdinievole, visto che come detto molti dei cavalli vengono dall’ambiente del trotto e molti dei donatori sono proprio valdinievolini.
Ci sarebbe bisogno anche di volontari. Qualcuno ogni tanto si presenta, affascinato dai video che si possono vedere sulla pagina Facebook del Rifugio. «Al massimo resistono un paio di giorni – racconta Samanta – e poi non li vedi più».
Samanta, che del Rifugio è fondatrice, presidente e volontaria va avanti con la sua determinazione che deriva dal grande amore per questi cavalli. «Sono la mia vita – dice – ma è sempre più dura».
© La Nazione/Gabriele Galligani
Per aiutare subito CLICCA QUI