Rovigo, 22 novembre 2021 – Sono passati 70 anni da quel 14 novembre in cui le acqua del fiume Po, gonfiate da giorni di pioggia, devastarono la provincia di Rovigo e un angolo di quella di Venezia.
L’alluvione del Polesine causò un centinaio di morti, 180.000 sfollati, il crollo di una già poverissima economia agricola e un disastro umano, sociale ed economico.
Senza contare la perdita di migliaia di animali, morti per la maggior parte annegati nelle loro stalle o trascinati dalla furia delle acque che ruppero gli argini a Canaro e Occhiobello.
Le cause del disastro del Polesine furono tante: la sfortuna di una serie di precipitazioni importanti ma non eccezionali, avvenute però esattamente nella sequenza peggiore possibile.
Il fatto che fossero passati appena 6 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, e la gente era ancora divisa dagli strascichi politici che straziarono quegli anni.
Le carenze tecnologiche (non c’erano i telefoni, nemmeno la radio era in tutte le case), la pessima gestione dell’emergenza e del post-alluvione, la congiuntura storica che coincideva con l’inizio della meccanizzazione agricola e l’abbandono delle campagne…il Polesine non ha avuto scampo.
Per anni dire “Polesine” ha suscitato anche in noi, che eravamo nati dopo quei giorni terribili, sensazioni di dolore, paura e miseria senza speranza.
Come quella che fa nascere la fotografia che illustra questo articolo, che ci è stata segnalata dall’amico Pasquale Spinelli: un cavallo terrorizzato, sperso nelle acque che hanno invaso il suo mondo.
Ha l’occhio terrorizzato dei cavalli che non capiscono cosa stia succedendo, e non riescono a ritrovare la loro sicurezza: l’acqua sembra stia per sopraffarlo, stanco e impaurito com’è.
Ma per quanto sembri incredibile la paura può passare, e si può ritrovare una terra sicura su cui metter ei piedi e ritrovare riparo.
Nel polesine ci sono voluti tanti, tantissimi anni: ma le cose adesso sono cambiate.
Per scoprire se e come da una catastrofe può nascere qualcosa di positivo potete visitare la mostra “70 anni dopo. La Grande Alluvione”, a Palazzo Roncale.
Curata da Francesco Jori e in programma dal 23 ottobre 2021 al 31 gennaio 2022 a Rovigo, il suo scopo è “ricordare la Grande Alluvione a settant’anni di distanza ed evidenziare come quella tragedia si ripercuota ancora oggi nel tessuto fisico, sociale ed economico del Polesine. Un’indagine su “cosa”, oltre al ricordo, al dolore, alle tragedie personali e sociali, derivi – 70 anni dopo – da quell’Alluvione che “bloccò” un territorio che orgogliosamente ha avuto la forza di riprendersi.
Dal riso alla orticoltura, in carenza di un vero sviluppo del comparto industriale, il Polesine ha puntato su quello agricolo, riqualificandolo e riqualificandosi. E non solo. Ha fatto di un Delta abbandonato e nemico, terra di malaria prima e di pellagra poi, una delle più ambite e importanti aree umide d’Europa, riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio della Biosfera.
Ha saputo qualificare il patrimonio del suo mare, con la mitilicoltura e la pescicoltura di eccellenza. E da quella tragedia è stato spinto a rispettare, tutelare e valorizzare il suo ambiente, ricominciato a guardare alla globalizzazione e ricordando di essere stato per un millennio, quando Adria dava il suo nome ad un mare, cuore di incontri delle reti commerciali del mondo.
In questi 70 anni non sono certo mancati distorsioni ed errori, fisiologico frutto dei tempi e della legittima necessità di lavoro e di benessere. Ma nel suo insieme questo territorio costituisce oggi un patrimonio ambientale e umano altrove perduto. Un patrimonio che consente oggi al Polesine di continuare a pianificare un futuro di qualità”.
Perché c’è sempre il modo di rinascere, anche dopo un disastro epocale come quello del Polesine: fa bene ricordarle, queste storie di rinascita.
Qui un’altra storia di cavalli e alluvioni