Bologna, 26 giugno 2020 – Lo sport sta faticosamente cercando di ripartire. L’ingresso del pubblico è essenziale per tutti: per motivi economici, ma non solo. Eppure lo sport in Italia ancora oggi si può svolgere solo a porte chiuse. Con l’eccezione dell’ippica che, essendo formalmente evento di spettacolo e non di sport, può ospitare fino a mille spettatori.
La contraddizione è evidente: mentre lo sport italiano continua a essere penalizzato pur essendo l’unico settore del paese che porta sicuramente salute e benessere, nonchè cultura e stile di vita all’aria aperta, la diversa gestione degli sport che hanno come protagonista il cavallo ripropone un vecchio tema che qui ritorna con forza. Che senso ha che l’ippica sia gestita dal Ministero per le politiche agricole? In questo caso certamente è un piccolo vantaggio, ma in generale lo è o si potrebbe trovare un inquadramento più confacente alle esigenze di quello che a tutti gli effetti è uno sport?
Ne abbiamo parlato con il presidente Fise Marco Di Paola che in merito ha idee molto precise
Presidente, come spiegare a un bimbo che da voi non può andare a vedere il fratellino gareggiare, mentre alle corse di ippica entra tranquillamente il pubblico?
«Viviamo questa anomalia antropica, originaria in cui l’ippica e l’equitazione, nonostante abbiamo nel cavallo un comune denominatore, sono in due contenitori molto differenti perchè gli sport equesti dentro il contenitore sportivo e l’ippica dentro il contenitore agricolo. Questo comporta disparità di trattamento o un trattamento non omogeneo e in questa pandemia queste diversità di trattamento sono venute alla luce in maniera molto violenta».
Quindi non solo per il pubblico?
«No. Noi abbiamo avuto serissimi problemi ad esempio nel momento del lockdown per il divieto di spostamento: quelli dell’ippica erano considerati spostamenti di lavoro mentre i nostri spostamenti di piacere. Poi, l’ippica ha riaperto con quasi tre settimane di anticipo le corse essendosi ritenuto che fosse una manifestazione e non un evento sportivo. E adesso si sta utilizzando una normativa riconosciuta agli spettacoli, ossia la possibilità di avere fino a mille persone di pubblico per assistere alle corse ippiche, che sono avvenimento analogo agli sport equestri».
Come può succedere una cosa simile?
«L’eccezionalità della pandemia ha esasperato le diverse gestioni di situazioni molto analoghe: questo richiede un riordino della materia e ritengo che la legge sullo sport possa essere un’occasione per poter omogeneizzare e armonizzare le normative che riguardano gli sport equestri e l’ippica».
Sì ma come, dal momento che c’è una lunga storia?
«L’ippica fatica a stare in un contentore agricolo, sarebbe più corretto che fosse sotto l’egida dello sport».
Questo è un passaggio delicato, ha alle spalle una vicenda lunga e complessa…
«Quest’uiltimo episodio è sintomatico di una disarmonia di trattamento di un settore che è contiguo a quello degli sport equestri: questo settore si trova all’interno di un contenitore improprio che è l’agricoltura che può avere a che fare con allevamento ma non con l’ippica».
Cioè l’ippica deve uscire dal Ministero dell’agricoltura?
«Questo settore è in difficoltà da anni o decenni, da quando cioè è stato soppresso l’ente specialistico che lo gestiva; da allora però gli sport equestri hanno avuto un andamento molto positivo, l’ippica molto negativo. È arrivato il momento di tirare le somme su questa scelta di collocare l’ippica all’interno del Ministero dell’agricoltura e valutare se il risultato sia stato positivo o se ci siano soluzioni migliorative per rivitalizzare il settore molto importante nell’ambito dell’economia nazionale e che vede negli sport equestri un esempio positivo».
Parliamoci chiaro: quello che lei suggerisce è portare l’ippica all’interno della Fise?
«Portare l’ippica all’interno del Coni, dove avrebbe una gestione specialistica, mentre l’attuale gestione è generalista e l’ippica sta insieme alla pesca».