Torino, 9 settembre 2016 – Cuoio e ferri la strada. Pietra e legno la casa.Tutto qui.
Queste montagne che fanno da frontiera tra paesi dove si parlano lingue e si seguono leggi diverse sono un territorio molto uniforme. Un pastore svizzero e un pastore italiano seguono leggi diverse, ma si trovano ad affrontare e risolvere problemi molto simili.
I posti dove si trovano da secoli gli alpeggi non sono stati scelti a caso, c’è erba, acqua, qualche straccio di terreno in piano anche sui più ripidi versanti e qualcosa che non so, che nessun uomo moderno è in grado di riconoscere e che probabilmente una volta era ovvio.
C’è un’aria diversa che piace molto agli animali e li attira lí.
Quell’aria invisibile per me è perfettamente visibile, per Isotta che l’ha inseguita come un segugio dall’inizio alla fine del viaggio facendomi incontrare persone stupende e intrecciando la nostra storia alla loro.
La rotta che avevo in mente era precisa sulla carta: le tappe reali sono state quasi puntuali rispetto a quelle previste, non potevo sapere prima chi avrei incontrato e come fossero nella realtà i luoghi disegnati sulle mappe.
Erano belli tutti e due, dalla Slovenia a qui attraverso cinque nazioni. Non ci potevo credere, c’è stato un solo vero incidente in tutto il viaggio e si è risolto nel giro di una giornata.
Gli incontri legati al ritorno del lupo erano in parte previsti da prima di partire, in parte no.
Isotta partecipava a modo suo: a volte protestando perché i luoghi in cui si incontrano le persone non sono sempre interessanti per i cavalli, a volte stando molto vicina, quasi troppo, altre volte godendosi la sosta brucando tranquillamente.
Si sono moltiplicati strada facendo, tutti mi hanno lasciato una sfumatura in più di questo mondo ai limiti del selvatico – dolore, ammirazione, sfida, protezione, curiosità.
Viaggiamo insieme da dieci anni, questa cavalla ed io e questa volta ho potuto permettermi dei lussi che pensavo si potessero solo inventare.
L’anno scorso avevo osato per la prima volta di lasciarla impastoiata anche mentre dormivo senza legarla. La quarta sera mi trovavo in Austria vicino a una stalla di pecore, sono andata a salutare Hannes e lui mi ha fatto vedere la foto di quel che rimaneva di una sua pecora dopo la visita di un orso: lo scheletro e la pelle.
Avevo già in mano le pastoie e Isotta mi aveva seguita per vedere dove andavo. L’ho lasciata libera e ho attaccato le pastoie al moschettone della sella. Mi sono infilata nel saccopelo e lei è venuta lì vicina. Ha mangiato due ciuffi d’erba e appena ha sentito il rumore della cerniera si è coricata lì vicina, potevo toccarla.
Da quel giorno l’ho legata poche volte, solo quando mi dovevo fermare in posti dove c’era qualcosa che la infastidiva e ho guadagnato posti selvaggi e sperduti dove apparentemente non c’era niente ma per noi c’era tutto.
Arrivavo, guardavo cosa mi diceva e se le andava bene mi fermavo, altrimenti cercavo qualcosa di meglio. Certe volte era questione di pochi metri. Certe volte doveva accontentarsi perché ci trovavamo nell’unico prato circondate da ore di foresta. La sera era un momento di una dolcezza incredibile, ogni volta diverso e ogni volta impagabile.
Sono a casa da dieci giorni e mi rendo conto che gli strascichi dei mesi trascorsi in sella mi avvolgono ancora.
Isotta la sto ancora sellando tutti i giorni, le persone che ho conosciuto si stanno trasformando da incontri a rapporti e non si esauriscono.
Tornare significa senz’altro modificare il ritmo, ma siamo noi a dare il senso di ogni giornata e tutta la vita è un viaggio: da fermi è solo più difficile ricordarsene.
di Paola Giacomini
Qui il suo sito, SellareEpartire