Bologna, venerdì 1 dicembre 2023 – Ieri è stato presentato il monumento eretto alla memoria di Piero d’Inzeo in occasione del centenario della sua nascita (1923). L’opera si trova sulla via Montelibrettese, proprio alle porte del Centro Militare di Equitazione che sorge a Montelibretti (Roma) e che un tempo – sotto il nome di Scuola Militare di Equitazione – è stato la base operativa del fuoriclasse azzurro (che della Scuola è stato anche il comandante).
La scultura è opera di Andrea Gandini ed è stata realizzata grazie al finanziamento congiunto del Comune di Montelibretti, dell’Associazione Nazionale Arma di Cavalleria e della Fise. Un’opera altamente meritoria che renderà visibile e percepibile l’immagine di Piero d’Inzeo per sempre agli occhi non solo degli addetti ai lavori del mondo dello sport equestre ma anche del pubblico cosiddetto generico: a chiunque, cioè, si troverà a percorrere la via Montelibrettese.
Proprio per questo però non può non saltare all’occhio un errore piuttosto macroscopico nella realizzazione dell’intera figura: Piero d’Inzeo impugna le redini (quanto meno la destra) come mai e poi mai avrebbe fatto nella realtà… Non è un dettaglio: impugnare le redini in quel modo – come se in mano si avesse una corda – è atteggiamento rozzo e grossolano da un punto di vista sia tecnico sia estetico, completamente estraneo a un uomo che del rigore formale e per l’appunto tecnico ha fatto un concetto portante della sua vita di cavaliere e di sportivo. Non è qualcosa di giustificabile nemmeno richiamando la libertà di espressione artistica, concetto che invece vale per spiegare l’assenza di sella e staffe: come a dire che l’unione dell’uomo con il suo cavallo è tale da poter prescindere da qualunque sostegno fisico e materiale. Questo anzi è un bellissimo messaggio molto ben proposto dall’autore dell’opera. Ma la rappresentazione precisa e dettagliata della mano che impugna la redine in quel modo non costituisce una metafora né una ‘voce’ artistica: è semplicemente un errore, tanto più grave nel momento in cui caratterizza qualcosa la cui natura in sé è quella di rappresentare definitivamente e per sempre l’immagine di un uomo, di un atleta, di un militare.
Detto ciò, il valore dell’opera e dell’intero progetto è notevolissimo: se si fa eccezione per i busti che ritraggono Federico Caprilli, quello rivelato ieri è il primo monumento che nel nostro Paese celebra un campione dello sport equestre. Non un campione… qualsiasi, tra l’altro: Piero d’Inzeo è un simbolo universale che rappresenta non solo il successo agonistico, ma anche la storia della rinascita di un Paese dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oltre a ciò, la storia di una famiglia del tutto eccezionale: composta anche da un padre (Carlo Costanzo) e da un fratello (Raimondo) che insieme a lui hanno scritto pagine memorabili dello sport equestre italiano. Anzi, dando vita a qualcosa che è andato ben oltre i confini dello sport in sé e che rappresenta anche per questo un motivo di grande orgoglio per tutti noi, ‘cittadini’ dell’equitazione italiana. Questo monumento lo ricorderà per sempre.